Li hanno gettati in mare. Due corpi che nessuno vedrà, che nessuno seppellirà. Avevano 2 e 4 anni, erano fratelli. Morti su uno scafo di disperati in viaggio verso l’Italia. Morti disidratati e lanciati in acqua nell’ennesima giornata di emergenza clandestini. Perché qui non finisce mai: ogni giorno uno sbarco, due, tre. Non si vedono, ma arrivano, presi al largo dalle navi italiane, come gli ultimi 75 individuati a 46 miglia dalla costa e scortati fino in porto. Erano partiti in 77, sono arrivati senza i due bambini. Il padre piange: «Siamo stati costretti a gettare i loro corpi in mare, il viaggio è stato tremendo». Poco prima di loro altri 150, altri sono arrivati in Sardegna: 400 in tutto in Italia. Arrivati e accolti. Qui a Lampedusa sono stati trasferiti nel centro di prima accoglienza. Quello che è pieno e lo è sarà sempre di più. Pieno di storie di disperati e di profughi, ma anche di altre storie che non racconta nessuno, quella di come, a Lampedusa, una volta arrivati sulla banchina, convenga essere clandestini piuttosto che lampedusani.Basta farsi un giro, qualche sera, in «ospedale». A Lampedusa c’è l’unico poliambulatorio dove gli specialisti si alternano una volta alla settimana, se c’è qualcosa di mediamente grave un elicottero ti porta a Palermo e il Pronto soccorso è una specie di monoreparto. Dove, però, nei giorni degli «sbarchi» chiunque passa avanti rispetto ai lampedusani. L'altra sera un ragazzo dell’isola ha dovuto aspettare ore per essere curato: davanti a lui c’era un naufrago che si era volontariamente tagliato con i cocci di una bottiglia, forse per sperare di lucrare la permanenza perpetua in Italia(continua….)Devo i miei complimenti al "padre"(neanche alla lontana)di aver buttato i propri figli come fossero sacchi di patate,al mare. Ma bravo complimenti!hai fatto il dovere di genitore! pezzo di merd*!!!