Originariamente inviata da
darkness_creature
Non li ho letti...ma il mio problema non è quello...anche il fascismo degli inizi era diverso da ciò che Mussolini ha fatto dopo...l'essenziale è non stoppare sul nascere chi vuole esprimere quelle opinioni, come nessuno sta fermando te dall'esprimere le tue, tutto qua
Non voglio "stoppare" nessuno, esigo però un briciolo di rigore argomentativo; sono tutti pronti a erudire il prossimo e a dispensare certezze, ma poi spesso si scopre che il sapere dispensato da codesti/e si regge su una serie di nozioni disposte alla rinfusa e ostentate quasi fossero "dogmi", la cui veridicità non è sindacabile e tantomeno negoziabile...
pur non essendo, ripeto, un fascista, credo che se Mussolini si fosse mantenuto come agli inizi, la storia avrebbe preso un altro corso...l'omicidio Matteotti, per come la vedo io, oltre l'alleanza con Hitler...sono stati l'inizio della fine di un qualcosa che poteva passare alla storia come l'unica dittatura illuminata dell'era moderna, dopo quella romana e alessandrina.
Il movimento Fasci di combattimento fu fondato da Mussolini il 23 marzo 1919 a Milano.
Inizialmente si trattò di un piccolo gruppo politico dall'ideologia confusa e velleitaria che non attirò l'attenzione pubblica.
Si collocò politicamente a SINISTRA, battendosi per radicali riforme sociali.
Il manifesto politico dei "Fasci" fu chiamato "programma di San Sepolcro", dal nome della piazza milanese dov'era la sede in cui si tenne la riunione di fondazione del movimento.
In campo sociale i fascisti proposero il minimo salariale, la giornata lavorativa di 8 ore e la gestione dell'impresa estesa anche ai rappresentanti dei lavoratori. Inoltre si battevano per un'imposta progressiva sul capitale e per l'estensione del voto alle donne.
In breve tempo, però, Mussolini si sbarazzò di questo programma e il movimento si caratterizzò soprattutto per l'aggressività verbale dei suoi membri e la violenza della loro condotta, sia nei confronti dei socialisti sia nei confronti della classe dirigente liberale. Un caso emblematico si verificò il 15 aprile 1919, quando i fasci attaccarono e incendiarono la sede del giornale socialista "l'Avanti".
Alla fine del 1920 Bologna era diventata il centro propulsore del movimento sindacale, tanto che, alle elezioni amministrative del Comune, i socialisti ottennero una schiacciante vittoria. Il 21 novembre 1920, giorno dell'insediamento del Consiglio comunale a Palazzo d'Accursio, quando il sindaco si affacciò sulla piazza per salutare, partirono dalla folla dei colpi di pistola. La gente terrorizzata cominciò a fuggire e i socialisti incaricati della sicurezza, storditi dalla ripresa e dal panico, spararono sulla folla provocando una decina di morti innocenti.
I fatti di Palazzo d'Accursio segnarono la nascita del fascismo agrario.
Tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921 avvenne la svolta: fu accantonato il programma di San Sepolcro e vennero formate strutture paramilitari (le squadre d'azione) per intimidire e colpire duramente il movimento socialista, in particolare le organizzazioni contadine. Lo squadrismo ottenne immediatamente l'appoggio finanziario della borghesia terriera.
Dopo l'eccidio di Bologna, in pochi mesi, le spedizioni punitive delle squadre fasciste aumentarono vertiginosamente. Esse partivano dalle città e si spostavano in camion verso le campagne, per andare a devastare ed incendiare le sedi delle leghe, le camere del lavoro, le case del popolo e i municipi. Molti militanti socialisti furono ripetutamente picchiati e costretti a lasciare l'Italia. Oltre che alla eliminazione fisica dell'avversario, la violenza mirava a irriderlo e svergognarlo, ad esempio costringendolo a bere l'olio di ricino.
Nel successo dello squadrismo ebbe un ruolo fondamentale la neutralità (e a volte l'aperto sostegno) di una parte della classe dirigente, insieme al'atteggiamento spesso indifferente delle forze dell'ordine.
