Dopo il caso della ragazza paralizzata per un batterio nell’hamburger. Come proteggersi? Anche imparando dai giapponesi: che surgelano il pesce fresco per 24 ore.
MILANO - Dall’antipasto al dessert: il batterio è servito. E anche il virus o il parassita. Menù alla mano, basta ordinare: chi sceglie il «crudo», che va così di moda e sembra tanto salutare, potrebbe andare incontro a qualche brutta sorpresa. A dispetto di quello che pensano i «crudisti» (vegetariani) convinti alla Mel Gibson, Uma Thurman o Demi Moore. Ecco allora, tanto per cominciare, il classico piatto di ostriche o un più ricco plateau di coquillages con gamberi, scampi e frutti di mare.
OSTRICHE, OCCHIO ALL’ALGA - Gli appassionati sanno che prima o poi qualche virus finisce fra i molluschi, ma sono anche disposti a sfidare il pericolo, sperando almeno di non prendersi un’epatite A. Adesso, però, la situazione si complica: i più grandi allevamenti di ostriche nel Sud-ovest della Francia sono contaminati da certi tipi di alghe che producono tossine pericolose anche per l’uomo. E l’estate scorsa è scattato l’allarme sulla stampa francese con qualche eco persino da noi. «Tutti i cibi crudi presentano qualche rischio che le varie culture sono riuscite a superare selezionando il cibo giusto per il loro ambiente e per le loro abitudini », commenta Giovanni Ballarini, presidente dell’Accademia Italiana della Cucina: «Così in Italia si mangiano crudi gli ovuli, ma non certi altri funghi leggermente tossici che vanno cotti per inattivare quelle piccole quantità di veleno.
I PESCI PER IL SUSHI - I giapponesi hanno individuato i pesci per il sushi, gli altri li cuociono. I guai cominciano quando importiamo i cibi, ma non la cultura che ci sta dietro». Sushi appunto. O sashimi. Si sa che molti tipi di pesci possono essere contaminati dall’anisakis, un parassita che vive nel loro intestino e finisce poi nelle carni. Il trucco per eliminarlo c’è: basta congelare il pesce per 24 ore, ma non tutti lo fanno. Così una tartare di tonno, un carpaccio di salmone o un piatto di alici marinate (limone e aceto non hanno alcun effetto sul parassita) potrebbero risultare particolarmente «indigesti». Soprattutto se vengono consumati in quei ristoranti cinesi che di giapponese hanno soltanto l’insegna e smerciano pesce importato chissà da dove, come tanti blitz dei Nas, i nuclei anti-sofisticazione, hanno scoperto. «In passato l’anisakis era diffuso soltanto in Oriente, adesso si trova anche nel Mediterraneo », spiega Gaetano Maria Fara, direttore dell’Istituto di Igiene all’Università La Sapienza di Roma. «Questo parassita provoca, nell’uomo, dolori addominali e disturbi gastroenterici a volte gravi».
IL TONNO? VA EVISCERATO SUBITO - Il tonno crudo può creare altri guai, come la cosiddetta sindrome sgombroide: «Quando il pesce non viene subito eviscerato dopo la pesca, i batteri si moltiplicano e trasformano l’istidina, un aminoacido presente nelle loro carni, in istamina che provoca disturbi simili a quelli di un’allergia: nausea, crampi addominali, mal di testa e caduta della pressione», conclude Fara. Casi frequenti negli Stati Uniti, ma poco comuni in Europa e in Italia: l’Istituto Superiore di Sanità ne ha documentati alcuni, fra cui quelli di due studentesse che, nell’estate del 2005, avevano consumato insalata di tonno in un bar di Grosseto ed erano finite al pron- fito soccorso.
HAPPY-HOUR - Dai sushi-bar ai fast food, per un hamburger veloce a mezzogiorno, fino all’happy hour serale che a volte diventa cena. Così i germi «tradizionali» come le salmonelle (ne esistono più di mille tipi fra cui quella del tifo che, almeno da noi e grazie a una maggiore igiene, non fa più tante vittime come in passato) e i colibatteri (molti sono normalmente presenti nella flora batterica intestinale) si rianimano grazie ai nuovi stili alimentari.
I COLIBATTERI DEI FAST FOOD - Il caso della studentessa americana, raccontato in prima pagina dal New York Times nei giorni scorsi, è emblematico e richiama alla memoria Sindrome fatale, uno dei più azzeccati romanzi di Robin Cook, autore di decine di medical thriller. La ventiduenne americana è rimasta paralizzata dopo essere entrata in coma per un’intossicazione da hamburger poco cotto. La polpetta di carne tritata era un impasto di scarti, che venivano da macelli di tutta l’America, e per di più era «al sangue». Risultato: i colibatteri non sono stati distrutti dal calore e hanno provocato l’infezione. Così era capitato anche alla protagonista del libro di Cook che, nel 1999, denunciava i rischi legati a un’industria alimentare troppo disinvolta e molto poco rispettosa delle leggi: anche la figlia del dottor Regis viene avvelenata dall’E.coli dell’hamburger e muore. Lo stesso batterio, l’E.coli O157:H7, si è anche rivelato colpevole di una misteriosa epidemia di tossinfezioni che, nel 2006, aveva colpito quasi duecento persone in 26 Stati americani, con due morti: quella volta il germe si era nascosto negli spinaci freschi. In un altro caso, che aveva coinvolto la catena di fast food Taco Bell, si trovava, invece, nella lattuga preconfezionata. Da noi, per fortuna, la diffusione di questo germe è bassissima, mentre sono più comuni altri tipi di colibatteri, meno pericolosi, e le salmonelle. Primo indiziato, nel caso di una tossinfezione alimentare da salmonelle, è sempre l’uovo crudo che si ritrova dappertutto: nella maionese delle tartine servite con l’aperitivo e, per finire, nel tiramisù.