Tema:
Le parole che ti ho detto.
Una persona può mancarti in tanti modi diversi. Ti può mancare con la mente, con il cuore, con l'anima... tu mi manchi a livello epidermico. Mi manca il fatto che toccandoti so che questa è la tua pelle.
Soffoco questi pensieri mentre cerco di restare calmo e rilassato. Ci sono giorni in cui il sorriso si piazza sul tuo volto per prendersi gioco della mia anima.
Con l’arroganza del guerriero cerco di portarti in salvo dalle tue paure.
La Torre Eiffel tinta di mille colori mi umilia con la sua bellezza. Arrugginisce senza battere ciglio. Ci insegna che si può creare qualcosa di stupendo dal più umile dei materiali. Non si sposta, non si ritira, non si vergogna della sua nudità di ferro.
La sua più grande lezione è che non si deve mai chiedere scusa per ciò che si è.
La principessa trema. Teme per le sorti di un cavaliere dalle scarpe rotte.
Mi irrigidisco. Respiro paura e ossigeno. Potrei morire anche adesso. Guardo la Torre, so cosa fare. Non mi sposto, non mi ritiro. Un cavaliere non si vergogna mai della propria armatura.
<<E se questo drago fosse troppo forte?>>
<<Ho sempre desiderato un’animale domestico>>
<<Sciocco, perché non mi cacci via?>>
<<Sono sempre stato solo, nelle tue paure ho riconosciuto un individuo della mia stessa specie.>>
Il cielo su Parigi
Mi sono versato un bicchiere di vino rosso e mi sono seduto seduto accanto alla finestra. Non credi sia stupido che dopo tutti questi anni io pensi ancora a te? È mezzanotte ormai e anche questo dieci agosto se n'è andato via. È il mio trentatreesimo compleanno e sono già passati dieci anni dal nostro viaggio a Parigi.
Sono in terrazza con Giulia. Si è seduta accanto a me e mi ha detto che fa troppo caldo per bere vino rosso. Alla fine sono tornato qui da Roma poco tempo dopo la tua partenza.
Non hai conosciuto Giulia. È stata la prima persona che ho incontrato tornato qui ed è stata la sola che mi ha convinto a restare. Non penso mai a te perché ho provato in tutti i modi, negli ultimi dieci anni a trasformarti in una puttana che mi ha lasciato senza motivo e che se n'è andata a vivere a Parigi.
Giulia si siede sulla poltrona di fronte alla mia. La gattina che le ho regalato cinque anni fa si posa sulle sue gambe e inizia a farle le fusa. Giulia sorride, le accarezza la testa e guarda il cielo. Una donna che ti ama sorride con lo sguardo verso le stelle e accarezza una gatta. Non è forse l'immagine perfetta di felicità?
Sono passati dieci anni da quel viaggio a Parigi. Per anni ho provato a dirmi che mi hai lasciato perché eri una ragazzina viziata e piena di soldi, perché uno come me che viene dal nulla e che non conosce nulla non poteva amare una come te, un'impulsiva che si trasferisce a Parigi da un giorno all'altro senza motivo. Non sai quante spiegazioni io abbia provato a darmi. La realtà è che certe voltele cose non funzionano e basta. Il dieci agosto di dieci anni fa camminavamo mano nella mano per gli Champs-Élysées e tu mi avevi detto che mi amavi. Notti come quelle le vivi solo da giovane.
Giulia ha socchiuso gli occhi e la nostra gattina si è addormentata sulle sue gambe. Sorride, sembra felice.
Quella notte guardasti il cielo e mi dicesti che Parigi di notte, con tutte quelle luci, era bellissima. Io alzai gli occhi e non vidi le stelle. Mi piace ancora l'idea di essere nato nella stessa notte in cui le stelle cadono e bruciano. Tu non mi dicesti nulla e continuammo a camminare.
Perché Parigi? Dicevi che erano due città sorelle, Roma e Parigi, tanto quanto la mia anima era sorella della tua. E che se Roma era stata il nostro scenario infinito, solo Parigi poteva... a saperlo, ora, ti direi che poteva portarlo via. Non sono più tornato a Parigi. E non so perché tu sia andata via.
Quel che so è che io sono tornato qui e Giulia, senza rumore e senza luci, come una goccia che scava la pietra è riuscita a prendermi, a tessere lentamente la più grande tela di tenerezza che abbia mai catturato un uomo.
In questo paese non vivono più di duecento persone. Non ci sono le luci forti di Parigi. Giulia apre gli occhi. Dal cielo cade una stella, lei la vede e sorride.
Giulia guarda le stelle. E solo dopo dieci anni, mentre bevo il primo sorso di vino, penso che quella sera a Parigi ci sarebbe bastato guardare insieme lo stesso dettaglio. E, per una volta, guardando le dita di Giulia che accarezzano piano il gatto, sono felice che tu viva bene anche senza tutte queste stelle.