La tolleranza mostrata da molti politici liberali verso il fascismo fu dovuta soprattutto alla speranza di potersene servire per arginare le pretese del movimento socialista, innanzitutto, ma anche dei popolari. In questo senso si può comprendere la decisione di Giolitti di indire nuove elezioni il 15 maggio 1921 e di accettare la composizione di liste comuni (i blocchi nazionali) formate da liberali, gruppi di centro e fascisti.
Giolitti puntava a un netto ridimensionamento dei socialisti e dei popolari ma i risultati non gli diedero ragione: il Partito socialista subì una lieve flessione (da 156 a 122 seggi), considerando anche la scissione del Partito comunista (avvenuta nel 1921 con il Congresso di Livorno) che ottenne 16 seggi; i popolari addirittura aumentarono i consensi (da 100 a 107 seggi).
I blocchi nazionali ottennero 275 seggi, 35 dei quali andarono ai fascisti.
A questo punto il Congresso dei Fasci del novembre 1921 Mussolini decise di trasformare il movimento nel Partito Nazionale Fascista (PNF), modificando significativamente il programma:
- abbandonò le posizioni repubblicane e si dichiarò favorevole alla monarchia;
- accantonò la critica del capitalismo e sostenne l'opportunità di una politica economica liberista;
- abbandonò l'anticlericalismo e attaccò il Partito popolare di Don Luigi Sturzo come se fosse espressione di una sorta di "bolscevismo bianco", rivoluzionario e pericoloso per le campagne.
Il 24 ottobre 1922 Mussolini riunì a Napoli migliaia di camicie nere in vista della marcia su Roma per assumere il potere CON LA FORZA. Quando venne informato dell'evento, Facta chiese al re Vittorio Emanuele III di firmare la proclamazione dello stato d'assedio che avrebbe permesso l'intervento dell'esercito. Il re, dopo qualche esitazione, rifiutò; il 28 ottobre le colonne fasciste entrarono nella capitale e il 30 ottobre 1922 Mussolini, giunto da Milano, ricevette ufficialmente dal sovrano l'incarico di formare il nuovo governo.
Tra il 1922 e il 1924 si svolse la cosiddetta "fase legalitaria" del fascismo, che preparò l'instaurazione della dittatura vera e propria. Inizialmente, infatti, Mussolini guidò un governo di coalizione costituito da fascisti, liberali, popolari (benché Don Sturzo fosse contrario) e altre componenti.
Forte del consenso della corte, degli apparati di Stato (militari, grandi burocrati, magistrati), degli industriali, degli agrari e della maggioranza dei liberali (convinti che una "cura fascista" fosse utile per ridare autorità allo Stato e contrastare l'avanzata socialista), il 16 novembre 1922 Mussolini si presentò in Parlamento con un discorso arrogante e autoreferenziale che gli valse comunque 306 voti favorevoli e 116 contrari (socialisti, comunisti e pochi altri).
Per realizzare ciò che aveva promesso ai gruppi politici conservatori che lo avevano appoggiato, Mussolini abbandonò la politica economica di Giolitti che colpiva i profitti di guerra e sciolse le amministrazioni comunali in mano a socialisti e popolari; penalizzò le cooperative rosse, costringendole all'estinzione; pose limiti alla libertà sindacale e adottò una serie di misure economiche per rivalutare la lira.
Ma tutte le opposizioni e una parte degli alleati chiedevano a Mussolini soprattutto la fine della violenza come arma di lotta politica e lo scioglimento delle squadre fasciste. A tale prospettiva si oppose con forza l'ala radicale del partito guidata da Roberto Farinacci. Mussolini decise allora di creare la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, legalizzando di fatto lo squadrismo e trasformandolo in forza armata del regime.
Nel 1923 il governo Mussolini perse l'appoggio dei popolari che nel Congresso di Torino dello stesso anno approvarono la posizione antifascista di Don Sturzo.
Negli anni 1922-24 Mussolini alternò un atteggiamento moderato, da supremo garante dell'ordine e della pace sociale, a richiami minacciosi verso una possibile seconda ondata rivoluzionaria. Riuscì così a legittimarsi sul piano internazionale come leader conservatore, occultando le tendenze totalitarie proprie del movimento fascista. Anche Stati democratici come la Francia e l'Inghilterra giudicavano prioritario sconfiggere il pericolo comunista e per questo concessero credito a Mussolini. Le violenze squadriste comunque continuarono impunite: fu bastonato il liberale antifascista Giovanni Amendola e fu ucciso il sacerdote Don Giovanni Minzoni.
