Eluana, giudici: "Staccate la spina" llno della Chiesa: "E' eutanasia"
(il giornale)
Milano - Sì all'eutanasia. La Corte d’appello civile ha autorizzato oggi il padre di Eluana Englaro, in qualità di tutore, a interrompere il trattamento di idratazione e alimentazione forzato che da 16 anni tiene in vita la figlia. Eluana, a causa di un incidente stradale, è in stato vegetativo permanente dal 18 gennaio 1992. Il padre della ragazza, Beppino Englaro, dal 1999 chiede la sospensione del trattamento. Il provvedimento è immediatamente efficace, secondo quanto appreso da fonti giudiziarie, e può essere attuato. Spetterà però alla sensibilità del tutore di Eluana, cioè il padre Beppino Englaro, e del curatore speciale, l’avvocato Franca Alessi, attendere il termine di legge (60 giorni) per l’eventuale impugnazione in Cassazione. "Ha vinto lo stato di diritto". È questo il primo commento di Beppino Englaro, il papà di Eluana, alla decisione della Corte d’Appello.
La sentenza Il decreto in cui si autorizza la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione a Eluana è stato redatto dal giudice della prima sezione civile della Corte d’appello di Milano Filippo Lamanna. Del collegio, che ha preso la decisione, hanno fatto parte anche i giudici Giuseppe Patrone e Paolo Negri Della Torre. L’autorizzazione all’interruzione del trattamento del sostegno vitale a Eluana è stata data in base alle indicazioni stabilite dalla Cassazione, con sentenza di rinvio, lo scorso 16 ottobre. La Corte d’appello ha ora ritenuto che fosse già stata provata e accertata l’irreversibilità dello stato vegetativo permanente della giovane donna e che sia stato dimostrato il convincimento di Eluana, quando era in piena coscienza, e cioè che avrebbe preferito morire piuttosto che essere tenuta in vita artificialmente senza più capacità percettive e avere contatti con il mondo esterno. Il provvedimento dei giudici di appello teoricamente può essere ancora soggetto a ricorso davanti alla Cassazione.
Le motivazioni Per i giudici della prima sezione civile della Corte d’Appello milanese è stato "inevitabile" giungere alla decisione di autorizzare lo stop del trattamento di alimentazione a Eluana Englaro, "accertata la straordinaria durata del suo stato vegetativo permanente, l’altrettanto straordinaria tensione del suo carattere verso la libertà e la sua visione della vita". Una concezione della vita - spiega il giudice Lamanna, estensore del provvedimento - "inconciliabile" con la perdita totale e irreversibile delle proprie facoltà psichiche e la sopravvivenza "solo biologica del suo corpo, in uno stato di assoluta soggezione passiva all’altrui volere". La Corte d’appello ha inoltre espressamente "escluso" sia che la scelta del tutore, nonchè padre di Eluana, "sia stata espressione di un suo personale giudizio sulla qualità della vita" della figlia anzichè di quest’ultima, e sia che vi siano stati altri "fini o interessi se non quello di rispettare la volontà" della ragazza. Una conclusione cui i magistrati sono giunti, facendosi forti anche della valutazione del curatore speciale di Eluana Englaro, l’avvocato Franca Alessio, nominata proprio per "controllare la mancanza di interessi egoistici del tutore in potenziale conflitto con quelli di Eluana". La curatrice ha infatti "pienamente condiviso la scelta del tutore orientata al rifiuto del trattamento di alimentazione forzata". Visto quindi il "definitivo accertamento nelle precedenti fasi processuali" dello stato vegetativo permanente, e le altre prove acquisite, tra cui le testimonianze di alcune amiche di Eluana, i giudici hanno deciso di autorizzare il tutore in accordo col personale sanitario a procedere all’interruzione del trattamento di sostegno vitale con tutte le cautele del caso.
