di Alessandro Capriccioli
Che cosa succederebbe se un bel mattino gli italiani che consumano stupefacenti si autodenunciassero tutti insieme? Lo scenario è improbabile, d'accordo, ma i proibizionisti (di destra e di sinistra) devono sapere quali sarebbero le conseguenze dei loro desideri
(28 giugno 2010)
Il giorno della grande catastrofe, sulla quale i sociologi e gli antropologi ancora si accapigliano, fu il 28 giugno del 2011.
Per motivi tuttora imprecisati - qualcuno parla di suggestione collettiva, qualcun altro di un'iniziativa politica i cui promotori non sono mai stati individuati- tutti i consumatori di droghe italiani decisero di mettersi in fila davanti alle questure e chiesero di parlare con un poliziotto che potesse raccogliere una denuncia.
Il primo di loro si accomodò sulla sedia davanti all'agente di turno, dichiarò di far uso di sostanze stupefacenti, tirò fuori dalla tasca il corpo del reato e chiese che fosse messo a verbale che non aveva la minima intenzione di smettere.
Venne arrestato immediatamente.
Dietro di lui, però, c'erano altri cinque milioni di persone pronte a fare esattamente la stessa cosa.
Durante la mattinata le file davanti alle stazioni di polizia e alle caserme dei carabinieri si ingrossarono a vista d'occhio; c'era gente di tutti i tipi: studenti, medici, avvocati, poliziotti, giudici, giornalisti, insegnanti, idraulici, autotrasportatori, negozianti, vigili del fuoco, politici, meccanici, infermieri, badanti, bambinaie e perfino qualche giovane prete.
Le forze dell'ordine - composte da quelli che erano rimasti in servizio, perché una buona parte di loro era in fila ad autodenunciarsi- chiesero l'intervento della protezione civile e dei vigili del fuoco, ma anche loro erano a ranghi ridotti per lo stesso motivo, e non riuscirono a intervenire se non in pochi casi sporadici; nelle prime ore del pomeriggio le strade erano completamente intasate da una massa sterminata di persone con una manciata di droga in tasca e una serena determinazione all'autodenuncia, mentre le camere di sicurezza erano già strapiene, ben oltre il limite massimo della capienza, e i carabinieri cercavano di disperdere la gente a forza di lacrimogeni; con scarsa convinzione, tuttavia, ché cacciare dei rei confessi anziché arrestarli non era propriamente conforme alle procedure, e comunque senza alcun successo, visto che per ognuno che si allontanava ce n'erano tre pronti a rimettersi in coda insieme agli altri.
Nel frattempo il paese si era completamente paralizzato: scuole, ospedali, supermercati, uffici, centrali elettriche, fabbriche, stazioni dei treni, fermate degli autobus, mense, studi televisivi, redazioni dei giornali erano semideserti, e quelli che erano rimasti a presidiarli non riuscivano minimamente a governare la situazione.
Prima del tramonto nelle strade di tutto il paese regnava il caos, e il Parlamento dovette riunirsi in sessione straordinaria per affrontare l'emergenza. Curiosamente, anche lì molti banchi erano vuoti, dato che nelle file davanti alle caserme dei carabinieri non mancavano i parlamentari.
Prese comunque la parola per primo il ministro che aveva concepito la legge: non si può essere indulgenti con una massa di drogati che pretendono di bloccare il paese, disse.
Qualcuno gli rispose che quella massa di drogati non stava mica bloccando il paese, ma si stava costituendo, e che quindi non era ben chiaro in cosa consistesse l'indulgenza di cui parlava.
Il ministro balbettò qualcosa che nessuno riuscì a sentire, nel brusio dell'aula; poi riprese coraggio, e disse che non si poteva lasciare la nazione in mano a un branco di tossicodipendenti.
Qualcun altro rispose che quel branco di tossicodipendenti stava giustappunto facendo quello che lui suggeriva, cioè si levava di mezzo, invitando le forze dell'ordine ad arrestarlo in ossequio alla sua legge.
Il brusio divenne più forte.
Il ministro giocò l'ultima carta, stavolta quasi gridando, e chiese polemicamente all'aula se l'Italia, fino a quel giorno, fosse stata mandata avanti da un numero imprecisato di quelli che lui avrebbe definito senza mezzi termini dei criminali fatti e finiti.
Qualcuno fece per rispondergli, ma fu interrotto da un commesso che portava un'agenzia al presidente dell'assemblea.
I danni accumulati in dieci ore erano incalcolabili. Il ministero degli interni aveva dichiarato lo stato di emergenza nazionale. L'Onu stava per mandare le sue truppe a presidiare le strade.
Il brusio era diventato un boato.
Il ministro si sedette, bianco come un cencio.
La legge venne abrogata in venti minuti.
Senza chiedere la conta del numero legale, ché troppi di loro erano là fuori, in fila, ad attendere pazientemente che arrivasse il proprio turno.
L'Espresso
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