Durante la Guerra Fredda tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, la corsa allo sviluppo dei razzi a combustibile solido si svolse tra segreti, esplosioni e spionaggio.
Nei primi anni Sessanta, Stati Uniti ed Unione Sovietica erano entrambi impegnati nel miglioramento del loro arsenale di missili balistici intercontinentali.
Una delle linee di ricerca tentate dagli Stati Uniti a questo scopo ebbe per oggetto la sintesi di composti ricchi di fluoro da usare per disporre di combustibili solidi per razzi più efficienti e potenti.
Quarant'anni dopo, uno dei partecipanti a quelle ricerche, ricostruisce la complessa vicenda delle spia sovietica che era riuscita ad infiltrarsi con successo in uno dei laboratori statunitensi dove si svolgevano gli esperimenti segreti.
In effetti i composti sintetizzati all'epoca si rivelarono inutilizzabili per i missili. Ma quel segreto così gelosamente custodito oggi potrebbe trovare un'applicazione inattesa nella terapia dei tumori.
Questo partecipante è un russo, appartenente all'Armata Rossa, che decise di restare negli Stati Uniti invece che tornare in Unione Sovietica dove probabilmente sarebbe finito in un gulag per sospetta collaborazione con i tedeschi... nel New Jersey ottenne un diploma universitario di primo livello in chimica.
Il lavoro che veniva svolto alla Thiokol Chemical Company era entusiasmante, ma a volte anche pericoloso, perché molti dei materiali erano altamente sensibili agli urti e avevano l'abitudine di esplodere alla minima "provocazione". Una volta, per esempio, un raffinatissimo apparato di distillazione esplose mentre veniva usato per separare alcuni composti difluoroamminici; per fortuna gli schermi di protezione impedirono di farsi male. Un'altra volta basto che un tecnico facesse ruotare una valvola perché l'attrito del corpo contro il manicotto innescasse un'esplosione; l'uomo riportò serie ustioni al braccio e alla mano. In un'altra occasione vi fu un rilascio accidentale di un gas altamente tossico, l'idruro di berillio. In quel caso non permisero a nessuno di entrare nei laboratori fino al giorno seguente.
Si trattava di sintesi organica d'avanguardia, e il personale del laboratorio era composto da chimici, fisici e ingegneri altamente qualificati. Inoltre c'erano a disposizione le attrezzature più valide e avanzate. Data la natura pericolosa dei materiali che si stavano sviluppando. si lavorava al riparo di spesse lastre protettive di plexiglass e si utilizzavano bracci robotici per maneggiare materiali tossici ed esplosivi.
Le ricerche di Kotloby (il russo di cui si parla sopra) comportavano la preparazione di materiali altamente energetici da usare nelle formulazione dei propellenti solidi per razzi. Le sostanze erano preparate mediante reazioni chimiche tra N2F4 e vari composti organici. Le molecole dei composti organici, per definizione, contengono atomi di carbonio e idrogeno, ma possono contenere anche ossigeno, azoto e altri atomi ancora. Per un breve periodo Kotloby et al. realizzarono reazioni tra N2F4 e una seri di composti usati nella preparazione degli uretani. I composti risultanti contenevano numerosi gruppi difluoroamminici, per dare al materiale le proprietà necessarie alle formulazioni di propellenti.
Le reazioni veniva condotte sotto una speciale cappa aspirante rivestita di piastre di acciaio dello spessore di pià di 6mm. Per far reagire N2F4 con vari composti ad alte temperature e pressioni, usavano piccoli cilindri di acciaio inossidabile da circa 150mL. Le chiamavano bombe forse perché il loro aspetto assomigliava a quello di una granata a mano o forse per la loro occasionale tendenza ad esplodere senza preavviso.
Tutti i tubi e le valvole del sistema a vuoto della cappa erano in acciaio inossidabile. La cappa era dotata anche di una piccola finestrella circolare in plexiglass dello spessore di poco più di 1cm, che permetteva di osservare la temperatura e la pressione durante il processo. Era stato Kotloby a progettare e costruire questo apparato, e così fu lui a diventare l'esperto di riferimento su questa tecnica.
Nel 1963 Kotloby e uno dei tecnici del gruppo, Warren Weiting, cominiciarono a sintetizzare un'intera serie di composti con un atomo di carbonio legato a tre gruppo NF2, facendo reagire la PFG (perfluoroguanidina) con degli alcooli. Si trattava di uno sviluppo importante, perché significava che si potevano sintetizzare composti con un numero di gruppi NF2 maggiore che usando la N2F4.
Alcuni di questi composti erano altamente sensibili agli urti. Una volta Weiting si vide esplodere in mano una microsiringa mentre iniettava pochi microlitri di uno di essi in un apparecchio per gascomatografia. A quanto pare, a provocare l'esplosione era bastato l'attrito generato dal movimento del pistone nella siringa.
Data l'estrema sensibilità agli urti di questi composti, era necessario che tutto il lavoro su questi materiali fosse svolto al riparo di schermi protettivi equipaggiati con dispositivi a controllo remoto. Notevoli sforzi furono profusi nella modifica di un laboratorio protetto esterno dove condurre gli esperimenti con la PFG. Era un piccolo edificio separato, a una ventina di metri da quello principale, costruito in acciaio spesso 13mm rivestito di compensato, con un'area di lavoro di circa 2m x 2.5m. C'era anche, nello stesso edificio, una sala di controllo separato, più o meno delle stesse dimensioni.
