Io non commentero', sarei tacciato di antiamericanismo, antioccidentalismo, antisemitismo, antitutto insomma. Non dimentichiamo ovviamente, che e' un dittatore a parlare, certo. Ma non un mostro.. molti possono accettare un dittatore, quanti ancora oggi difendono Mussolini a spada tratta? Ebbene, Ahmadinejad e' un dittatore, ma non e' il male, e non e' un mostro. Almeno non piu' di quanto lo sia un dittatore del nostro occidente "libero". Buona lettura.
NEW YORK - Il giorno dopo Ahmadinejad, in USA: titoli bassi sui giornali.
L'evento relegato alle pagine interne, o in coda ai TG.
I commenti della grandi firme, imbarazzati, in tono minore.
Io non c'ero; ma a giudicare dai commenti e dalla laconicità dei resoconti, i grandi media americani sono assaliti dal dubbio: aver fatto una figura del Katz.
Traditi dalla frenesia di superarsi in zelo per Sion, di mostrare che, per amore di Israele, sono pronti ad esagerare e a diventare infantili.
A cominciare dal povero rettore della Columbia University, Lee Bollinger.
Ha avuto lui l'incauta idea di invitare Ahmadinejad a risponder alle domande degli studenti; si trattava di dimostrare la superiore libertà di parola americana (free speech).
Una pioggia di furenti deplorazioni, telefonate e minacce esplicite deve avergli fatto passare le notti più insonni della sua placida vita di professore.
I titoli dei giornali («Il Male è atterrato», New York Post), ma soprattutto la folla rumoreggiante davanti all'università («Altro che farlo parlare, arrestatelo!», «L'Iran finanzia Hamas», «Terrorista» «Hitler»): e specialmente il fatto - che le TV non hanno potuto nascondere - che quegli «studenti e comuni cittadini» ostili portavano quasi tutti la kippà e sventolavano bandiere con la stella di David.
Per un rettore americano, questo significa una cosa chiara: puoi dare addio ai finanziamenti, alle donazioni, ai grants e borse di studio di cui vive l'ateneo.
I munifici donatori, i mecenati, i ricchi generosi con la cultura, nella città più giudaica del mondo, non ti daranno più un centesimo.
Hai chiuso.
Il povero Bollinger ha pensato di rimediare: sì, ho invitato il Mostro, ma solo per cantargli in faccia il fatto suo.
E così, Ahmadinejad non s'era ancora seduto sulla poltrona del dibattito, che il povero professore gli ha detto: «Signor presidente, lei esibisce tutti i segni di un crudele dittatorello (a petty and cruel dictator). Perché è così spaventato che cittadini iraniani esprimano le loro opinione per il cambiamento? Francamente, in tutta schiettezza, io dubito che abbia il coraggio intellettuale di rispondere a tali domande. Quando uno come lei viene in un posto come questo, si rende semplicemente ridicolo: è sfacciatamente provocatorio o sorprendentemente maleducato».
Così tutto d'un fiato, prima che l'altro avesse emesso una sola parola.
Applausi isterici dagli «studenti» in kippà: bene!
Così parla l'Occidente!...
Ahmadinejad ha risposto.
Calcando le parole: «In Iran, la tradizione esige che quando si invita una persona a tenere un discorso, rispettiamo i nostri studenti abbastanza da consentire loro di formarsi un proprio giudizio da sé, e non riteniamo necessario uscire con una serie di critiche ancor prima che il discorso venga pronunciato, per vaccinarli preventivamente. Tuttavia non voglio cominciare rispondendo a questo comportamento insultante».
Per soccorrere il povero rettore che s'era preso del grossolano maleducato dal Mostro, è intervenuto il vice-rettore John Coatsworth, che doveva fare il moderatore: con un occhio alla platea in kippà e alle donazioni in pericolo, ha posto al nuovo Hitler una domanda secca:
«E' vero che lei e il suo governo perseguono la distruzione dello Stato di Israele?» (Ah, stavolta l'ho messo in trappola: egli confesserà, come i colpevoli nei telefilm di Perry Mason, e i fondi sono salvi).
Ahmadinejad: «Noi amiamo ogni persona. Noi siamo amici degli ebrei. Ci sono molti ebrei che vivono tranquilli in Iran» (vero, hanno anche seggi al parlamento); per esempio, pensiamo che la nazione palestinese dovrebbe poter decidere il proprio futuro con referendum».
Coatsworth, proprio come Perry Mason davanti a un colpevole sfuggente: «Risponda con un semplice sì o no, prego».
Ahmadinejad: «Lei fa le domande ed esige la risposta che vuol sentire. Io le chiedo: la questione palestinese è di importanza internazionale? Mi risponda con un semplice sì o no».
E tutto è andato avanti così.
Il reporter della CBS, voglioso di mostrare il suo zelo per Katz: «Signore, il popolo americano sa che il suo Paese è uno Stato terrorista, che esporta il terrorismo nel mondo. Doveva capire che visitare il sito del World Trade Center avrebbe fatto infuriare gli americani».
Ahmadinejad: «Mi meraviglio. Come può parlare per l'intera nazione americana? Lei è un giornalista, rappresenta la stampa. Il popolo americano conta 300 milioni di persone. Ci sono punti di vista diversi là fuori».
Lei non vuole riconoscere Israele, insiste un altro (guarda, Giuda, come ti difendo).
«Noi non riconosciamo un regime basato sulla discriminazione e l'espansionismo. Quel Paese ha aggredito la Siria la settimana scorsa e il Libano un anno fa».
Lei nega l'olocausto! (Sion, prendi nota, io lotto per te!), grida un altro.
