L'Ocse rivela un record italiano: in un caso su due il reddito  dei genitori
incide sulla vita degli eredi. Un genitore laureato è garanzia di un  buon salario
Siamo il Paese dei figli di papà
lo stipendio è un fatto ereditario
di 
MAURIZIO RICCI
 
Andate nel reparto maternità di qualsiasi ospedale. Guardate due culle  vicine. I due neonati sembrano uguali, ambedue sani, vispi, vitali. Ma  voi siete già in grado di dire che quello a sinistra, da adulto,  guadagnerà almeno il 20 per cento in più di quello a destra, 2.500 euro  al mese, ad esempio, invece di 2 mila. Come fate a dirlo? Semplice,  quello a sinistra è figlio di un ingegnere. Non che quello a destra sia  figlio di un barbone. Suo padre, in fondo, è ragioniere. La distanza fra  i due titoli di studio paterni non sembra un abisso: ma è sufficiente  per prevedere, con buona approssimazione, i loro, futuri, rispettivi  redditi. Del resto, il bambino ancora più a destra, da adulto, porterà a  casa non più di 1.500 euro al mese: suo padre è un operaio, che non è  andato al di là delle medie inferiori.
E' l'instantanea di una società immobile, pietrificata, con gerarchie  sociali ed economiche pressoché immutabili, dove il merito individuale  conta poco e in cui, dunque, salire la scala è una possibilità minima e  precaria. In buona misura, lo sapevamo già, ma adesso lo certifica  l'Ocse, l'organizzazione che raccoglie i paesi industrializzati, in uno  studio di prossima pubblicazione ("A Family Affair"), che esamina, dati e  statistiche alla mano, la mobilità sociale tra le generazioni, nei  paesi ricchi del mondo. Ne risulta una spaccatura netta fra chi  (Australia, Canada, paesi nordici) tende ad avere una mobilità sociale  vivace e chi, invece, ne registra una lenta e faticosa: i paesi  mediterranei e altri, che siamo abituati a considerare "democrazie  avanzate", come Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna. Ma l'Italia va a  collocarsi nel gruppo di testa della vischiosità sociale in quasi tutti i  parametri considerati. E il futuro non appare migliore, visto che uno  dei punti positivi, rispetto ad altri paesi, per la mobilità italiana  (la scuola pubblica) appare oggi incerto, alla luce delle direzioni di  riforma del sistema scolastico nazionale.
Quanto pesa, dunque, lo stipendio di papà? In Italia, per quasi il 50  per cento. Questa, dicono le statistiche raccolte dall'Ocse, è la misura  in cui il reddito dei figli riflette in Italia quello dei genitori. Nel  senso che, in media, metà del vantaggio di reddito che un padre che  guadagna molto ha su uno che guadagna poco si trasferisce comunque,  automaticamente  -  a prescindere dai talenti e dalle storie individuali   -  al proprio figlio. La percentuale è appena superiore in Gran  Bretagna e appena inferiore in Francia e Stati Uniti. In Danimarca,  Australia, Norvegia, questa trasmissione, per così dire, ereditaria non  arriva al 20 per cento. Il risultato è il divario nei redditi, a seconda  delle famiglie di provenienza. Avere un papà laureato, ad esempio, è  una sorta di polizza assicurativa. Non solo perché, in Italia (con uno  scarto vistoso rispetto a Francia e Inghilterra), il figlio  dell'ingegnere ha quasi il 60 per cento di possibilità in più di  laurearsi come papà, rispetto al figlio dell'operaio e oltre il 30 per  cento, rispetto al figlio del ragioniere. Ma perché la laurea in  famiglia sottintende un background culturale e sociale più favorevole.  E, dunque, il figlio di un laureato italiano (si laurei o meno egli  stesso) guadagnerà, in media, il 50 per cento di più del figlio di uno  che si è fermato alle medie inferiori. Va peggio  -  per chi ha il padre  che ha lasciato presto la scuola  -  solo ai portoghesi e agli inglesi.  In Francia, questa dote scolastica preaccumulata è del 20 per cento. In  Austria e Danimarca, non arriva al 10.
Molti parlerebbero di giustizia sociale, ma questo non è un problema  dell'Ocse. Una società in cui tutti, nel bene e nel male, sono  -  e  restano  -  "figli di papà" è, per l'organizzazione dei paesi ricchi,  anzitutto un problema economico: un immane spreco di risorse. "Primo  -   dice lo studio  -  società meno mobili tendono più facilmente a  sprecare o utilizzare male talenti e capacità. Secondo, la mancata  uguaglianza di opportunità può influenzare le motivazioni, gli sforzi e,  alla fine, la produttività dei suoi cittadini, con effetti negativi  sulla efficienza complessiva e sul potenziale di crescita  dell'economia". Forse, c'è anche l'immobilismo sociale a spiegare il  lungo ristagno dell'economia italiana, dagli anni '90 ad oggi. A  moltiplicare la vischiosità dell'impianto sociale italiano c'è, infatti,  una distribuzione vistosamente ineguale del reddito e della ricchezza  di partenza. L'Ocse conclude che più è alta l'ineguaglianza sociale in  un paese, più il paese è immobile. E l'Italia è uno dei paesi a più alto  tasso di ineguaglianza, in Occidente.
