Vivere con un fumatore è come vivere nella città più inquinata al mondo:
Chi vive in una casa dove si fuma è come se respirasse l’aria di una città particolarmente inquinata, esponendosi a livelli di particelle dannose di 3 volte superiori a quelli considerati sicuri. In più, è esposto a tutti i rischi per la salute che il fumo di seconda mano comporta: tra questi, le malattie respiratorie e cardiovascolari
L'aria che si respira a casa di un fumatore è come quella di una città molto inquinata.
Vivere in una casa in cui c’è anche solo una persona che fuma è un po’ come vivere e respirare l’aria di una città molto inquinata. Se poi si vive proprio anche in città, allora è anche peggio. Secondo un nuovo studio, infatti, chi respira il fumo cosiddetto di seconda mano, inala livelli di particelle dannose di ben tre volte superiori a quelli considerati sicuri. Questa situazione fa aumentare in modo significativo il rischio di sviluppare una malattia respiratoria o cardiovascolare, anche se non si fuma.
Ecco pertanto come sia importante che i fumatori divengano più sensibili ai danni che, oltre a se stessi, possono causare alla salute di chi vive accanto a loro.
Il rischio è originato dal particolato fine, o PM2.5. Si tratta sostanzialmente di polveri sottili, o fuliggine, che aleggiano nell’ambiente e che le persone respirano. Questo particolato è stato utilizzato come marker per l’esposizione al fumo di seconda mano, in particolare per valutare l’esposizione e la concentrazione nei locali pubblici. I dati raccolti nel tempo, prima che le autorità decidessero per il divieto di fumo, mostrano che queste concentrazioni spesso superavano i livelli di sicurezza stabiliti dalle Agenzie per l’Ambiente e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Le polveri sottili caratterizzano l’ambiente cittadino, con le principali fonti di emissioni rappresentate dai gas di scarico dei veicoli a motore, le emissioni industriali e quelle degli impianti di riscaldamento.
Per dunque valutare l’impatto del fumo di seconda mano sull’aria degli ambienti chiusi, i ricercatori scozzesi hanno cercato di stimare la presenza di particelle sottili nella case di fumatori e non-fumatori, al fine di determinare la quantità di PM2.5 inalata dai diversi gruppi di età.
Per far ciò, gli autori hanno studiato i dati raccolti da quattro studi collegati, condotti in Scozia tra il 2009 e il 2013, che hanno misurato in tempo reale i livelli di PM2.5 nelle case. Dopo di che, hanno combinato i dati con quelli sui tassi tipici di respirazione e i modelli tempo-attività.
In tutti e quattro gli studi sono state escluse case che avrebbero potuto essere una significativa ulteriore fonte di PM2.5, come la combustione interna di carbone o altri combustibili solidi.
Nel totale, sono state analizzate 93 case di fumatori e altre 17 di non-fumatori. La maggior parte del campionamento è durato 24 ore, con l’eccezione di uno studio che è durato per un periodo di 6-7 giorni.
I risultati, pubblicati sul BMJ (British Medical Journal), hanno mostrato che le concentrazioni medie di PM2.5 nelle 93 case di fumatori erano circa 10 volte superiori a quelle trovate nelle 17 case di non fumatori. Per cui, i non fumatori che vivono con i fumatori avevano in media livelli di esposizione al PM2.5 più di tre volte superiori rispetto a quelli delle linee guida dell’OMS per l’esposizione annuale di PM2.5 (10 ìg/m3).
Secondo quanto stimato dai ricercatori, la massa complessiva di PM2.5 inalata per un periodo di 80 anni da una persona che vive in una casa senza fumo era di circa 0.76 g, confrontato con una persona che vive in una casa di fumatori che può inalare circa 5.82 g di particolato – una differenza notevole. Basti pensare che se chi vive in quella casa smettesse di fumare, permetterebbe di ridurre di oltre il 70% l’assunzione di PM2.5.
«Questi risultati – scrivono gli autori – supportano infine la necessità di sforzi per ridurre l’esposizione in casa all’SHS [fumo di seconda mano]».
«I fumatori spesso esprimono il parere che l’inquinamento dell’aria esterna è una preoccupazione, tanto quanto il fumo di seconda mano nella loro casa. Queste misurazioni mostrano che il fumo di seconda mano può produrre livelli molto elevati di particelle tossiche in casa: molto più alti di qualsiasi altra cosa al di fuori sperimentata nella maggior parte delle città del Regno Unito. Rendere senza fumo la vostra casa è il modo più efficace per ridurre seriamente la quantità inalata di particelle sottili dannose», conclude il dottor Sean Semple dell’Università di Aberdeen e autore principale dello studio.
Insomma, se qualcuno a casa fuma, digli di smettere.