Ahmadinejad risponde che la faccenda richiede «ulteriore ricerca», e che comunque, perché devono essere i palestinesi a pagare il prezzo di un fatto accaduto in Europa?
Vorrei, aggiunge, «una risposta chiara».
Silenzio.
Ahmadinejad sul palco davanti a centinaia di studenti
Lei è nemico dell'America, voi odiate la nostra libertà!
«Noi siamo contrari ai metodi con cui il governo USA cerca di dominare il mondo; ci sono metodi più umani per stabilire la pace».
Voi fornite armi ai terroristi iracheni, «ciò è provato oltre ogni dubbio», strilla quello della CBS, desideroso di recuperare: «Perché non smette di negare che vi state costruendo la bomba atomica?» (adesso vedrete, Hitler crolla e confessa, come il cattivo dei telefilm).
Ahmadinejad sottolinea che l'Iran, come membro della International Atomic Energy Agency, ha il diritto di darsi un programma nucleare «legale e pacifico».
«Perché una nazione dovrebbe dipendere da un'altra per la tecnologia?».
«Perché dovremmo metterci in condizione di aspettare il combustibile nucleare da voi? Non ci date nemmeno i pezzi di ricambio degli aerei…».
E gli USA si stanno facendo atomiche di quinta generazione: «Perché? Contano di aumentare il benessere e la felicità collettiva con le nuove bombe? Anche l'entità sionista ha centinaia di bombe atomiche. Non le sarà di aiuto. Il tempo delle bombe è passato… dovreste spendere il denaro per il vostro popolo».
I nostri due Paesi stanno andando verso la guerra…
«Quali due paesi stanno andando alla guerra?».
Quello della CBS, interdetto: «Iran, USA, l'Occidente, questa settimana la Francia…».
«Mi rincresce dire che non ha letto le ultime notizie. E' sbagliato pensare che l'Iran vada alla guerra con gli USA. Chi lo dice? Perché dovremmo andare in guerra? … Se ci sono divergenze fra noi, si può usare la logica per risolverle».
Ma ora anche la Francia…«La Francia è una società molto civile e colta, non appoggia la guerra».
Ma Kouchner… «Deve raggiungere una maggiore maturità».
Tutto così di seguito.
Ancor peggio l'intervista preparata dalla CBS per il suo «60 minuti».
Fra le domande «cattive» dell'anchorman John Pelley va segnalata questa: «Mentre il suo aereo scendeva verso Manhattan, lei ha potuto vedere il World Trade Center azzerato. Signor presidente, molti americani pensano che lei ha guardato dal finestrino e si è detto: 'Bene, qualcuno gli ha dato una lezione».
(Che ne dici, Sion? Non è questo il giornalismo che vuoi da noi? E tutto per amor tuo!).
Ahmadinejad: «Beh, questa è buona. Lei non dovrebbe parlare a nome del popolo americano. Io posso parlare a nome del popolo iraniano, ma lei non può parlare al posto degli americani come popolo. […] Il nostro governo allora ha espresso la sua condanna. Abbiamo fatto un comunicato ufficiale di condanna dell'attentato. […] Il popolo americano ancora non sa chi era dietro l'attacco alle Twin Towers. Sono stati scritti molti libri sulla cosa, e circolano domande nella vostra società. Non vedo perchè lei dice continuamente 'il popolo americano'. Ho gli ultimi sondaggi: l'80% del popolo americano sostiene che il governo americano aveva conoscenza dell'attacco prima che avvenisse».
Non crederà a questo, annaspa Pelley.
«Non sto facendo un'affermazione mia. […] Chi ha creato le prigioni segrete in Europa? Non lo sa, lei? Eppure sono stati rivelati i documenti. Perché allestiscono prigioni segrete? Se il diritto consente di fare queste prigioni, fatele: ma perché questa segretezza? E' molto chiaro».
Proteste furenti al di fuori della Columbia
Cosa hanno pensato i giornalisti uscendo dall'incontro?
«Oddio, questo parla. Avevano ragione i kippà: non bisogna farlo parlare. Non gli abbiamo fatto le domande giuste, e questo è astuto, evasivo quando serve, articolato. Nel nostro scontro di civiltà, non saremo stati noi gli incivili?
Ha fatto ridere tutti quando ha detto che in Iran non ci sono omosessuali. Però dài, possibile che dobbiamo fare dei diritti gay la bandiera dell'Occidente?
Saremo piaciuti a Giuda? Mi sa di no, ho paura. Ma anche loro però, ci hanno tirato per la giacchetta… Ci hanno fatto esagerare. Abbiamo fatto una figura del Katz.
Certo il rettore Bollinger è stato orribilmente grossolano.
Puerile, anche.
Cretino. Ha rovinato tutto.
D'accordo, ma è stato minacciato.
Gli hanno forzato la mano.
E poi Ahmadinejad mica è tanto importante. In fondo, in Iran, mica comanda lui: comandano gli ayatollah.
Teniamolo basso, sul giornale. Pagine interne».
Non sono fantasie nostre, queste.
E' quel che si desume dai titoli del New York Times: «Gli iraniani dicono che l'attenzione con cui il loro presidente è trattato in USA esagera l'estensione del suo potere in patria» (Michael Slackman, «US focus on Ahmadinejad puzzles iranians»).
Più l'editoriale del New York Times: «Costerna il comportamento di certi rappresentanti democraticamente eletti a New York che hanno minacciato la Columbia University per aver invitato a parlare il presidente iraniano» (Editorial: «Mr. Ahmadinejad speaks»).
Un colpetto alle teste di Katz, con le loro bandierine israeliane.