Mafia e politica nell’Italia di Berlusconi
Pubblicato sabato 31 maggio 2008 in
Spagna [El Paìs]
TRIBUNA: ALEXANDER STILLE
I capi mafia hanno rapporti con i politici siciliani e napoletani, che, a loro volta, sostengono i leader nazionali. E tutti loro prendono parte ad una lotta contro il potere giudiziario. Però, attenzione a chi osa parlarne!
31/05/2008
Nel 2001, un capo della mafia siciliana di nome Giuseppe Guttadauro noto’ d’improvviso qualcosa di strano nel suo salotto, che risultò essere un dispositivo elettronico di ascolto. “Così, Totò Cuffaro aveva ragione!”, ha esclamato. Sono state le ultime parole sentite dalla polizia dette da Guttadauro prima di scollegare il microfono e, quindi, interrompere l’inchiesta. Il nome che è stato pronunciato non era niente di meno che quello del presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, Totò per i suoi amici. La conversazione è stata una delle principali prove che hanno consentito quest’anno di condannare Cuffaro per complicità con diversi mafiosi che erano sotto indagine penale.
Tuttavia, nonostante questa condanna, che è attualmente in fase di ricorso, Cuffaro è riuscito ad essere eletto il mese scorso al Senato italiano dalla piccola parte cattolica, di sezione centrista.
L’ascolto dal salone di Guttadauro, prima che lui scollegasse, fornisce un utile quadro di come la mafia pensa e parla di politica. “Totò Cuffaro è la cosa migliore che potremmo chiedere,” dice l’interlocutore di Guttadauro, un medico di nome Salvatore Aragona. “Speriamo che vinca la destra”, ha detto Guttadauro, “Berlusconi, per risolvere i suoi problemi, deve risolvere anche i nostri.”
Ci sono buone ragioni di credere che questo è vero. Da quando è salito al potere per la prima volta nel 1994, Berlusconi ha condotto un’ inesorabile campagna per indebolire i poteri della magistratura italiana, che ha sottoposto lui e vari suoi collaboratori a processi per accuse che vanno dalla corruzione alla collusione con la mafia. Uno dei migliori amici ed ex capo del partito di Berlusconi, Marcello Dell’Utri, di Palermo, è stato dichiarato colpevole di questi ultimi. E dopo che accusarono Cuffaro di aver informato Guttadauro, Berlusconi stesso lo ha chiamato per manifestare la sua solidarietà e dirgli: “Ho parlato con il Ministro degli Interni e mi ha detto che tutto è sotto controllo”. Nella stessa conversazione, Cuffaro ha detto a Berlusconi: “Già sai che ti vogliamo bene e che sei nelle mie preghiere ogni mattina.”
Questa serie di colloqui mostra come la mafia si è inserita nella vita politica dell’Italia. I suoi capi locali hanno legami con i politici siciliani, ai quali danno il denaro e dai quali ricevono favori, sia sotto forma di appalti pubblici o avvisandoli quando le loro società sono sotto inchiesta. Da parte loro, i politici locali accumulano basi di potere significativi e un gran numero di fedeli elettori, e i politici nazionali cercano tali contatti e, a loro volta, li aiutano. Si tratta di un sistema basato sul clientelismo e sul potere, che ha il sostegno della criminalità organizzata.
Anche se ci sono testimoni che sostengono che la mafia ha fatto un patto con Berlusconi, e che Marcello Dell’Utri è il loro intermediario, non è necessario credergli per rendersi conto che c’è in ogni caso, un rapporto molto insano. La mafia, come rendono chiare le dichiarazioni del boss Guttadauro, agisce partendo dal principio che il nemico del mio nemico è mio amico. E sia la mafia che Berlusconi stanno scatenando da tempo una guerra incessante contro la magistratura italiana.
Con qualche aiuto da parte del centro-sinistra, bisogna riconoscerlo, la coalizione di Berlusconi ha riscritto il diritto penale in modo tale che ora è infinitamente più difficile condannare imputati di tutti i tipi, inclusi i mafiosi. La lunghezza dei processi è raddoppiata ed i cambiamenti giuridici offrono mille opportunità per ritardare o revocare i processi basandosi su piccoli dettagli tecnici, con il risultato che, quindi, è già trascorso troppo tempo dal momento in cui è stato commesso il reato. In quasi tutti i paesi, i tempi di prescrizione vengono calcolati a partire dall’inizio delle azioni giudiziarie, ma in Italia non è il caso, e quindi molte condanne si eludono semplicemente grazie ai ritardi. Inoltre, il Parlamento italiano ha rimosso i carceri speciali per i più pericolosi capi mafia, che impedivano loro quasi completamente di comunicare con le loro organizzazioni, e ha ridotto i vantaggi per i testimoni che cooperano. Inoltre, il centro-sinistra del governo di Romano Prodi, con sostegno entusiasta del centro-destra, ha approvato un’amnistia che ha permesso la liberazione di 26.000 prigionieri; ha impedito al principale avvocato di Berlusconi, Cesare Previti, condannato per corruzione di giudici, di andare in prigione, e ha messo in strada diversi accusati di appartenenza alla criminalità organizzata.