I due dati  -  l'immobilismo e l'ineguaglianza  -  e i loro effetti  sull'economia bruciano. Tanto di più, perché i timori dell'Ocse sullo  spreco di risorse sono fondati sui numeri. Se è vero che il figlio di un  laureato ha maggiori probabilità di laurearsi a sua volta e, comunque,  di guadagnare di più, status sociale non significa affatto, in Italia,  essere più brillanti a scuola. Nella classifica dell'Ocse, l'Italia (al  contrario, ad esempio, di Usa, Francia, Germania e Gran Bretagna) è uno  dei paesi in cui l'ambiente familiare ha meno influenza sui risultati  scolastici, misurati dai test internazionali sulle capacità scientifiche  degli studenti: il figlio dell'ingegnere non se la cava meglio del  figlio dell'operaio in matematica. Più neutrali di noi, sotto questo  profilo, sono solo canadesi, coreani e qualche paese nordico. Frutto,  probabilmente, di un sistema scolastico pubblico ancora sostanzialmente  omogeneo e socialmente integrato. In cui, cioè, non si apre un fossato  fra scuole d'eccellenza e scuole di risulta e in cui è facile che il  compagno di banco del figlio dell'ingegnere sia il figlio dell'operaio.  Con vantaggi per tutti: lo studio registra che aumentare il mix sociale  all'interno delle scuole può migliorare i risultati degli studenti  economicamente svantaggiati, senza che appaiano effetti negativi sui  risultati complessivi. L'Ocse insiste sugli effetti che il sistema  scolastico ha nel compensare l'influenza del background familiare sui  risultati scolastici del singolo studente. Da questo punto di vista,  tuttavia, le ultime iniziative in materia di riforma della scuola  italiana sembrano andare in direzione opposta a quella caldeggiata nello  studio. L'Ocse, ad esempio, sottolinea che un sistema che spinga gli  studenti ad anticipare la separazione fra i diversi percorsi di  formazione si traduce, normalmente, in una maggiore influenza  dell'ambiente familiare sui risultati scolastici. Analogamente, lo  studio suggerisce che il proliferare delle opzioni fra diversi corsi  alternativi finisce per esaltare l'importanza del background familiare  di partenza sui risultati scolastici.
Il paradosso italiano è che preoccuparsi di assicurare a tutti uguali  opportunità scolastiche, a prescindere dalla famiglia, finisce per  apparire, alla fine, inutile. E' come se il successo a scuola e quello  nella vita, nel lavoro e nel reddito, fossero l'esito di due campionati  diversi, separati, distinti e incomunicanti. Non solo, infatti, buona  parte del futuro è già scritta nello stipendio di papà, ma dannarsi per  studiare sembra servire a poco: a sentire gli economisti, in Italia, il  grosso degli avanzamenti di carriera, nel nostro paese, è legato più ad  anzianità ed esperienza che livelli di istruzione e competenza. E,  d'altra parte, la catena delle rigidità è, probabilmente, più lunga di  quello che appare dallo studio dell'Ocse. Qui entra in campo non solo lo  stipendio di papà, ma anche quello di nonno. Se, infatti, il mio futuro  si gioca fin da subito, sul reddito di famiglia, non ci sono  possibilità che papà diventi ricco, spargendo promesse sulle future  generazioni? La risposta è: scarsissime. La mobilità intergenerazionale  in Italia è bassa, anche perché è bassa quella intragenerazionale. In  parole più semplici, i redditi dei figli tendono a replicare quelli dei  padri, perché è assai raro, statisticamente, che qualcuno modifichi, in  modo significativo, le proprie condizioni di partenza, diventando molto  più ricco (o più povero). Se la prima cosa la dice l'Ocse, la seconda la  dice la Banca d'Italia. Fra il 2000 e il 2008, meno di una famiglia  ricca su 100 è diventata povera. E solo una famiglia povera su 50 è  diventata ricca. Oltre l'80 per cento dei poveri è rimasta povera o  quasi. E quasi il 90 per cento dei ricchi è rimasto, più o meno  confortevolmente, ricco.
(03 marzo 2010) 
Siamo il Paese dei figli di papà lo stipendio è un fatto ereditario - Repubblica.it
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