Per me quella sequenza era importante, mi serviva a evocare un clima arcaico, un tempo in cui la gente ricorreva a qualunque espediente rosso per curare le malattie, serviva ad avviare un clima molto tragico, molto drammatico immediatamente prima del blocco di sequenze che riguardano la nascita del primo figlio della protagonista con quel sogno premonitore. Nel film era importante, non sapevamo come realizzarla.
Eravamo in Tunisia non perché siamo andati lì per scavalcare la legislazione italiana, siamo andati lì perché noi siamo stati lì mesi, perché abbiamo girato il film lì… allora a un certo punto il mio produttore esecutivo che è uomo di grandissima esperienza, mi ha detto: “abbiamo una sola soluzione: semplificare la scena, ridurre al minimo e trovare un vero mattatoio dove quella scena che tu vuoi realizzare avviene numerose volte tutti i giorni e vedere se ci autorizzano a entrare con la nostra macchina da presa con le comparse vestite nei costumi dei film e tu la devi rubare come se fosse un documentario, o la fai così o non si può fare”.
Allora io ho trasformato la sequenza, che era molto più complessa: i due personaggi agivano all’interno in un primo momento, nel mio copione era così, le ho semplificate e le ho portate fuori e abbiamo fatto così: siamo entrati in un vecchio mattatoio, abbiamo ripreso quei pochi secondi, proprio come se fosse un documentario, e le abbiamo inserite nel film. Questo è quello che abbiamo fatto. Quello che voi vedete è vero, non l’abbiamo messo in scena noi. Anche se capisco che la rappresentazione è forte, ma così doveva essere nel racconto”.