Tutto questo non solo è moralmente ripugnante, ma è di cruciale importanza per il mandato del nuovo Governo di centro-destra. Tra i più importanti temi della recente campagna elettorale ci sono stati la criminalità e la sicurezza. Per trattare ciò, il governo dovrà cambiare la sua politica in materia di giustizia penale. Come ha recentemente affermato Antonio Manganelli, capo della polizia italiana, “molto di ciò che facciamo è inutile a causa del funzionamento giudiziario. Abbiamo un sistema di giustizia che è lento e complicato che fa si che la polizia compia sforzi invano.” Inoltre, la coalizione di Berlusconi si basa su una profonda contraddizione. Da un lato, è molto forte nel nord, dove il gruppo è alleato con gli autonomisti della Lega Nord. Dall’altro, ha grande forza nel sud, dove il centro-destra è supportato da un sistema di clientelismo che ha notevolmente beneficiato dalle bande della criminalità organizzata. La Lega Nord, il principale vincitore alle elezioni del mese scorso, sta contro il fatto che il denaro delle imposte del nord si utilizzi per sostenere uno stato sociale nel sud.
Un altro importante aspetto della campagna è stato il disastro dei rifiuti che si accumulano nelle strade di Napoli e di altre città vicine. Nel sud Italia, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti è in gran parte nelle mani della criminalità organizzata. Pertanto, per ripulire Napoli, il governo deve affrontare la camorra, la versione napoletana della mafia. E la presenza di numerosi politici (molti di più di quelli menzionati qui) che hanno legami amichevoli con la criminalità organizzata mette l’attuale governo in rotta di collisione tra il mandato di cambiamento che ha promesso agli elettori e il radicato sistema di clientelismo nel sud, di cui la Mafia è un pilastro fondamentale.
Tuttavia, la presenza di numerose figure note per i legami con la criminalità organizzata nella lista elettorale dal centro-destra non è stata una questione di cui si è discusso in campagna. La coalizione di Berlusconi ha incluso il suo buon amico Marcello Dell’Utri, nonostante la sua condanna per le relazioni con la mafia, in piena campagna, Dell’Utri ha fatto alcune strane dichiarazioni che hanno fatto riferimento ad un mafioso di nome Vittorio Mangano -condannato tra l’altro per omicidio e traffico di eroina- che lui ha qualificato come “eroe”. Dell’Utri aveva assunto negli anni settanta Mangano a lavorare per Berlusconi, tra le altre cose per prendere e portare i suoi figli a scuola. Mangano ha continuato ad essere nei suoi libri paga, anche dopo aver smesso di lavorare e dopo che la sua lunga fedina penale è venuta alla luce. In campagna, Dell’Utri ha lodato Mangano per aver rifiutato di testimoniare contro di lui e contro Berlusconi ed aver preferito l’omertà tradizionale del mafioso. Berlusconi, invece di distanziarsi dalle lodi che Dell’Utri aveva detto ad un assassino e narcotrafficante, ha aggiunto la sua voce alle elogi dell’ “eroe” Mangano.
Il nuovo presidente della Camera Bassa del Parlamento, Renato Schifani, ha avuto rapporti d’affari con due uomini che sono stati successivamente condannati per appartenenza alla Mafia, ed ha ricevuto un contratto lucrativo per modificare la classificazione del terreno in una cittadina siciliana il cui Consiglio è stato sciolto due volte per essere sotto il controllo della mafia. Tuttavia, quando il giornalista italiano Marco Travaglio ha menzionato questi dati –che sono stati negati un paio di giorni fa in televisione, è scoppiato il caos. Ma la rabbia e l’indignazione non si sono innescate nei confronti del politico per le sue
liaisons pericolose, ma contro il giornalista e quelli che gli avevano permesso di parlare in televisione.
Alexander Stille è professore presso la Columbia University, New York, esperto di mafia