Originariamente inviata da
LuC4_81
La lingua corrente usa "credere" anche nel significato di "ritenere che Tizio dica il vero". In questo senso si crede a qualcuno. Il credere può fondarsi semplicemente sulla verosimiglianza di quel che è detto: in tal caso siamo vicini all'uso precedente; ma può anche radicarsi in un rapporto di fiducia personale tra chi parla e chi ascolta. "Credere" in quest'ultimo senso presenta un'analogia con il credere cristiano perché, appunto, si tratta di aver fiducia.
La confessione di fede, tuttavia, parla di credere in: non si tratta dell'unico uso cristiano del verbo (anche la fede crede che, cioè si articola in contenuti precisi), ma di quello che esprime il rapporto con Dio. Credere è dunque, in questa prospettiva, un percorso, una storia, prima e più che un dato acquisito una volta per tutte. Più precisamente, è la storia del rapporto con una persona dalla quale ci attendiamo vita, gioia, futuro. Anche qui, come nel credere a, è questione di fiducia, ma in senso più radicale. Chi crede in ascolta una promessa, che può essere esplicita o implicita, ad essa si affida, in base ad essa si impegna. Ogni decisione, anche la più banale (per es. alzarsi la mattina) presuppone un «credere in», l'attesa di qualcosa di positivo che io non possiedo, ma che spero di ricevere compiendo quell'azione. In questo senso, credere in qualcosa, o qualcuno, non è una caratteristica dell'esperienza detta religiosa, ma fa parte della struttura dell'esistenza umana. Tutti "credono": tutti cioè, consapevolmente o meno, agiscono sulla base di una fiducia fondamentale in qualcosa o in qualcuno. Anche l'essere umano più cinico, che agisce unicamente a partire dall'aspirazione alla ricchezza, crede, appunto, nel denaro, da cui si ripromette vita e futuro.
Avrei ancora molta da aggiungere, ma, come gia detto non vorrei essere soverchiamente esteso.