D'accordo su questo, ferocemente in disaccordo sulla parte in grassettoOriginariamente inviata da Enrico_rm
D'accordo su questo, ferocemente in disaccordo sulla parte in grassettoOriginariamente inviata da Enrico_rm
io dico ke nn era nemmeno sbagliato il concetto...cioè alla fine qlla era la loro terra...ma poi una volta ke t viene dato qllo ke t spetta fermati...xkè invadere la palestina?!?! qsto per me è stato l'errore nn impedire ke ciò avvenisse...
Per quel che mi riguarda il problema che si pone Faurisson può essere importante da un punto di vista storico, ma è poco significativo per quel che concerne il punto di vista umano.
Il vero crimine compiuto dai nazisti, non è stata l'uccisione o meno di un certo sostanzioso numero di persone, né tantomeno le modalità tecniche con cui è avvenuta, ma il modo in cui queste sono state costrette a vivere, nella più completa negazione di qualsivoglia dignità.
Vorrei anche rispondere a quanti hanno tirato in ballo il romanzo-capolavoro di primo levi, "Se questo è un uomo". A mio modesto parere quel libro non prova quasi niente dell'esistenza o meno delle camere a gas naziste (è su questo punto che mi sembra di aver capito che si incaponisca Faurisson). Se ben ricordo Levi descrive soltanto a tale proposito il momento della cernita: uomini nudi scorrevano davanti agli esaminatori nazisti e venivano quindi invitati a passare in una di due porte: quella degli abili arruolati al lavoro e quella degli inabili. Che cosa succedesse agli inabili primo Levi non lo dice, non potendolo dire, dal momento che lui ha sempre superato la prova della cernita.
Vorrei aggiungere che "Se questo è un uomo" non è e non vuole essere un libro di accusa ai nazisti e al nazismo, ma all'essere umano in senso più lato. Coloro che Primo Levi davvero accusa in quel romanzo sono i suoi compagni di disavventura ebrei, la loro mancanza di solidarietà, la filosofia del "morte tua vita mia", l'organigramma dei disperati, dove chi è in possesso di un cucchiaio vale di più di chi non lo possiede. E' questo il lager, un modello che poi Primo Levi ha visto riproporsi in svariate occasioni della propria vita all'indomani della fine della seconda guerra mondiale; è la constatazione di tali riproposizioni che lo ha poi probabilmente spinto al suicidio.