Torpore grigio
C'era una volta un uomo, il quale era felice... felice oppure triste? Non ve lo so dire. Lui non se lo era neanche mai chiesto. E quest' uomo viveva una vita bella... bella oppure brutta? Non riesco a dirvi neanche questo, lui viveva la vita solo perché l'aveva.
Triste? Felice? Bello? Brutto? Non si poneva tali domande, viveva una vita incolore, e del grigio che lo circondava, neanche di quello si rendeva conto.
Ad esempio, dopo aver guardato la TV, poteva dire "Quello che ho visto è stato bello". Ma prima di dirlo, non si era chiesto se ciò che aveva visto gli fosse piaciuto, aveva solo pensato che ciò che aveva visto era considerato bello.
Dopo una serata con alcuni amici, passata magari a bere e a ballare, lui poteva dire "Questa sera mi sono divertito". Ma prima di dirlo, non si era chiesto se ballare fosse divertente per lui. Aveva solo pensato che una serata in discoteca era considerata divertente.
E potrei andare avanti a lungo, parlando anche delle più piccole cose, ma il punto è che mentre l'uomo ballava, nonostante le più colorate luci illuminassero la pista, intorno a lui era tutto grigio. Ma ne lui ne gli altri se ne rendevano conto, grazie anche a quel sorriso, costruito sulla sua faccia, che riusciva a fare da scudo verso la realtà.
Aveva un migliore amico, che definiva tale perché, in qualche modo, si era trovato a trascorrerci tanti momenti insieme, ma non perché davvero si fosse mai chiesto se meritasse la suo amicizia più di altri.
Un giorno, questo suo più grande amico si ammalò, ed iniziò ad allontanarsi lentamente. Ma l'uomo non percepì la transizione, e se ne rese conto solo quando il suo migliore amico non c'era più.
Quando ciò accadde disse "Sono triste perché ho perso il mio migliore amico", mentre sul suo volto iniziava a costruirsi un espressione afflitta. Perché quando si è tristi bisogna dimostrarlo. Ma prima non si era chiesto se stesse provando qualcosa, semplicemente sapeva che perdere un amico non era una cosa positiva.
Un giorno l'uomo fece un sogno. Beh, di sogni ne aveva fatti tanti, tutti grigi così come la sua vita. Ma questo... in realtà lo era anche questo, inizialmente. Sotto un cielo grigio, stava camminando lungo una strada grigia, affiancata da anonime case grigie. E tranquillamente la percorreva senza chiedersi dove potesse portare. Ma ad un certo punto, in lontananza, l'uomo vide qualcosa di strano. C'era un lampione dalla luce grigia, sotto la quale, distingueva una sagoma.Quando si avvicinò, riconobbe il suo più grande amico. Circondato da tutto quel soffocante mondo incolore, lui risplendeva di colori. L'uomo poteva distinguere il rosso della sua maglietta, il blu dei suoi jeans, e il dorato dei suoi capelli. Il suo migliore amico, sorridendo, portò un suo braccio sulle spalle dell'uomo, che a sua volta si sentì pervaso dai colori, e lo invitò a camminare. Più andavano avanti, più il mondo cambiava. Le case attorno alla strada, da grigie che erano, presero vita, ogni'una di un colore diverso. L'asfalto della strada diventò un fiume di giallo, verde, rosso, e altro, che trasportava i due velocemente, ma dolcemente. Il cielo esplose in mille colori, che piovvero ininterrottamente ricoprendo quel poco che era rimasto grigio.
L'uomo stava ridendo, urlando, cantando, e per la prima volta tutto stava uscendo dal cuore, spontaneamente. Alcune lacrime scesero dagli occhi, sentì la pelle d'oca. In quel sogno si stava sentendo più vivo di quanto mai avesse fatto nella sua vita. Ad un certo punto tutto iniziò a calmarsi. Il migliore amico, sorridente, diede una pacca sulla spalla dell'uomo, e si allontanò lentamente. L'uomo voleva chiedergli di restare, ma lo salutò. Si rese conto di cosa aveva perso, e ne fu triste. Mentre il suo amico si stava allontanando, si voltò un ultima vola. <<Ti ho liberato!>> urlò, sempre sorridendo, poi si voltò di nuovo e continuò a camminare. A quel punto, nel guardarlo allontanarsi, l'uomo fu felice di essere triste.
Poi il sogno finì, e lui si sveglio nel suo letto. Non aveva mai ricordato i sogni, ne l'aveva fatto questa volta. Si alzò dal suo letto, sgranchendosi per liberarsi dal torpore del sonno. Ma la sensazione che ebbe fu diversa... era come se non si fosse svegliato solo dal torpore del sonno, bensì da un torpore durato ben più a lungo. Dopo questa strana sensazione, ne provò un altra sul suo volto. Corse davanti allo specchio: era una lacrima che scorreva sulla guancia. Si, era una strana sensazione. Spontaneamente sorrise e pensò al suo amico, mentre altre lacrime iniziarono a scendere. Guardò fuori dalla finestra, ed iniziò a sentire sulla sua pelle i colori del mondo.