La reazione del Vaticano E' una "grave sentenza" quella con la quale i giudici di Milano hanno autorizzato l’interruzione dell’alimentazione a Eluana Englaro. "La notizia ovviamente è estremamente triste", afferma ai microfoni di Radio Vaticana il professor Gianluigi Gigli del Consiglio esecutivo di "Scienza e vita". "Eluana Englaro sarà la Terry Schiavo d’Italia". Rincara la dose monsignor Rino Fisichella, neopresidente della Pontificia accademia per la vita: "La decisione dei giudici su Eluana giustifica di fatto una azione di eutanasia. La sentenza però, può essere impugnata presso una corte superiore" e c’è la possibilità di "ragionare con maggiore serenità e meno emotività". Di fronte alla decisione presa oggi dai magistrati monsignor Fischella esprime "un duplice sentimento" da una parte "tristezza e amarezza" e dall’altra "profondo stupore". "Profonda amarezza - spiega - per come si risolverà purtroppo una vicenda di dolore, perché Eluana è ancora una ragazza in vita, il coma è una forma di vita e nessuno può permettersi di porre fine a una vita personale". E "profondo stupore, per come sia possibile che il giudice si sostituisca in una decisione come questa alla persona coinvolta, al legislatore - perché - ha aggiunto il vescovo - non mi risulta che in Italia ancora ci sia una legislazione in proposito, e anche soprattutto ai medici che hanno competenza specifica del caso".
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pro: Giordano Buno guerri
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aiuto La vita è sacra, è vero. Questa affermazione di principio, però, perde senso e valore quando si passa a considerare non la vita in generale, ma quella di chi è ridotto allo stato vegetativo: cessate le funzione cerebrali, senza coscienza, nutrito a forza, il corpo inerte collegato a macchinari che fanno proseguire artificialmente, forzatamente, un'esistenza che di umano non ha più niente, se non il dolore. Due anni fa, quando Piergiorgio Welby chiedeva di morire, ci fu chi sostenne che quando un uomo soffre fino al punto di desiderare la morte, gli si deve far capire che la vita può essere bella proprio grazie all'amore degli altri. Parole belle quanto astratte, che suonano come imposizione dell'amore, come privazione della libertà di scegliere tra un bene universale e teorico e un «male» individuale e liberatorio: la scelta di morire. Invece Giovanni Paolo II, nell'enciclica Evangelium vitae, del 1995, sostenne che è giusto lasciare al malato una certa autonomia decisionale sull'ostinazione terapeutica: «È lecito sospendere l'applicazione delle cure quando i risultati non corrispondono all'aspettativa». E fin qui abbiamo parlato di individui malati e però capaci di decidere se davvero valga la pena di essere vissuta un'esistenza senza prospettiva se non altro dolore, altra impossibilità ad agire persino nei gesti più semplici e quotidiani, altra dipendenza da uomini e macchine che lo costringono a vivere contro il suo desiderio di resa, di fine, di pace.
Eluana non poteva neanche scegliere, non poteva scegliere niente, neppure se aprire o chiudere gli occhi. Aveva bisogno di qualcuno che la amasse abbastanza per liberarla, sicuro che lei avrebbe voluto così. E nessuno poteva saperlo meglio di suo padre, che per anni si è battuto per dare la pace al corpo inerte di sua figlia.
C'è chi parlerà di inaccettabile «relativismo etico», perché la vita va difesa sempre e comunque. Non sono d'accordo. Proviamo a fare un esempio a rovescio, quando si tratta di difendere una vita, invece che di concedere una morte: se un testimone di Geova adulto, in base alla sua fede, rifiuta una trasfusione di sangue che lo salverebbe, possiamo riconoscergli questo diritto. Se invece quello stesso testimone di Geova volesse impedire la trasfusione che salverebbe un suo figlio di due anni, la trasfusione verrebbe fatta contro la sua volontà. Il relativismo etico non c'entra, qui si tratta di difendere i diritti dell'individuo, in particolare del più debole. E così dev'essere anche per l'eutanasia. Infatti la corte milanese che ha ammesso la possibilità di «staccare la spina» a Eluana, si è basata su una sentenza della Corte di cassazione del 16 ottobre dell'anno scorso, dopo il caso Welby: è stata riconosciuta l'irreversibilità dello stato vegetativo di Eluana e dimostrato che la ragazza avrebbe preferito morire piuttosto che vivere in quello stato. Continuare tenerla in vita significherebbe soltanto continuare ad andare contro i suoi diritti, che le sono già stati negati per tanti, troppi anni.
A Eluana è stato fatto un torto lungo sedici anni di inutile strazio. C'è un solo modo per evitare che questo dolore si ripeta in altre famiglie, senza costringerle a interminabili cause in tribunale. In Parlamento giace da anni la proposta di legge di Umberto Veronesi sul testamento biologico, una proposta che dovrebbe venire discussa al più presto. Grazie al testamento biologico ogni cittadino potrebbe decidere, nel pieno delle forze e della salute, se in caso di malattia incurabile si possa esercitare su di lui quell'«accanimento terapeutico» più simile a un'offesa alla vita che a una sua difesa.
