E quindi qual è il quesito o l'osservazione che mi sottoponi?
E quindi qual è il quesito o l'osservazione che mi sottoponi?
Era solo per dire che nel conflitto fra religioni, anzi proprio fra civiltà, considerare soltanto l'Italia mi sembra pesantemente riduttivo, tutto qua
Secondo i pensatori e i filosofi occidentali come Hobbes, Locke e Adam Smith, fino ai teorici attuali del capitalismo competitivo mondiale, la «passione per il possesso» sarebbe un fenomeno naturale, innato. Sarebbe il fondamento della «naturalezza» del diritto di proprietà privata. Nessuno potrebbe limitare il diritto naturale alla proprietà privata, all’appropriazione individuale delle cose. Per alcuni, il ruolo primordiale dello Stato consisterebbe precisamente nel definire e far applicare le regole relative alla garanzia e alla tutela del diritto di proprietà privata. Se la ricchezza è identificata con la proprietà e con il godimento delle cose, tuttavia non sono il possesso e il godimento dei beni come tali che spiegano la passione per l’appropriazione. Ciò che conta, fondamentalmente, è lo status sociale che il valore simbolico del possesso e del godimento dei beni dà ai loro proprietari. Essere ricco «significa» essere più in alto nella gerarchia sociale. Da qui il desiderio, il sogno di possedere più e meglio degli altri. Oggetto del desiderio, più che il bene in sé, sono il potere sociale e l’immagine pubblica che le nostre società attribuiscono, in una misura mai raggiunta finora, alla ricchezza. Apparire ricco, più degli altri, essere riconosciuto come «potente», da invidiare: ecco cosa emerge dietro il sogno di «diventare ricco».
(Riccardo Petrella – “Il diritto di sognare”, Sperling & Kupfer Editori)
La data epocale del 1989 segna la fine di un mondo, il sipario che cala sull’utopia concreta del marxismo, relegandolo in quel museo delle antichità in cui, ad avviso di Engels, doveva finire lo stato. Si rimargina così la voragine tra due universi - separati dalla «cortina di ferro» - socialmente e filosoficamente opposti: solo uno dei due è sopravvissuto, inglobando l’altro, rendendolo simile a sé. La conseguenza di tale situazione, che marca la fine di quello che è stato definito un «secolo breve», è l’instaurarsi di un unico grande Impero, rizomatico e dotato di innumerevoli gangli più che di una sola testa, che assorbe ogni angolo del mondo entro i suoi confini in espansione: alla vecchia distinzione tra Paesi allineati con un blocco anziché con l’altro, si sostituisce quella tra ciò che è interno e ciò che ancora non lo è e che, pertanto, è combattuto come un nemico pericoloso perché non ancora riassorbito. In un simile contesto dai nuovi contorni, il capitalismo diventa come l’aria che respiriamo, qualcosa a cui siamo assuefatti e di cui non riusciamo più a fare a meno: nella misura in cui si eleva a unico modello su scala mondiale, diventa impossibile sottoporlo a critica in nome di qualcos’altro, che è venuto meno, assorbito dal suo antico rivale. Crolla la speranza nell’altro proprio perché l’altro è venuto a mancare.
(Diego Fusaro – “Filosofia e speranza”, Il Prato)
Il primo abuso è costituito da quell’enorme sproporzione, che ovunque si osserva, tra i differenti stati e le differenti condizioni degli uomini, alcuni dei quali sembrano essere nati soltanto per dominare tirannicamente sugli altri, e per avere sempre, nella vita, piaceri e soddisfazioni; mentre gli altri, al contrario, sembrano essere nati soltanto per essere schiavi vili, miserabili e infelici, e per gemere tutta la vita nella pena e nella miseria. Questa sproporzione è assolutamente ingiusta e odiosa. Ingiusta, perché non è affatto fondata sul merito degli uni e sul demerito degli altri; e odiosa, perché serve soltanto a ispirare e mantenere l’orgoglio, la superbia, l’ambizione, la vanità, l’arroganza e l’alterigia negli uni, e d’altra parte a generale odi, invidie, collere, desideri di vendetta, lamenti e mugugni, tutte passioni che sono poi fonte e causa di un’infinità di mali e di cattiverie che ogni giorno hanno luogo nel mondo. Questi mali e queste cattiverie certamente non esisterebbero se gli uomini stabilissero tra di loro una giusta proporzione di stati e di condizioni, nella misura necessaria per stabilire e conservare tra di loro una giusta subordinazione, e non per dominare tirannicamente gli uni sugli altri. Tutti gli uomini sono eguali per natura, tutti hanno egualmente diritto di vivere e di camminare sulla terra, di godervi della loro libertà naturale e di aver parte ai beni della terra, lavorando tutti utilmente per avere le cose necessarie o utili alla vita. Ma siccome vivono in società – e una società o comunità di uomini non può essere ben regolata né mantenersi in buon ordine senza che tra di loro vi sia qualche forma di dipendenza e di subordinazione – è assolutamente necessario che vi sia tra gli uomini una dipendenza e una subordinazione reciproca. Ma occorre anche che questa dipendenza e subordinazione sia giusta e ben proporzionata, cioè non giunga fino a elevare troppo gli uni e abbassare troppo gli altri…, né a dare troppo agli uni e non lasciare niente agli altri…: infatti una tale dipendenza e subordinazione sarebbe manifestamente ingiusta e odiosa, e contro lo stesso diritto di natura.