Tra i provvedimenti assunti in questo periodo è opportuno ricordare:
- la riforma della scuola, varata dal governo il 27 aprile 1923, sotto la responsabilità del ministro della Pubblica Istruzione, il filosofo Giovanni Gentile
- la legge Acerbo, approvata dal Parlamento il 14 novembre 1923, che riformava il sistema elettorale in senso fortemente maggioritario, assegnando alla lista che conquistava la maggioranza relativa (con almeno il 25% dei voti) due terzi dei seggi alla Camera.
Nelle elezioni del 1924 la posizione governativa fu rappresentata da un listone controllato dai fascisti, a cui aderirono anche la maggioranza dei liberali e alcuni cattolici conservatori.
Le forze d'opposizione, tra cui l'anziani Giolitti, si presentarono profondamente divise, condannandosi inevitabilmente alla sconfitta. I fascisti d'altronde non mancarono di intimidire gli avversari con violenze durante la campagna elettorale e nel corso delle votazioni stesse.
Il 6 aprile 1924 la vittoria del listone fu clamorosa: ottenne infatti il 65% dei voti e più di tre quarti dei seggi.
Il 30 maggio del 1924 il deputato Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario, pronunciò un coraggioso discorso alla Camera, denunciando i brogli e le violenze compiute dalle squadre fasciste in molti seggi elettorali. Il 10 giugno Matteotti venne rapito a Roma da un gruppo di squadristi e ucciso in auto a pugnalate. Il suo cadavere fu ritrovato 2 mesi dopo, in una macchia a pochi chilometri dalla capitale.
Gli esecutori del delitto furono arrestati dopo pochi giorni, ma i mandanti non furono mai scoperti.
Le opposizioni scelsero di non partecipare ai lavori parlamentari e di riunirsi separatamente: si dichiararono disponibili a rientrare in Parlamento solo dopo il ripristino della legalità e l'abolizione della Milizia. Si formò così la cosiddetta "secessione dell'Aventino": di fatto l'opposizione sperava che il re intervenisse ritirando la fiducia a Mussolini, ma il sovrano non assunse alcuna iniziativa.
Il 3 gennaio 1925 in un discorso alla Camera, Mussolini si assunse la responsabilità "politica, morale e storica" di quanto era avvenuto, gettando le basi per l'instaurazione della dittatura.
"Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! (...) Il governo è abbastanza forte per stroncare definitivamente la secessione dell'Aventino" (tratto dal discorso di Mussolini)
Era l'annuncio degli arresti e delle restrizioni che in pochi giorni resero impossibile la vita dei partiti d'opposizione e dei loro organi di stampa. L'ASSASSINIO DI MATTEOTTI SEGNO' DUNQUE LA MORTE DELLA DEMOCRAZIA LIBERALE E L'AFFERMAZIONE DELLA DITTATURA FASCISTA.
Ho svolto questo breve excursus storico per mostrare che la fase pre-dittatoriale è stata tutta fuorché rose e fiori, e soprattutto che sotto l'etichetta del fascismo Benito Mussolini ha accluso tutto e il contrario di tutto, dettando personalmente le linee e stravolgendole a piacimento.
Il problema del comunismo, probabilmente potrebbe anche essere vero che nessuno ha saputo tradurlo in pratica...cominciate a chiedervi il perchè...
Il comunismo, data la sua portata emancipativa, è finito con il diventare una sorta di religione per la stragrande maggioranza dei suoi sostenitori, e più in generale è stato fruito e metabolizzato acriticamente. I facili entusiasmi hanno prevalso sulla pianificazione, con il risultato che è stato fatto un vero e proprio salto nel buio.
Il progetto marxiano prevedeva diverse fasi, e per implementarlo nella prassi occorrevano meccanismi di controllo certosini, che non sono stati impiegati, con le conseguenze che conosciamo bene.
Inoltre, come detto poc'anzi, il "disegno comunista" contemplava al suo interno sbavature e mancanze.
Ormai quasi nessuno crede più in una possibile realizzazione del comunismo, mentre si privilegia un altro approccio: trarre da questo disegno principi, valori, nonché un paradigma ermeneutico (= modello di interpretazione) attraverso il quale leggere la realtà circostante.