ROMA - Nessun patto. Nessun accordo nascosto tra il Colle e il premier per consentire il via libera al lodo Alfano. Dopo gli attacchi di Berlusconi e i veleni del Giornale, il Quirinale decide che la misura è colma e decide di replicare. "E' del tutto falsa l'affermazione che al Quirinale si siano stipulati patti su leggi la cui iniziativa, com'è noto, spetta al Governo, e tanto meno sul superamento del vaglio di costituzionalità affidato alla Consulta". Nessun patto, dunque. Semmai, come di consueto, una collaborazione tra gli uffici della presidenza e dei ministeri competenti: "Prassi da lungo tempo consolidata di semplice consultazione e leale cooperazione, che lascia intatta la netta distinzione dei ruoli e delle responsabilità".
La nota del Colle ricostruisce così la vicenda. A partire dalla "palese incostituzionalità dell'emendamento 'blocca processi'". Successivamente il cdm adottò il disegno di legge Alfano in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato. Napolitano ne autorizzò la presentazione al Parlamento, e successivamente, dopo l'approvazione da parte delle Camere, promulgò la legge. Un via libera che "non poteva in nessun modo costituire 'garanzia' di giudizio favorevole della corte in caso di ricorso". Ed ancora: "Il rispetto dell'indipendenza della
Corte Costituzionale e dei suoi giudici, doveroso per tutti, ha rappresentato una costante linea di condotta per qualsiasi Presidente della Repubblica".
Le ragioni della Consulta. Ironia della sorte, a dare il via libera alla
bocciatura del lodo Alfano da parte della Consulta, sarebbe stata una sentenza che riguardava una dei fedelissimi del Cavaliere, Cesare Previti. Da quanto si apprende
la sentenza n. 451 del 2005, sarebbe stata individuata dai giudici come precedente utile per la loro pronucia sul lodo.
In quella sentenza la Corte avrebbe stabilito un mood per trovare un equilibrio tra le esigenze pubbliche da parte delle alte cariche dello Stato e quelle di un corretto svolgimento di un eventuale processo penale a loro carico.
Allora la Corte Costituzionale scrisse che, nel caso un imputato sia anche componente di un ramo del Parlamento, il giudice ha "l'onere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari".
Muovendo dalla sentenza di quattro anni fa - secondo quanto trapelato da ambienti vicini alla Corte, che affronterà l'argomento nel motivare la bocciatura del lodo Alfano - il conflitto tra esigenze processuali ed extraprocessuali nel caso di alte cariche dello Stato potrebbe essere risolto senza violare il principio di uguaglianza: i processi a Berlusconi, ad esempio, andrebbero avanti, ma i giudici avrebbero l'obbligo di fissare, d'intesa con il premier, un calendario delle udienze che tenga conto degli impegni istituzionali del presidente del consiglio, in modo da evitare coincidente e non compromettere il diritto di difesa.