«Cella matrimoniale? Mi auguro che quei due vengano separati e che non possano mai più rivedersi»: Mario Frigerio, unico scampato alla strage dell’11 dicembre del 2006, così aveva commentato il verdetto della Corte d’assise di Como. La separazione come pena aggiuntiva, il dolore di non vedere più la persona che si ama come nemesi inflitta agli autori del quadruplice delitto. Pareva che il desiderio di Frigerio potesse essere esaudito e invece no: i ripetuti ricorsi degli avvocati di Olindo e Rosa,
convinti che i due non meritino una detenzione afflittiva, paiono adesso aver aperto una breccia. Nadia Buttelli, giudice di sorveglianza di Reggio Emilia (competente per il carcere di Parma)
chiede di conoscere le ragioni per cui la coppia diabolica venne allontanata da Como «dove non venivano mai segnalati problemi » e raccomanda che ai due siano garantiti i colloqui che fino a oggi si sono svolti solo a singhiozzo. La storia di questo marito e questa moglie uniti nell’amore e nel sangue è già spiazzante di suo: mai in contrasto tra loro nemmeno nei momenti più drammatici della vicenda giudiziaria, sempre mano nella mano durante le udienze in Corte d’Assise, lei — maniaca compulsiva dell’ordine domestico — che gli aggiusta il colletto della camicia, lui che in mancanza di meglio le regala a Natale degli origami fatti con la stagnola dei pacchetti di sigarette.
Non il carcere a vita, non la vista in aula delle foto che ritraevano lo scempio commesso nell’appartamento di via Diaz parevano spaventare gli imputati. L’unico provvedimento che aver colpito al cuore Olindo e Rosa era stato quello del 23 dicembre 2008 con cui la direzione centrale degli istituti di pena (contro il parere della direzione carceraria della Lombardia) stabiliva il trasferimento da Como dei due detenuti assegnando lei a Vercelli e lui a Piacenza. Dicono che Rosa fosse caduta in pianti interminabili e crisi depressive, il marito di contro era divenuto aggressivo con le guardie, tanto da dover essere spostato ulteriormente a Parma.
Enzo Pacìa, uno dei difensori della coppia aveva fatto ricorso contro quel*lo spostamento ritenendolo inumano e pericoloso per la salute della coppia. Gli avevano risposto picche: «Il trasferimento dei detenuti...rientra nei poteri e nelle scelte dell’amministrazione, come tali insindacabili nel merito al fine di garantire la sicurezza negli istituti di pena».
Il perché di quello spostamento rimaneva dunque un segreto, ma adesso sul cono d’ombra vuole fare luce la giudice Buttelli («a parere di questo magistrato...non è possibile compren*dere le motivazioni di tale decisione »). Una relazione del carcere di Parma descrive Olindo affetto da «ansia e flessione dell’umore legata all’inattività e alla diminuita possibilità di contatto con la moglie, soffre della sorveglianza a vi*sta... non può fare socialità e questo è ul*teriore elemento di ansia e lamentela».
Insomma, Olindo separato dalla sua Rosa soffre e deperisce, anche perché i colloqui mensili sono saltati più volte per disguidi tecnici. E per questo il provvedimento della giudice Buttelli, protocollato il primo settembre scorso, si chiude disponendo l’acquisizione delle ragioni che hanno determinato la separazione carceraria dei due condannati all’ergastolo. Olindo e Rosa continuano a passare i loro giorni a Parma e Vercelli; per loro si riaccende una speranza, per chi ha patito lo strazio della strage di Erba qualcos’altro.