Ok,questa non è una frase tratta da un libro(che io sappia),ma una citazione inerente al tema del topic:
Leggo per legittima difesa.
- Woody Allen
Ok,questa non è una frase tratta da un libro(che io sappia),ma una citazione inerente al tema del topic:
Leggo per legittima difesa.
- Woody Allen
Poi, guardando il sole, disse: "Sei brutto". Milton assentì con gli occhi e lei riprese: "Hai occhi stupendi, la bocca bella, una bellissima mano, ma complessivamente sei brutto". Girò impercettibilmente la testa verso di lui e disse: "Ma non sei poi così brutto. Come fanno a dire che sei brutto? Lo dicono... senza riflettere".
B. Fenoglio - Una Questione Privata
Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia una realtà o un sogno.
Artblog - 23. Italo Calvino - La Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno
Non lo incollo tutto, sono 10 pagine di word.
E' la prefazione dell'edizione del '64 de "il sentiero dei nidi di ragno", di Italo Calvino.
E sono delle pagine straordinarie...
Sono in vena di divulgare cultura e Calvino era un grande ^^
E se qualche maturando vuole darci un'occhiata, penso che sia la riflessione più chiara e bella su quello che è stato il neorealismo letterario.
Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia una realtà o un sogno.
L'ho trovata vagando a caso su internet:
(per avvalorare la mia teoria per cui dal '45 al '55 sono state scritte alcune delle cose più belle del '900)
The night you slept
Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange muta,
dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia ?
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e t'implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.
La notte soffre e anela l'alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c'è chi come te attende l'alba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l'alba.
4 aprile '50
Cesare Pavese
Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia una realtà o un sogno.
sto monopolizzando questo topic xD
Furono mesi d'ozio e di relativo benessere, e perciò pieni di nostalgia penetrante. La nostalgia è una sofferenza fragile e gentile, essenzialmente diversa, più intima, più umana delle altre pene che avevamo sostenuto fino a quel tempo: percosse, freddo, fame, terrore, destituzione, malattia. E' un dolore limpido e pulito, ma urgente: pervae tutti i minuti della giornata, non concede altri pensieri, e spinge alle evasioni.
Forse per questo, la foresta intono al campo esercitava su di noi un'attrazione profonda. Forse perché offriva, a ognuno che lo ricercasse, il dono inestimabile della solitudine: e da quanto tempo ne eravamo privi! Forse perché ci ricordava altri boschi, altre solitudini della nostra esistenza precedente, o forse perché invece, al contrario, perché era solenne e austera come nessun altro scenario a noi noto.
Primo Levi - La Tregua
a mio modestissimo parere, il vero capolavoro di Primo Levi...
---------- Messaggio aggiunto alle 23:06 ----------
Hurbinek era un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz. Dimostrava tre anni circa, nessuno sapeva niente di lui, non sapeva parlare e non aveva nome: quel curioso nome, Hurbinek, gli era stato assegnato da noi, forse da una delle donne, che aveva interpretato con quelle sillabe una delle voci inarticolate che il piccolo ogni tanto emetteva.
Era paralizzato dalle reni in giù, ed aveva le gambe atrofiche, sottili come stecchi; ma i suoi occhi, persi nel viso triangolare e smunto, saettavano terribilmente vivi, pieni di richiesta, di asserzione, della volontà di scatenarsi, di rompere la tomba del mutismo.
La parola che gli mancava, che nessuno si era curato di insegnargli, il bisogno della parola, premeva nel suo sguardo con urgenza esplosiva: era uno sguardo selvaggio e umano ad un tempo, anzi maturo e giudice, che nessuno fra noi sapeva sostenere, tanto era carico di forza e di pena.
Nessuno, salvo Henek: era il mio vicino di letto, un robusto e florido ragazzo ungherese di quindici anni. Henek passava accanto alla cuccia di Hurbinek metà delle sue giornate. Era materno più che paterno: è assai probabile che, se quella nostra precaria convivenza si fosse protratta al di là di un mese, da Henek Hurbinek avrebbe imparato a parlare; certo meglio che dalle ragazze polacche, troppo tenere e troppo vane, che lo ubriacavano di carezze e di baci, ma sfuggivano la sua intimità.
