«Berlusconi è n’ber probblema pe’ noi italiani. Pe’ come è fatto: te riconosci e nun te riconosci. Nun sai mai bene che pensà», spiegava ieri sera un avventore del baretto romano di piazza Farnese a un gruppo di origliatori rapiti. Anche la sua signora, grazie, è un po’ così. Alla sua seconda esternazione in due anni, quando ha parlato di «ciarpame» riferendosi a frequentazioni e candidature caldeggiate da suo marito (spesso coincidevano) e forse alle sue gite da una diciottenne napoletana che maliziosamente lo chiama “papi”, moltissime, d’istinto, si sono riconosciute. Poi ci hanno pensato un momento: per carità, ha ragione, ma perché non divorzia? Ora divorzia, o almeno si separa, si sa che in Italia la procedura è complicata (per la cronaca: secondo la legge italiana la moglie separata ma non divorziata eredita la “legittima” proprio come una moglie, scusate la digressione). Divorzia e probabilmente non poteva fare altro, a questo punto. Questa volta non ci sono state lettere di scuse da marito simpaticamente malandrino, con le altre possibili fanciulle definite “bagatelle”. C’è stato un fuoco incrociato contro Veronica che ha spiazzato il pubblico, linciato il personaggio occasionalmente pubblico (Veronica, accusata anche di questo, di rimanere nell’ombra tranne quando attacca il marito), l’ha alla fine (finalmente?) costretta alle dimissioni da moglie.
Ha lanciato l’offensiva Silvio B. in persona addirittura, da Varsavia, chiamandola «quella signora» e definendola «vittima della stampa di sinistra». L’attacco era già in corso sul sito Pdl, nella blogosfera, onestamente anche nelle conversazioni da bar e da macchinetta del caffè. Manifestavano molti dubbi uomini e anche donne (piangere in limousine o nella villa di Macherio può non essere popolarissimo, in tempi di crisi).
Poi è arrivata la gogna a mezzo stampa, una prima pagina di Libero con vecchie foto di Veronica a teatro (nella pièce Il magnifico cornuto, ironia della storia), una sequenza in cui, sul palcoscenico, scopre il seno. Messaggio non troppo criptico: cosa vuole, ora, questa vecchia velina? Forse non lo sapremo mai, cosa voleva. Forse non vorremmo neanche saperlo. È un canovaccio che di sicuro continuerà per un po’, però; in cui esce in modo diciamo ambiguo il premier («ce se riconosce e nun ce se riconosce», per un maschio italiano, si è capito). In cui esce a pezzi una donna volutamente (ma anche no) misteriosa con una vita stranissima. Da cui escono un po’ peggio tutte le donne italiane. Non tanto per la figuraccia all’estero, non è più quella che conta (ne facciamo di continuo). Perché il gran pasticcio in cui è finita la nostra prima dama di fatto benché generalmente assente (quella ufficiale, Clio Napolitano, è mujer vertical rispettatissima dal marito, per fortuna; consoliamoci così) non aiuta l’autostima collettiva di tutte noi.
In questi giorni abbiamo sentito argomentazioni di due secoli fa, magari proposte da uomini civili e progressisti: «Ma cosa vuole, le donne dei grandi uomini devono sapere che il loro ruolo è al loro fianco e che non possono fare queste uscite, che un grande uomo ha molte donne e loro devono fare la loro parte con dignità». Solo loro? Parrebbe di sì. Sul resto, sul grand’uomo, sono stati finora consentiti e incoraggiati pettegolezzi e battutoni. Certo (sottotesto) donna Rachele Mussolini non l’avrebbe mai fatto. Ma proprio la dignitosa donna Rachele dobbiamo recuperare, nel 2009, come modello? E tutte le altre sono Clarette? È offensivo per tutte, suvvia. E allora si vorrebbe lasciar perdere. A prescindere da toni e intenzioni di V. Lario, questa è stata un’umiliazione collettiva.
Ed è pretestuoso dire «solo Veronica è in grado di fare opposizione, in questo Paese». Beato il Paese che non ha bisogno di Veroniche, che ha una maggioranza rispettabile e un’opposizione che fa il suo lavoro (anche il «tra moglie e marito…» del Pd Dario Franceschini non è stato un bel momento, diciamolo; di democristiani che dicono «i panni sporchi si lavano in casa» ne abbiamo avuto di più autorevoli, molto discussi ma con una visione più ampia e maggiore capacità di governare, è noto).
E il delirio gossiparo di questi giorni sta facendo male a tutti. A un partito e a un governo ridotti a comprimari di una pochade anche un po’ laida; a un’opposizione sgangherata che per curriculum non può nemmeno troppo polemizzare sulle belle fanciulle in lista (l’ha fatto anche il Pd); a un’Italia che avrebbe bisogno di parlare, di confrontarsi, di mobilitarsi sulle cose serie. Forse a una parte della classe politica il caso Lario fa comodo; si parla d’altro, non si parla di nient’altro, anzi. Ma a noi tutti, francamente, no. E non fa bene ai figli, alle figlie, nostre ma anche di Silvio Berlusconi (come si sentiranno Barbara, Eleonora, e pure Marina, bombardate di notizie su un padre così pimpante? Veronica lo ha detto, e su questo aveva stra-ragione; nessuno vuole che ragazze e ragazzine crescano tra mogli trascurate e forse disperate e adolescenti che dicono “papi” a sproposito; vorremmo tutti qualcosa di meglio, per loro e per noi).