(Jean Meslier, ne “Le teorie della proprietà da Lutero a Babeuf”, a cura di Giuliano Gliozzi, Loescher)
Se una contadina dell’Appennino ritorna agitatissima dal suo campo dicendo di essere stata assalita da una pantera, i giornali meno seri titolano «Contadina assalita da una pantera»; quelli più seri invece non nascondono ai lettori che il fatto è un altro, non che la contadina sia stata assalita dalla belva ma che essa riferisce di essere stata assalita. Altre volte il problema è meno innocente. Se, nei giorni in cui la stampa parla dell’eccessivo costo dei libri di testo, due studenti vengono fermati per spaccio di Ecstasy e affermano che avevano bisogno dei soldi per comprarsi i libri, il pubblicare titoli come «Spacciano droga per comprarsi i libri di testo» è un atto giornalistico che, nella sua irresponsabilità, ignora le più elementari considerazioni sull’interesse di quegli studenti ad adottare, per difendersi dall’accusa di spaccio, un atteggiamento vittimistico.
(Giovanni Jervis – “Contro il relativismo”, Laterza)
"Se una contadina dell’Appennino ritorna agitatissima dal suo campo dicendo di essere stata assalita da una pantera, i giornali meno seri titolano «Contadina assalita da una pantera»; quelli più seri invece non nascondono ai lettori che il fatto è un altro, non che la contadina sia stata assalita dalla belva ma che essa riferisce di essere stata assalita. Altre volte il problema è meno innocente. Se, nei giorni in cui la stampa parla dell’eccessivo costo dei libri di testo, due studenti vengono fermati per spaccio di Ecstasy e affermano che avevano bisogno dei soldi per comprarsi i libri, il pubblicare titoli come «Spacciano droga per comprarsi i libri di testo» è un atto giornalistico che, nella sua irresponsabilità, ignora le più elementari considerazioni sull’interesse di quegli studenti ad adottare, per difendersi dall’accusa di spaccio, un atteggiamento vittimistico.
(Giovanni Jervis – “Contro il relativismo”, Laterza)"
Il senso di questa riflessione non tanto l'ho capito...in particolare la seconda metà mi ha lasciato CONSIDEREVOLMENTE perplesso...cosa vorrebbe dire? Che i giornali devono chiedersi il perchè delle azioni di spaccio di quegli studenti, o dare addosso alla società per gli alti costi dei libri, giustificando così le azioni di quei ragazzi?
In parte sono d'accordo, anche se magari non con toni così accesi, ma in parte mi trovo d'accordo con la teoria di Meslier
I giornalisti non devono cavalcare il vittimismo di quegli studenti Un vittimismo dietro il quale nascondono le proprie negligenze.Originariamente inviata da darkness_creature
E per far ciò devono condurre un'indagine approfondita, non certo interrogare 4 o 5 studenti per poi spacciare interpretazioni frettolose per veritiere.
Ma si sa che i giornalisti "meno seri" pur di fare del sensazionalismo sarebbero disposti a qualsiasi cosa, in primis cestinare il senso critico
Se è possibile, ho capito ancora meno della tua riflessione che dell'articolo di quella persona di cui non ricordo il nome......Originariamente inviata da filosofo
Originariamente inviata da darkness_creature
urge riposino...
Quella persona è Giovanni Jervis, docente di psicologia dinamica all'Università La Sapienza. Ed è tratto da un libro non da un articolo
urge riposino...
Va bene, ma non mi interessa sapere chi è, voglio capire nei dettagli che accidenti intendeva dire!Originariamente inviata da filosofo
Ma si capisce...Originariamente inviata da darkness_creature
senza offesa ma commento senza aver letto niente!!