MILANO — Amal ha gli occhi di Cleopatra, labbra carnose, capelli lunghi. È marocchina. «Ma mi sento italiana, vivo qui da 16 anni». È seconda di cinque figli che non vede più. «Mio padre mi ha ripudiata. Aveva combinato per me un matrimonio che non desideravo. Mi aveva proibito di uscire di casa. È stata la goccia, sono scappata». Quella sera di novembre la ricorda come un sogno. «Neanche avevo paura. Mi sembrava impossibile di riuscire a farlo». La libertà di Amal costa. Le unghie rosa, i tacchi alti, gli abiti stretti che indossa, hanno il prezzo di una vita da sola. «La mia famiglia è ritornata in Marocco. Qui è rimasta mia sorella, sposata con due figli. Non ci possiamo sentire. Il marito è contrario, non voleva che andassi a trovarli senza il velo in testa, temeva condizionassi le figlie: perché zia sì e mamma no? E io alla fine non ho più voluto portarlo, quel velo: mi sembrava ipocrita. Non seguo il digiuno nel Ramadan. Metto le minigonne, al mare i due pezzi: che bello quando ho comprato il primo, per la Toscana. Ho visto sette volte Il diavolo veste Prada ! Io penso che se decidi di venire in Italia devi accettare la nuova cultura e integrarti. E chi non ci riesce deve tornare nel suo Paese».
La parola «integrazione» non piace a Sara Amzil, 22 anni, nata in Marocco, ma a Torino da quando aveva due anni. Da tre si è trasferita a Milano, dove ha sposato Omar, italo-egiziano, musulmano come lei. «Lui è un vero 'polentone', con questo mito della città. Durante le feste litighiamo sempre se stare a Milano dai suoi o a Torino dai miei». Preferisce definirsi «inserita ». «Integrata mi fa pensare che ho dovuto cambiare qualcosa. Mi piace credere di aver arricchito la comunità in cui sono cresciuta ». Sara indossa il velo. «E sono contenta, mi fa sentire più vicina a Dio». Non ha ancora la nostra cittadinanza. «Avevo fatto domanda un anno prima di sposarmi e ormai l’iter da seguire è quello. Omar è italiano, con le nozze avrei potuto fare più in fretta. Ecco, questo non ha senso per me. Sono cresciuta qui, parlo l’italiano, ho studiato nelle scuole pubbliche, conosco De André a memoria, cucino solo italiano: pennette con panna e funghi, gamberetti e zucchine, lasagne; i miei quasi se ne rattristano. Però non ho il diritto di voto. A un’altra straniera basta venire qui e sposarsi ed è tutto fatto». Sara studia Giurisprudenza alla Cattolica. «L’ho scelta perché è seria. Sì, ti chiedono il certificato di battesimo. Ma poi basta un nullaosta del centro pastorale ». Vorrebbe fare l’avvocato, magari penalista. «Però poi quando sento storie come quella del padre di Sanaa mi vengono i brividi. Non so se ce la farei a difenderlo». La meglio gioventù islamica si impegna, lavora, studia, cerca il proprio posto nel mondo, ha imparato ad amare la pizza, il calcio, la musica dei cantautori.
Le tradizioni per alcune sono catene. Per altre sono patrimonio, radici alle quali ancorarsi per sopportare la pioggia e il vento. «Sono musulmana, ma anche occidentale. Non porto il velo, come accade ormai solo ad alcuni miei parenti in Egitto. A scuola i compagni mi chiedevano: se sei musulmana perché non lo indossi? Rispondevo sempre: mi sento italiana. Però in questi giorni ho rispettato il Ramadan: una scelta culturale, più che religiosa. Al di là di quello che dice il Corano, per me il digiuno è un momento di spiritualità e di autodisciplina. In questo trovo che l’islamismo non sia poi così diverso dal cristianesimo» dice Randa Ghazy, 23 anni, nata in Italia da genitori palestinesi, tre romanzi già pubblicati, l’ultimo, con Rizzoli, Oggi forse non ammazzo nessuno . Dell’Occidente ha interiorizzato la letteratura. «Sepúlveda, Benni, Tabucchi». La curiosità la spinge all’apertura. «Frequento Scienze politiche alla Statale di Milano. Il mio sogno è andare all’estero e occuparmi di relazioni internazionali». Siham Azennar ha 19 anni, fa la parrucchiera a Varese, convive con il fidanzato e non nasconde le sue forme da pin-up. «Sono figlia di una ragazza madre. Fino a cinque anni fa abitavo a Rabat con i nonni, mi hanno cresciuta leggendo il Corano». Una vita piena di amore, ma troppo stretta. «Così ho raggiunto mia madre a Varese. All’inizio non era d’accordo. Era spaventata, forse. Abbiamo avuto dei contrasti». Qualche mese fa, la scelta di trasferirsi dal fidanzato. «Quest’estate sono tornata in Marocco e l’ho presentato ai nonni. 'Se sei felice, va’ per la tua strada'». Una risposta spiazzante. Qual è allora la verità vera? Chi è l’islamico giusto e quello sbagliato? Un padre che uccide la figlia che gli procura vergogna è un integralista o un pazzo? «Con i fondamentalisti non puoi ragionare. Non si vogliono mostrare deboli davanti a parenti e amici, non possono agire diversamente dal loro credo. E le donne abbozzano, sottomesse. Ho sentito che la mamma di Sanaa ha perdonato il marito: non ci credo, secondo me è arrabbiata, lo odierà per sempre» si sfoga Amal sul divano di casa. Ma Sara non ci sta. «Nel Corano chi uccide una persona è come se uccidesse la comunità intera. Quell’uomo non c’entra nulla con l'islam"
Amal e le islamiche alla conquista del bikini - Corriere della Sera