Il tribunale di sorveglianza di Milano ha concesso la semilibertà a Pietro Maso, condannato a 30 anni per aver ucciso nel '91 i genitori. Maso, detenuto nel carcere milanese di Opera, all'epoca dell'omicidio, commesso con l'aiuto di tre amici, aveva 19 anni.
Fu condannato a 30 anni a Verona, nel febbraio 1992, condanna poi confermata in Appello e in Cassazione. Maso è uscito dal carcere per un permesso premio, il secondo, a Pasqua del 2007. Il primo risale all'ottobre 2006.
Il duplice omicidio venne denunciato da Pietro, che aveva sostenuto di aver fatto la scoperta al ritorno a casa dalla discoteca, trovando i corpi dei genitori distesi in una pozza di sangue vicino ad una scala interna della casa.
I coniugi Maso, Antonio e Rosa, erano stati uccisi con bastonate alla testa, e in un primo tempo si era pensato al tragico esito di una rapina. Dopo tre giorni di interrogatori, Pietro e i suoi tre amici, Giorgio Carbonin, Paolo Cavazza, con il diciasettenne B.D., avevano ceduto e confessato.
Il delitto era stato architettato appunto perché Maso potesse ottenere l'eredità, così da mantenere quello stile di vita e di consumi che lo aveva fatto emergere tra gli amici del paese. Dalle indagini era emerso che Pietro aveva pensato anche ad eliminare le sue due sorelle, per essere l'erede di tutte le sostanze paterne.
Nato nel 1971 in provincia di Verona, Maso viveva con la famiglia a Montecchia di Crosara e aveva abbandonato gli studi nel 1990, quando frequentava il terzo anno dell'istituto agrario.
All'incirca da quel momento il giovane aveva iniziato a frequentare locali e discoteche, oltre che a giocare d'azzardo al casinò. I lavori saltuari e la scelta di lasciare l'impiego come commesso in un supermercato non gli permettono di mantenere il tenore di vita elevato, motivo per cui Maso rivolge la propria attenzione ai soldi dei propri genitori.
Il delitto si consuma nella notte tra il 17 e il 18 aprile 1991. Insieme a tre amici, Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e l'allora minorenne Damiano Burato, Maso attende i genitori Antonio e Maria Rosa al rientro da un viaggio e quindi i quattro li uccidono colpendoli con tubi, spranghe e padelle. Il giovane si accanisce in particolare sulla madre, che tenta anche di soffocare. Una volta compiuta la strage, per la quale i giovani indossano tute e, nel caso dei complici di Maso, anche delle maschere, i quattro si recano in alcune discoteche della zona, anche per creare un alibi a Maso.
Nelle prime ore della mattina Maso rientra a casa e lancia l'allarme.
Inizialmente le indagini si concentrano sull'omicidio a scopo di rapina, ma presto gli inquirenti notano molte incongruenze e si concentrano sul figlio delle due vittime. Pressato dai magistrati, Maso confessa il 19 aprile, seguito poi dai suoi complici. Il 29 febbraio 1992 Maso è condannato a 30 anni, i suoi due complici Carbognin e Cavazza a 26.
La sentenza è stata poi confermata nei successivi gradi di giudizio. In un'intervista a La Repubblica del febbraio 2007 Maso, che ha sempre mantenuto un atteggiamento freddo e distaccato, ha dichiarato che molti ragazzi gli scrivono perché avrebbero voglia di fare quanto ha fatto lui e che lui li invitava non farlo, ricucendo i rapporti con i genitori.
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