In quegli stessi mesi, in un altro quartiere di Milano, sta per cominciare la storia di Angelica. Che di mestiere, in quel periodo, fa la modella pubblicitaria e problemi di soldi non ne ha: possiede una casa, ha un' autonomia economica, ma ha anche la ventura di ritrovarsi ad aspettare una figlia da un ragazzo tossicodipendente che sul più bello prende e se ne va all' estero. Angelica si rivolge al Centro di aiuto alla vita presso la clinica Mangiagalli: «L' unica cosa che voglio - dice alla fine - è tenere questa bambina. Mi date una mano?». Gli operatori prendono nota. E una copia della nota, anche questa volta, finisce al Tribunale dei minori. Finché nasce Gaia. Il dettaglio che farà la differenza rispetto a un sacco di altre nascite simili è che sua madre compila il modulo di riconoscimento con un giorni di ritardo. «Perché voleva aspettare che il padre della bambina firmasse quei fogli assieme a lei», spiega il suo legale Livia Verrilli. E d' altra parte in quei giorni c' è pure qualcosa di più grave a cui pensare: la piccola Gaia soffre di una cardiopatia che impone un monitoraggio 24 ore su 24, una terapia delicatissima a orari fissi, la presenza costante di qualcuno al suo fianco... Angelica s' ingegna. Ma quel giorno di ritardo, sommato alla «richiesta di presa in carico» formulata mesi prima del parto, per il tribunale ha un peso più forte. E all' ospedale pediatrico Buzzi, dove Gaia era stata nel frattempo trasferita, un bel giorno si presenta una signora che, mentre la madre della piccola è fuori dal reparto, affronta il primario e gli dice secca secca: «Mi mandano i Servizi sociali, questa bambina la prendo io». Il primario dell' ospedale, il dottor Massimo Fontana, scrive un immediato fax di protesta al Comune e al tribunale: «Ritengo che questa procedura bulgara non contribuisca all' instaurarsi di un rapporto di collaborazione...». Angelica è livida di rabbia, ma alla fine manda giù: «Devo andare in una comunità per mamme e bambini con mia figlia? Va bene: pur di stare con lei andrei anche a Timbuctù». Il rapporto che si instaura con la suora reponsabile della comunità prescelta non si rivela dei migliori: «Non sa neppure tenere in braccio sua figlia», scrive la religiosa. «È una madre premurosa e se ogni tanto perde le staffe è perché viene esasperata», scrivono altri operatori al tribunale. Testimonianze non debitamente «sottoscritte», replicano i giudici. Ci avviciniamo al duplice finale. Marcello si trova attualmente in una comunità-famiglia in Piemonte, sua mamma Giulietta ha da tempo un compagno stabile, ma i periti del tribunale hanno stabilito in ottobre che la donna nutre nei confronti di suo figlio «un affetto eccessivo», da cui il bambino va «protetto». Ora può vederlo due volte al mese, sotto sorveglianza. In dicembre il tribunale le ha tolto la potestà, nei prossimi giorni c' è l' appello. Gaia, invece, è stata dichiarata formalmente «adottabile» due mesi fa. Angelica non può incontrarla da allora. A sua disposizione c' è, anche per lei, un ricorso e una possibilità di appello.
[FONTE:
Il corriere della sera]