PAMPHLET. Marco Santambrogio capovolge i luoghi comuni della sinistra sul diritto allo studio: piu' giustizia dove c' e' selezione
Non vuoi il numero chiuso all' universita' ? Allora sei classista
----------------------------------------------------------------- PAMPHLET Marco Santambrogio capovolge i luoghi comuni della sinistra sul diritto allo studio: piu' giustizia dove c'e' selezione Non vuoi il numero chiuso all'universita'? Allora sei classista L'universita' italiana? Un Robin Hood alla rovescia, che ruba ai poveri per dare ai ricchi. Con il miraggio della laurea gratis per tutti di fatto promuove i ceti privilegiati, mentre la maggioranza della popolazione, che la finanzia pagando le tasse, ne rimane esclusa o si perde per strada. L'unico modo per "democratizzare" gli atenei e' renderli piu' selettivi: meno iscritti, esami piu' severi, e vedremo aumentare il numero e la qualita' dei nostri laureati. Sembra un paradosso ma non lo e'. Lo dimostra, con solidi argomenti, Marco Santambrogio in un pamphlet in forma di dialogo tra un docente e una studentessa, Chi ha paura del numero chiuso? che esce in questi giorni da Laterza. Quasi per fare il controcanto alla Lettera a una professoressa di Don Milani, nella quale i ragazzi di Barbiana criticavano i docenti in nome dell'egualitarismo, qui e' il professore a cercare di persuadere l'allieva, Francesca, che proprio l'egualitarismo male inteso, il "donmilanismo" e' la forma peggiore di discriminazione. Santambrogio insegna filosofia del linguaggio all'Universita' di Cagliari e politicamente e' schierato a sinistra: si definisce "un socialdemocratico arrabbiato" o un "riformista radicale". Ma i bersagli della sua requisitoria sono proprio i pregiudizi della vecchia sinistra, radicati specialmente nelle file di Rifondazione, ma anche in certe aree del Pds. Prima fra tutte l'idea che l'eguaglianza si realizzi nell'uniformita' e che l'introdurre graduatorie di qualita' tra gli atenei sia un turpe disegno reaganiano. Questa concezione dell'eguaglianza finisce per trattare le universita' come se fossero dei tram o degli uffici postali. Ne derivano tutta una serie di degenerazioni, la manica larga verso gli studenti "part time", i fuori corso a vita, il livellamento verso l'alto dei voti di laurea. E quindi la svalutazione del titolo di studio. Con il risultato che, a conti fatti, la sola carta vincente e' il diritto ereditario: avvocati, medici, dirigenti d'azienda si trasmettono i posti di padre in figlio. Alla faccia dell'eguaglianza. Dice Santambrogio: l'eguaglianza, quella vera, consiste nel dare a tutti pari opportunita'. "Anche se i posti sono pochi, anche se sono poche le sedi scientificamente e didatticamente eccellenti, non si puo' parlare di un trattamento disuguale se tutti hanno la stessa possibilita' di accedervi". "Ho capito - sospira Francesca - anche tu sei caduto vittima della retorica liberista". Ma il professore incalza, citando gli esempi stranieri: i paesi che vantano i livelli piu' elevati di scolarizzazione sono proprio quelli che applicano il numero chiuso nelle universita'. E' per questa "eguaglianza competitiva" che gli studenti dovrebbero battersi. Perche' senza di essa non ci sono prospettive di lavoro qualificato. Oggi le differenze tra le varie universita' esistono, tutti sanno dove stanno i docenti migliori, le biblioteche migliori. Ma queste differenze vengono occultate, negate. E la liberta' di scegliere la facolta' a cui iscriversi e' solo apparente. La mobilita' degli studenti da una citta' all'altra, in Italia, e' resa quasi impossibile dalla scarsita' di strutture di accoglienza sul modello dei college di Oxford o di Cambridge. Pisa e Pavia sono in questo senso tra le pochissime isole felici. Come nelle favole a lieto fine, il dialogo si conclude con la capitolazione della studentessa, che si converte alle idee del professore. Magari fosse cosi' nella realta'. Magari ci fossero tanti Santambrogio, nei nostri atenei, disposti a sfidare l'impopolarita' pur di dire ai ragazzi le cose come stanno. Purtroppo i primi a rifiutare la logica della competizione sono proprio gli accademici. Forse e' a loro che dovrebbe rivolgere i suoi strali l'autore di questo libello. Anche a quelli che si autodefiniscono "riformisti radicali", e sono percio' degli irriducibili conservatori.*
Chiaberge Riccardo