Le impronte ai bambini rom, alla fine, non sono state prese. Il lavoro dei prefetti Gian Valerio Lombardi (Milano), Carlo Mosca (Roma) e Alessandro Pansa (Napoli), nominati commissari ad hoc dal Governo e chiamati a gestire l'emergenza nomadi in città ma anche in provincia, è andato ben oltre le polemiche politiche. Perché l'obiettivo vero, in base al mandato del Viminale, è stato quello di conoscere e censire le popolazioni negli insediamenti autorizzati. Un'attività capillare e non senza difficoltà, ma l'unica in grado di consentire l'avvio di una gestione ragionevole. Insieme, com'era inevitabile, sono proseguiti gli interventi delle forze di polizia sui campi abusivi che, complice forse agosto, non si sono per ora ripopolati. In questo scenario sono poi stati rilanciati i progetti di integrazione. Ma è la parte più incerta.
A Milano sono state censite 1.100 persone «e in settimana completiamo il lavoro sui 12 campi regolari» annuncia soddisfatto il prefetto Lombardi. A Napoli sono stati identificate 900 persone tra i campi di Scampia, Torre del Greco, Casoria e Caivano.
Nella capitale il prefetto Carlo Mosca (si veda l'intervista a fianco), d'intesa con la Croce rossa, ha avviato un lavoro minuzioso non solo per l'identificazione - finora sono circa 600 – ma anche per la verifica delle condizioni igieniche e sanitarie.
E ieri il presidente della Cri, Massimo Barra, ha detto senza mezzi termini che «in Uganda ho visto condizioni migliori». Una verità nota, quella denunciata da Barra, ma troppo spesso ignorata.
Nel napoletano, il lavoro degli uomini guidati da Pansa ha portato fino al colloquio continuo con i capi famiglia delle comunità nomadi. Il programma di identificazione si è svolto senza traumi, anzi si è trasformato in un'occasione:
perché per molti nomadi, desiderosi di avere finalmente un'identità ufficiale, è arrivata la possibilità di poter un documento. Nel caso degli adulti, una scheda con l'impronta e la foto è stata rilasciata in copia dalle forze dell'ordine. I minori, poi, sono stati riconosciuti con le dichiarazioni dei genitori.
I problemi ormai arcinoti alle forze dell'ordine e agli addetti ai lavori sono, tra l'altro,
il fatto che spesso i vecchi documenti in possesso non sono più validi. Vecchie e logore carte d'identità appartengono a Stati dell'Europa dell'Est ormai inesistenti, per esempio; oppure gli interessati non vengono riconosciuti dalle nazioni di cui dichiarano di essere originari.
Le questioni con gli Stati di provenienza riguardano anche la possibilità degli allontamenti, impropriamente definiti espulsioni se si tratta di Stati Ue. I casi in cui non è possibile disporre il rimpatrio sono molteplici. Anche per questo il presunto pugno di ferro invocato da alcuni è, invece – come sanno da tempo gli addetti ai lavori – un percorso irrealizzabile. L'allontanamento dai campi abusivi rimane invece una strada usuale. A Milano è stato fatto di recente a via Medici, a Porta Romana, in via Calchi Taeggi e alla Cascinazza. Il punto vero, però, è evitare che dopo gli sgomberi si ritorni punto e a capo, magari con le stesse persone da un'altra parte.
Il censimento serve anche a fare un controllo più concreto sulla scolarizzazione dei minori rom che, secondo le stime, rappresentano tra il 50 e il 60% della popolazione identificata. A Napoli è allo studio un «insegnante dedicato» a questi bambini, distribuito su più classi. Ma sempre in Campania, il tema più difficile da risolvere rimane quello del dialogo con gli italiani residenti nelle zone vicine ai campi. Sono questi ultimi, a quanto pare, i più restii a cominciare il dialogo.