Se è per questo la ragazza aveva inizialmente riconosciuto un terzo uomo dalle foto, un uomo che si trovava all'estero al momento del fatto..
Comunque chi se ne incula, se sono colpevoli meglio, in ogni caso non credo che tale esposizione mediatica possa far bene alle indagini.
calma ragazzi, non saltiamo alle conclusioni; prima di tutto, secondo la procura, l'accusa regge ancora, secondo, se anche non sono stati loro, si tratterebbe comunque di romeni o cittadini dell'est, terzo, ci sarebbe anche questo . alla televisione non ne parlano piu, ma se andate sulle news di google è un vero bollettino di guerraitaliani e stranieri, poveracci e ricconima cosa sta diventando questo paese?
L'esame del Dna è negativo...non capisco il problema ...
Il passo decisivo, falso o vero che sia, è nelle tre parole pronunciate dalla giovanissima vittima quando le hanno messo davanti alcune foto. Comincia lì l’indagine dei paradossi, nel momento in cui Alice — come l’ha chiamata il giudice nei suoi provvedimenti, per proteggerne l'identità di minorenne — si ferma sull’immagine numero 5 e afferma di riconoscere «senza alcun dubbio» il suo violentatore. Dice proprio così, nel verbale: «senza alcun dubbio ». Il volto ritratto nella segnaletica è quello di Alexandru Loyos Isztoika, «il biondino » di nemmeno vent’anni. Indicato come colui che l’ha stuprata «con rabbia», non uno che guardava o stava da quelle parti. Poi, di fronte alla fotografia numero 12, parla di un viso dalle «caratteristiche molto somiglianti» all’altro aggressore; è il ritratto del terzo romeno di questa storia, Ciprian Cioschi, l’uomo a cui mancano tre dita alla mano destra, che secondo gli accertamenti comunicati dal Consolato di Bucarest alla polizia italiana «sembra» sia tornato in patria tra il 10 e il 12 febbraio, cioè due giorni prima dello stupro della Caffarella. Il ragazzo di Alice, Mimmo (altro nome di fantasia) guardando la faccia di Cioschi, dice di riconoscerlo «con estrema certezza ». Ma considerato che era già a casa sua da due giorni (o almeno «sembra»), i sospetti si concentrano su Isztoika, il quale entra in questura il pomeriggio del 17 febbraio e l’indomani ne esce in manette, con l’accusa di violenza sessuale di gruppo e rapina per sé e per l’uomo che ha indicato come suo complice, Karol Racz. I test del Dna
Qualche giorno dopo è arrivato il risultato del test del Dna, che con altrettanta certezza esclude che i due romeni arrestati siano gli stupratori della Caffarella. Le conclusioni della polizia scientifica sono nette: «Uomo 1 e Uomo 2—cioè le identità a cui ricondurre i profili genetici estratti dai tamponi presi alla vittima e dagli altri reperti trovati sul luogo dell’aggressione — non sono Racz Karol e Isztoika Alexandru». L’esito è uguale per tutti i campioni, e l’ultima comunicazione riguarda la macchia di sangue trovata sui pantaloni sequestrati nella tenda dove abitava Isztoika: è sangue suo, non di Alice né di nessun altro. Questo è un punto fermo dal quale l’indagine dei paradossi difficilmente potrà prescindere, nonostante i tentativi di ridurlo a un risultato ancora incompleto fatti anche ieri dal pubblico ministero davanti ai giudici del Riesame. Dice che gli specialisti della polizia scientifica non hanno specificato i protocolli e le procedure seguite per arrivare a quelle conclusioni, avventurandosi lungo un sentiero impervio e pericoloso se si pensa a quanti casi vengono dichiarati «risolti » dall’accusa dopo gli stessi accertamenti compiuti negli stessi laboratori.
Dunque c’è un riconoscimento fotografico «indubbio» contro un esame scientifico forse ancor più sicuro, ad arrovellare la polizia e i magistrati di Roma. Tenendo ovviamente conto del terzo paradosso di questa storia dai contorni tuttora inafferrabili: la video-confessione (completa di accusa al suo amico Racz) poi ritrattata da Isztoika. In realtà alcuni particolari della violenza, per come li ha riferiti il «biondino», non sono perfettamente coincidenti con la testimonianza dei due ragazzini; ma questo dettaglio potrebbe essere interpretato come una prova a favore della genuinità del racconto, giacché eventuali «imbeccate» non dovrebbero discordare dalla versione delle vittime. Davanti al giudice Isztoika ha riferito le ripetute percosse che l’avrebbero convinto alla falsa confessione: «Mi hanno picchiato, mi hanno tirato dai capelli giù... Mi hanno buttato per terra, mi hanno dato calci, mi hanno tirato la giacca in testa e... mi hanno menato». S’è tolto la maglietta e ha mostrato il costato, ma il magistrato ha rilevato «solo un lieve rossore sotto una delle ascelle». Secondo Isztoika, a picchiare erano i poliziotti romeni «incontrati qua in questura, erano quattro», ma poi precisa che «ci stava solo uno presente quando mi menava», e nessun italiano.
Le minacce e le botte
Avvertito che avanzando false accuse contro i poliziotti poteva aggravare la sua posizione, Isztoika ha insistito: «Quando sono stato solo con loro tre o quattro persone (...) mi hanno fatto sedere a una sedia e ha iniziato a picchiarmi; prima ha parlato bene, ha detto: "Così tu hai fatto", ho detto: "Non le ho fatte io queste cose, che non faccio", e ha iniziato a menarmi: "No, tu l’hai fatto, noi abbiamo tutte le prove", ha detto loro hanno tutte le prove, le impronte, il Dna... E mi ha detto che mi ha riconosciuto dalla foto. Sì, va bè, le foto, ogni tanto ci sono uomini che somigliano uno all’altro, no?». Per spiegare «l’indottrinamento», l’interprete ha tradotto così le parole del romeno: «Dice che non gli hanno suggerito direttamente, ma attraverso le domande. Cioè, nel senso che gli hanno chiesto come era vestita la ragazza, lui si è buttato e ha detto jeans, quelli hanno detto "non è vero jeans" e l’hanno menato; poi ha detto gonna corta, anche quello non è andato bene. Insomma, dice che finché non diceva la cosa giusta, perché loro sapevano quello che è giusto, questo dice lui, e finché non diceva così lo menavano ».
L’interrogatorio
Una tortura vera e propria, quindi. La polizia afferma ovviamente il contrario, forte di relazioni di servizio secondo le quali Isztoika non è mai rimasto da solo coi romeni, né ha subito violenze o pressioni. Davanti al giudice il pubblico ministero ha chiesto perché, dopo il suo arrivo, nell’interrogatorio video- registrato in cui sembrava del tutto tranquillo, non ha fatto cenno ai maltrattamenti. «Non lo sapevo chi siete, con chi stavo — ha risposto il "biondino" —. Non l’avevo capito perché c’erano tanti...». L’accusa continua a mostrarsi sicura del fatto suo, certa che queste siano solo calunnie già viste tante volte. Ma si scontra nuovamente con la prova del Dna, quella che — torture o non torture — certifica che Isztoika non ha violentato Alice. La quale l’ha invece riconosciuto «senza alcun dubbio ». Un accumulo di paradossi dal quale non si salva nemmeno Cioschi, il «terzo uomo » che sta in Romania e sul quale ora si faranno — per rogatoria internazionale — i confronti del Dna; gli stessi che hanno già scagionato i due indagati ufficiali, ma non ritenuti sufficienti dal pubblico ministero a far cadere l’accusa di violenza sessuale di gruppo.