Originariamente inviata da
Lucien
Devo dire che ho un bel ricordo di tutti/e, anche se ce n'era qualcuno parecchio pesante. Ma quello che più di altri ha lasciato il segno al Liceo è stato il Prof di latino e letteratura italiana. Un Professore con la mauiscola, monumentale, autoritario: era anche vicepreside e quand'ero un primino e veniva a fare ispezione in classe, ci gelava il sangue.
Poi ci ha presi in consegna al triennio, e ci ha insegnato a cercare nelle pagine polverose e morte dei libri le parole per colorare le nostre vite. Sempre inflessibile: se c'era da togliere un punto per un apostrofo di troppo, non si faceva scrupoli, salvo poi aiutare quando e se davvero c'era bisogno. Voleva insegnarci non tanto rime e declinazioni (che infatti non ho imparato
), quanto piuttosto valori veri e filosofie di vita. Onestà e pazienza li ho appresi da lui, dell'umiltà ancora una volta, Prof, non ho imparato bene la tua lezione.
Ricordo come si illuminava quando gli davo una mia poesia da leggere, anche se erano ciofeche assurde. Aveva la mia stessa passione per il mare e prima della maturità parlavamo dell'arte della pesca e del trovare la serenità filando lenze al tramonto. Spesso l'ho cercato là fuori nei lunghi pomeriggi d'estate: è andato in pensione l'anno dopo che ho passato l'esame, e mi aspettavo di trovarcelo come me, a prendere sole e maestralino verso le cinque. Per dirgli che alla fine avevo seguito il suo consiglio, che studiavo letteratura e che, se possibile, avrei anche seguito le sue orme.
Ricordo che ci aveva detto che voleva esserci sepolto, in mare, tale era la sua passione: voglio sperare che l'abbiano accontentato. Si è ammalato subito dopo la pensione ed è morto questo Settembre. Quel giorno, c'era cielo terso, correva levante fresco; il mare era irritato e per questo carico di colori, le montagne coronate da capelli di nuvole parevano altri frangenti, ed io sentivo la vita scorrere ovunque, nell'aria inquieta, nelle correnti d'acqua salata davanti a me, nelle vene scaldate dal sole sotto la pelle fina delle mani composte sulle mie ginocchia, nella linfa dei rami dell'arancio, nel vapore che, lontano, condensava sulle creste. E parlavo amabilmente con la vita fatta persona, una ventunenne innamorata (non di me, ma che importa?) le cui stelle gemelle castano chiaro erano talvolta oscurate da una cascata di notte quando il levante giocava coi suoi capelli che poi lei con una mano che passava come una cometa riportava all'ordine. Ufficialmente amico, segretamente innamorato, mi facevo scendere dentro le pause di silenzio che cadevano fra noi, per meglio ascoltare con l'eco del mio profondo il respiro irregolare dell'esistenza.
Buona pesca, Professore. Senza sapere che tu stessi filando l'ultima lenza, potevo sentire la forza universale della vita, perché tu ci avevi insegnato ad ascoltarla. Questa terra che tanto hai amato ti ha fatto l'omaggio d'un ultimo giorno magnifico, ed anche il mare che ti avrebbe accolto per l'ultimo abbraccio era in festa.