Fumo di terza mano mortale come quello di prima mano:
Che una sigaretta inquinasse quanto 6 tir si sapeva, a quanto pare però è ragionevole pensare che i veleni contenuti nel fumo siano pericolosi anche per i materiali che toccano.Nuove conferme sulla pericolosità e sugli effetti altamente nocivi del fumo di terza mano. In pericolo fegato, polmoni, ferite cutanee e persino comportamenti anomali
Una ricerca del giugno scorso (vedi articolo) , aveva messo in evidenza come il fumo di terza mano, ovvero il residuo che rimane su pareti, mobili e altri oggetti della casa sia molto pericoloso per la salute, e come addirittura sia ancora peggio di quello passivo. Oggi, una nuova ricerca condotta dall’Università della California (UC) non solo conferma il precedente, ma dimostra come il fumo di terza mano possa provocare iperattività, danni ai polmoni, al fegato e ritardi nella guarigione di alcune ferite.
Chi fuma diviene dunque pericoloso per se stesso e per la salute di chi vive in casa con lui. I ricercatori dell’Università della California di Riverside sentenziano: il fumo di terza mano è mortale almeno quanto quello di prima mano.
Quest’ultimo è il fumo che viene inalato direttamente da chi fuma, mentre quello di seconda mano è quello che percepisce chi sta vicino a l fumatore e, infine, quello di terza mano è quello che rimane come residuo nell’ambiente anche dopo diverso tempo e che diviene ogni giorno più tossico per chi soggiorna in un locale in cui è presente.
«Abbiamo studiato, sui topi, gli effetti del fumo di terza mano su diversi sistemi di organi in condizioni che simulavano l’esposizione al fumo di terza mano negli esseri umani», racconta Manuela Martins-Green, professoressa di biologia cellulare e coordinatrice dello studio. «Abbiamo trovato che si cagiona un danno significativo a fegato e polmoni. Inoltre, le ferite di questi topi ci hanno messo molto più tempo per guarire. Infine, i topi esposti mostravano sintomi di iperattività».
Non bisogna sottovalutare i rischi del fumo di terza mano perché chiunque vive in casa con un fumatore può incappare in grossi pericoli per la salute. Le stanze in cui si fuma, infatti, trattengono sostanze cancerogene fortemente rischiose per il benessere di chi ci vive.
Durante lo studio si è potuto evidenziare come i topi esposti al fumo di terza mano abbiamo mostrato evidenti alterazioni nei vari organi e livelli di agenti cancerogeni specifici del tabacco, simili a quelli trovati nei bambini esposti al fumo di seconda mano.
Nel fegato sono stati rilevati livelli di lipidi più elevati e “fegato grasso”, precursore di cirrosi e cancro e aumentato rischio di malattie cardiovascolari.
Nei polmoni, il fumo di terza mano sembra essere implicato nella produzione eccessiva di collagene e alti livelli di citochine infiammatorie, suggerendo che tuto ciò possa causare l’asma e la malattia polmonare ostruttiva cronica.
Per quanto riguarda il resto, nei topi esposti le ferite tardavano a chiudersi e vi era un forte rischio di iperattività.
«Questi ultimi dati, combinati con problemi comportamentali emergenti associati nei bambini esposti al fumo di seconda e terza mano, suggeriscono che con l’esposizione prolungata possono essere a rischio significativo per lo sviluppo di più gravi disturbi neurologici», spiega Martins-Green.
Sempre più studi confermano l’ipotesi del rischio da fumo di terza mano, ma questo è il primo che è stato in grado di comprendere cosa accade in caso di esposizione continua.
«C’è una necessità critica di esperimenti per valutare gli effetti biologici dell’esposizione al fumo di terza mano che daranno informazioni per gli studi successivi epidemiologici e clinici – sottolinea Martins-Green – Tali studi possono determinare i potenziali rischi per la salute umana, e la progettazione di test clinici che sono potenzialmente in grado di contribuire alle politiche che portano alla riduzione sia dell’esposizione che della malattia».
Il team di ricerca ha anche valutato altri eventuali danni causati dal fumo di terza mano.
«Più di recente abbiamo scoperto che l’esposizione al fumo di terza mano può portare al diabete di tipo II, anche quando la persona non è obesa – aggiunge Martins-Green – C’è ancora molto da imparare circa i meccanismi specifici con cui i residui di fumo di sigaretta danneggiano i non fumatori, ma che ci sia un tale effetto è ormai chiaro. I bambini che si trovano ambienti in cui c’è il fumo, o è stato presente, sono a rischio significativo di soffrire sia a breve termine che avere problemi di salute più a avanti nel tempo, molti dei quali non possono manifestarsi completamente fino a tarda età».
Secondo i dati acquisiti, i bambini che hanno almeno un genitore che fuma in casa restano assenti da scuola per almeno il 40 per cento in più, rispetto ai figli dei non fumatori.
A questo punto è ovvio che sono necessarie misure preventive di gran lunga migliori di quelle attuate finora per proteggere i bambini – e tutti i non fumatori – che abitano in casa di chi ancora ha il vizio del fumo.
FONTI:
http://www.lastampa.it/2014/10/22/sc...kI/pagina.html
http://www.lastampa.it/2014/02/01/sc...bO/pagina.html