Storia di «S.», madre e immigrata nel Friuli del welfare leghista
di
Sara Rocutto
Attenzione. La storia che state per leggere produce rabbia difficile da smaltire. Qui si parla di scuola, di diritti, di immigrazione. Ma anche di disabilità e soprattutto di bambini. E di leggi folli, come sempre più spesso accade.
S., una mamma egiziana in Italia da dieci anni, non lo sapeva che in Friuli Venezia Giulia fosse stata modificata la legge sul welfare regionale. Per questo è caduta dalle nuvole quando qualche giorno fa l’assistente sociale del Comune di Pordenone le ha spiegato che non solo dal 2010 non avrebbe avuto diritto ad avere un educatore ad affiancare durante i Punti Verdi suo figlio, J., un bimbo di 11 anni con la sindrome di Down, ma l’ha avvisata che il Comune non avrebbe potuto garantirle il servizio neppure a scuola a settembre.
Questo infatti stabiliscono le modifiche dell’articolo 4 della legge Regionale sul Welfare [la legge 6 del 2006] voluta dalla Lega Nord regionale: niente servizi sociali, come scuole materne, asili nido, assistenza domiciliare agli anziani, a cittadini comunitari residenti in Regione da meno di tre anni e a extracomunitari in generale. E per questo quando l’ha saputo ha chiesto in giro notizie, fino a far arrivare al sua storia nei quotidiani locali.
Pensare che S. ha scoperto solo nel 2009 l’esistenza della legge 41 per l’assistenza ai disabili: e tutto grazie ai tagli nella scuola pubblica. «Dalla prima elementare alla quarta le ore di sostegno sono diminuite: prima l’insegnante stava sempre in classe con J., ma quest’anno solo 11 ore. Per questo poi, con un progetto della scuola, è arrivato l’educatore per altre 15 ore la settimana». Anche se il ruolo dell’educatore è ben diverso da quello dell’insegnante di sostegno, la sua presenza ha salvato la classe ricreando il clima di collaborazione e socialità costruito in tre anni e che rischiava di essere del tutto distrutto in pochi mesi.
S. e suo marito scelsero dieci anni fa di restare a vivere a Pordenone proprio perché avevano visto che qui si sperimentavano forme efficienti di integrazione negli asili tra bambini disabili e non. Ma quante sono le buone leggi che in Italia vengono puntualmente disattese?
S. fa anche parte dell’Associazione Down, di cui Maria Luisa Montico Morasut è presidente provinciale: «Stiamo parlando di bambini: perché devono essere discriminati in questo modo? – si chiede la signora Morasut – Ogni giorno come genitori dobbiamo lottare per difendere un diritto acquisito e sono arrabbiata perché prima di fare certe leggi deve esserci un dibattito nel territorio. Come associazione non vogliamo l’assistenzialismo, ma questi bambini devono poter avere fin da piccoli l’aiuto competente per poter raggiungere l’autonomia che per molti di loro è un traguardo possibile. E c’è un grosso lavoro culturale da fare sia per le famiglie che per la società intera». Come Associazione intendono comprendere bene cosa si muove a livello regionale: il caso di S. non è probabilmente isolato.
Questo lo conferma Cristiana Morsolin, assessore alle politiche sociali del Comune di Monfalcone, dove per molte ragioni si intreccia la presenza di una forte comunità migrante ad un numero superiore alla media di minori disabili. Molte sono infatti le difficoltà pratiche intervenute dall’entrata in vigore dal primo gennaio 2010 delle modifiche alla legge 6: «Abbiamo deciso di disobbedire, ma non solo noi, decidendo di applicare la legge regionale sul welfare solo nell’utilizzo dei fondi regionali». Per questo, davanti al silenzio della Regione rispetto a numerosi chiarimenti interpretativi sulla nuova normativa, si è agito un grande lavoro di coordinamento tra ambiti e comuni per arrivare a produrre delibere, che verranno approvate nei prossimi giorni, non impugnabili dalla Regione.
Paolo Pupulin, consigliere regionale del PD, ha portato con un’interrogazione il caso di S. a Trieste per chiedere al Presidente Tondo come intende intervenire affinché «i bambini disabili stranieri non siano discriminati nell’accesso al welfare regionale» e per capire cosa intende fare la Regione ora che persino il governo nazionale – che condivide il colore politico di Tondo – ha fatto ricorso per incostituzionalità rispetto al fantomatico articolo 4. Infatti non solo vi sono in ballo elementi discriminatori che contraddicono normative internazionali, ma per legge non si possono far pagare le tasse per servizi di cui non si può usufruire. E come si può lasciare al colore di una giunta comunale la decisione sull’accesso al diritto allo studio per un bambino disabile?
Giovanni Zanolin, Assessore del Comune di Pordenone alle Politiche Sociali non ha dubbi: «Noi con i nostri soldi interverremo a coprire tutti i casi che la Regione esclude. Ci atterremo alla legge Bossi-Fini che prevede l’aiuto a chi abbia un permesso di soggiorno per almeno un anno. Ma non è detto che la Regione non intervenga a darci contro attraverso la Corte dei Conti», spiega Zanolin che in quanto regione autonoma il Friuli ha potestà primaria nello stabilire chi ha diritto e chi no ad usufruire dei benefici. Per comprendere bene il controsenso dei provvedimenti regionali è sufficiente provare a valutare quanto economicamente pesi al comune sostituirsi alla Regione: «Non si può calcolare: se oggi il giudice mi affida dei minori stranieri ho una spesa imprevista che schizza in su, anche se, secondo la Regione, non andrebbero aiutati». Ma, dice Zanolin: «Io non vado contro il giudice! E lo stesso dicasi per il diritto allo studio: ostacolare l’obbligo scolastico comporta procedimenti in sede penale. In più a Pordenone, con una popolazione di 51 mila abitanti oggi abbiamo che la sola comunità ganese, una delle più numerose, si ritrova ad avere 400 persone disoccupate: parliamo di circa 300 famiglie che comunque aiutiamo». La schizofrenia legislativa regionale appare poi chiara scoprendo che il regolamento regionale per il fondo per l’autonomia possibile, il FAP, non pone limite alle provenienze geografiche dei disabili.
Un vero caos.
S. è una donna gentile e per il suo bambino ne ha già passate tante: quella lotta quotidiana di cui parla la signora Morasut la conosce bene anche lei. «Oggi è stata inventata la medicina per guarire dalla crisi che dice che gli immigrati hanno tutto, basta tagliare a loro e si metteranno a posto gli italiani. Ma invece si produce una punizione per tutta la scuola: tutti i bambini si troveranno in difficoltà e sarà molto più pesante il costo sociale futuro di questi interventi che i falsi benefici che oggi producono».
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