Il tetto dell'edificio era di materiale leggero, e non era fissato alle pareti in maniera troppo solida, per impedire alla pressione di crescere troppo in caso di esplosione. Dato che sarebbero bastate piccole quantitò di ossigeno atmosferico a dar luogo a reazioni esplosive con la PFG, le reazioni dovevano essere condotte in un sistema a vuoto costituito da tutta una serie di tubi di vetro e acciaio inossidabile collegati da numerose valvole. L'azionamento delle valvole della linea a vuoto, come altre operazioni, era condotto dalla sala di controllo per mezzo di un braccio manipolare meccanico. Una finestra di sicurezza in laminato plastico di mezzo pollice di spessore permetteva di osservare l'intera area di lavoro.
La PFG grezza era immagazzinata in un serbatoio al di fuori del laboratorio protetto, in un alloggiamento a temperatura controllata appositamente costruito. L'apertura di una valvola a controllo remoto permetteva a quantitativi misurati di PFG grezza di passare da questo serbatoio al sistema a vuoto, per poi condensare in una trappola di vetro raffreddata a -196 °C con N2 liquido, ed esser purificata a -110 °C.
Alla fine i lavori di ricerca sui composti difluoroamminici furono declassificati qualche anno più tardi. Quasi tutti i derivati difluoroamminici all'epoca non erano adeguati, in termini di stabilità, insensibilità agli urti o proprietà fisiche, a sostituire gli altri materiali già in uso, e quindi non si arrivò mai a un loro uso pratico come propellenti per razzi.
Negli anni Ottanta, poi, c'è stata una ripresa di interesse per i composti difluoroamminici, e da allora la ricerca è continuata presso la U.S. Naval AirWarfare Center Division di China Lake, in California, con il fine di produrre materiali energetici per sistemi d'arma. Le affascinanti ricerche condotte sui composti organici contenenti il gruppo NF2 potrebbe essere un mattone da costruzione con cui sintetizzare nuove molecole biologicamente attive.
L'uso del fluoro in sostanze dotate di attività biologica è oggetto di continue ricerche. Farmaci come il lipitor (per il controllo del colesterolo), l'advair (per l'asma) e il prevacid (per il reflusso gastrico), cioè tre dei dieci prodotti farmaceutici più venduti nel 2007, contengono nella molecola uno o più atomi di fluoro. E per più di 40 anni il fluorouracile è stato uno dei farmaci di punta della chemioterapia contro il cancro, ove funziona alterando la sintesi del DNA nelle cellule cancerose, che in seguito a ciò vanno incontro all'apoptosi, la morte cellulare programmata a livello biochimico.
La natura fortemente elettron-attrattiva del gruppo NF2 potrebbe farne un canditato per l'uso in farmaci anti-cancro o per altre sostanze dotate di attività biologica. Anche se i composti contenenti molti gruppi NF2 sono senz'altro assai sensibili agli urti, durante gli anni Sessanta sono stati preparati nei laboratori della Thiokol vari composti difluoroamminici di grande stabilità. Partendo dalla tetrafluoroidrazina (N2F4), un gas incolore che si dissocia rapidamente in radicali liberi, si possono sintetizzare numerosi composti contenenti il gruppo NF2. L'accoppiamento di queste sostanze con altri radicali liberi può condurre a molecole dotate di un gruppo NF2 assai stabili.
I composti con due gruppi difluoroamminici legati allo stesso atomo di carbonio (chiamati composti bis-difluoroamminici geminali) possono essere prodotti facendo reagire la difluoroammina con i chetoni, in cui sono presenti atomi di carbonio legati con un doppio legame all'ossigeno. Le bis-difluoroammine vicinali, che hanno due gruppi difluoroamminici legati ad atomi di carbonio adiacenti, si possono preparare per addizione di tetrafluoroidrazina alle olefine, molecole che contengono un doppio legame C=C. Le risultanti difluoroammine possono anche andare incontro a rapida deidrofluorurazione con varie basi a dare N-fluorimmine, che anch'esse potrebbero essere biologicamente attive.
Far legare un gruppo difluoroamminico a un anello di atomi di carbonio per produrre composti difluoroamminici aromatici presenta difficoltà maggiori. I composti aromatici sono insaturi, il che vuol dire che contengono doppi legami e hanno quindi la capicità di legare ulteriori atomi, ma sono meno reattivi di quel che ci si attenderebbe. È stato riferito che la fluorurazione diretta di ammine aromatiche debolmente basiche in HF liquido conduce alla formazione di derivati difluoroamminobenzenici. Questa tecnica potrebbe rivelarsi utile per sintetizzare basi puriniche o pirimidiniche contenenti gruppi NF2 o NF, che a loro volta potrebbero essere utili nella terapia del cancro.
Queste basi, ricche di azoto, costituiscono gran parte del DNA, dell'RNA e di altri composti di interesse biologico. L'idea base della chemioterapia è quella di introdurre nell'ambiente in cui si formano le cellule cancerose composti che imitano il comportamento chimico delle basi naturali. Dato che però le basi introdotte contengono atomi "irregolari" come il fluoro, questi composti danno luogo alla formazione di DNA distorto, che provoca la rapida morte delle cellule cancerose. Questo processo colpisce anche le cellule normali, e quindi una vivace area di ricerca è rivolta a realizzare farmaci chemioterapici che attachino le sole cellule cancerose.
Come la natura umana, la scienza non è sempre lineare nei suoi percorsi, e può procedere in direzioni inattese. C'è un'ironia del destino nel fatto che composti concepiti in origine per scopi tanto distruttivi possano avere effetti benefici e salvare vite umane.