Henek invece, tranquillo e testardo, sedeva accanto alla piccola sfinge, immune alla potenza triste che ne emanava; gli portava da mangiare, gli rassettava le coperte, lo ripuliva con mani abili, prive di ripugnanza; e gli parlava, naturalmente in ungherese, con voce lenta e paziente.
Dopo una settimana, Henek annunciò con serietà, ma senza ombra di presunzione, che Hurbinek «diceva una parola». Quale parola? Non sapeva, una parola difficile, non ungherese: qualcosa come «mass-klo», «matisklo». Nella notte tendemmo l’orecchio: era vero, dall’angolo di Hurbinek veniva ogni tanto un suono, una parola. Non sempre esattamente la stessa, per verità, ma era certamente una parola articolata; o meglio, parole articolate leggermente diverse, variazioni sperimentali attorno a un tema, a una radice, forse a un nome.
Hurbinek continuò finché ebbe vita nei suoi esperimenti ostinati. Nei giorni seguenti, tutti lo ascoltavamo in silenzio, ansiosi di capire, e c’erano fra noi parlatori di tutte le lingue d’Europa: ma la parola di Hurbinek rimase segreta.
Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero; Hurbinek, che aveva combattuto come un uomo, fino all’ultimo respiro, per conquistarsi l’entrata nel mondo degli uomini, da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morì ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole.
Primo Levi - La Tregua
(una delle pagine più belle scritte da Levi)
Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia una realtà o un sogno.
Ed ecco sorgere a poco a poco la percezione del luogo in cui mi trovavo, il bisogno di far conoscere le mie volontà a coloro che avrebbero dovuto eseguirle; ma non potevo farlo, essendo quelle dentro me, essi invece al di fuori, sprovvisti di qualsiasi mezzo per penetrare nel mio intimo.
Una cosa mi sorrideva: amare ed essere amato: ma non ne mantenevo la misura [...]
Reso sordo dalle stridenti catene della mia mortalità, castigo dell'anima mia superba, mi allontanavo sempre più da Te, e Tu lo permettevi; venivo sbattuto qua e là, mi disperdevo, mi struggevo, ribollivo nelle mie fornicazioni, e tacevi! O gioia mia tardiva! Tu tacevi allora, e io me ne andavo sempre più lontano, verso sempre più numerosi e sterili germi di dolori, in superba abiezione, in inquieta stanchezza.
Sant'Agostino - Le confessioni di un peccatore
La gente che desidera avere un'alta opinione della propria perfezione morale deve quindi persuadersi di avere raggiunto un grado di altruismo che è molto improbabile abbia raggiunto, e di qui ecco che il tentativo di avvicinarsi alla perfezione viene ad essere connesso a quella illusoria immagine di se stessi che, se contrastata dalla realtà esterna, conduce facilmente alla mania di persecuzione. -B. Russel-
Ille mi par esse deo videtur,
ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit
dulce ridentem, misero quod omnis
eripit sensus mihi: nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
lingua sed torpet, tenuis sub artus
flamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures, gemina et teguntur
lumina nocte.
otium, Catulle, tibi molestum est:
otio exsultas nimiumque gestis:
otium et reges prius et beatas
perdidit urbes.
Lui mi pare simile a un Dio, e, anzi, sembra superare gli dei, lui che siede di fronte a te, che guarda e ascolta, che ride dolcemente, e così toglie a me, misero me, ogni senso. Appena t'ho guardata, Lesbia, nulla mi è rimasto.
Ma la lingua s'intorpidisce, una fiamma leggera si espande sotto le mie membra, le orecchie mi ronzano, e i miei occhi si nascondono dalla notte. L'ozio, Catullo, ti è nemico: lo ami, e ne sei vittima: l'ozio distrusse i primi re e le beate città
(la traduzione è mia -.- quella del sito da cui ho preso il testo in latino era addirittura più brutta, quindi l'ho tradotto io -.-)
Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia una realtà o un sogno.
Per definizione, uno deve vivere fino a quando muore. E allora meglio viversela e godersela come un'esperienza completa, la vita, anche perché poi magari la morte è una cagata, e ho il sospetto che lo sia. Irvine Welsh
Quel che uccide l'amore, vedi, è la cultura amorosa: a tutti gli uomini verrebbe duro, se non sapessero che agli altri uomini viene duro
(Daniel Pennac, Il Paradiso degli Orchi)
Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia una realtà o un sogno.