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contro
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Meno di un mese fa, durante un incontro pubblico, ho chiesto al mio amico Mario Melazzini, medico oncologo affetto da sclerosi laterale amiotrofica, una malattia a decorso purtroppo infausto: «Esiste un potere del singolo, dei parenti, dello Stato in grado di stabilire la liceità, nei casi di grave menomazione fisica, di darsi o dare la morte?». Dalla gola imprigionata nel tutore ortopedico è salita questa risposta sillabata con voce gutturale ma ferma: «No, non esiste. La vita è un bene indisponibile».
Come Eluana Englaro, il dottor Melazzini, paralizzato in sedia a rotelle, non può né nutrirsi né bere autonomamente, perché i muscoli della masticazione e della deglutizione sono compromessi; sopravvive grazie a una pompa a infusione lenta che gli introduce nella pancia alimenti liquidi. Il suo unico «pasto» dura dalle 6 di sera alle 2 di notte. Prendete nota: da ieri, in Italia, dar da mangiare agli affamati e dar da bere agli assetati non sono più opere di misericordia corporale. Basta che queste due azioni avvengano attraverso un sondino nasogastrico perché una qualsiasi corte di giustizia possa derubricarle a «trattamenti sanitari» passibili di sospensione.
Lo so, i due casi non sono comparabili. Il dottor Melazzini ragiona, parla, viene portato in giro per l’Italia, la mattina riesce persino a curare i suoi pazienti alla clinica Maugeri di Pavia. Eluana Englaro, in stato vegetativo dal 1992, non può far nulla di tutto questo. Ma è proprio la Corte d’appello di Milano a rimarcare di non essersi pronunciata «sulla qualità della vita» dell’inferma bensì sulla volontà espressa in anni lontani dalla giovane donna, la quale mai e poi mai - secondo le convergenti testimonianze rese dal padre e dagli amici - avrebbe voluto tirare avanti in simili condizioni.
Dunque è stato riconosciuto «il rispetto dell’autodeterminazione e della libertà delle persone», ha plaudito il presidente della Consulta di bioetica, cioè il potere del singolo di pretendere la morte, sia pure «in hospice o altro luogo di ricovero» adeguato, come prescrivono i giudici, consapevoli che il decesso per inedia non è un bello spettacolo. «Morirà di fame e di sete, c’impiegherà almeno 15 giorni, sarà un’agonia crudelissima», mi ha detto sconfortato il dottor Giovanni Battista Guizzetti, che a Bergamo cura 24 malati in tutto e per tutto uguali a Eluana Englaro. «Almeno avessero il coraggio di farle un’endovena di morfina ad alto dosaggio...». Dal 1996 a oggi Guizzetti ha visto risvegliarsi ben 12 dei suoi pazienti. Chissà se qualche toga avrà vagliato questa remota possibilità.
Quali sono i parametri biologici, intellettuali, funzionali che distinguono la vita dalla non vita? Per Indro Montanelli l’impossibilità di recarsi in bagno da solo costituiva una condizione già sufficiente per congedarsi da questo mondo. Il lebbroso Francesco e i suoi compagni di sventura volevano solo morire, cercavano di appiattirsi le papule col ferro rovente nel Terzo isolamento dell’ospedale San Martino di Genova; molti di loro portavano il cucchiaio alla bocca ma la minestra gli usciva dai due buchi soprastanti perché il naso non ce l’avevano più. Poi Francesco ha incontrato un’altra hanseniana, Pina, e l’ha sposata. Sono entrambi guariti. Se un tribunale 46 anni fa avesse dato retta a entrambi, non avrei passeggiato con loro per le strade di Genova.
La dignità di una persona non dipende, non potrà mai dipendere, dalle sue condizioni fisiche. E io penso che anche gli atei dovrebbero cominciare ad aver paura di un Paese dove il potere che un tempo si attribuiva a Dio da ieri è nelle mani dei giudici
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I giudici autorizzano a fermare l'alimentazione artificiale di Eluana, perché è un accanimento terapeutico. Per il Vaticano si tratta invece di eutanasia. Chi ha ragione?