Mai avrei pensato di percepire determinate emozioni e sensazioni. Purtroppo sono una persona fredda, distaccata, faccio fatica a socializzare e a esprimere i miei sentimenti. Credevo che mai nella mia vita sarei riuscita a far entrare qualcuno nella mia barriera protettiva e invece… Quel giorno ti ho incontrato, abbiamo a malapena scambiato due parole, ma poi è stato tutto così naturale. Abbiamo iniziato a scriverci, scherzando, parlando di cose serie e il rapporto si è in qualche modo evoluto in qualcosa di magico, in qualcosa per me del tutto nuovo. C’era sempre quella maledetta paura di esporsi troppo, di sbagliare, ma questa volta ero riuscita a passare oltre, a esprimere ciò che pensavo realmente e, non so come, tu l’hai apprezzato a tal punto da innamorarti. D’altro canto, sei riuscito a insidiarti tra le spine del mio cuore e a far provare quel misterioso sentimento anche a me. Venne poi l’incontro. Quella sera ero pronta due ore prima dell’appuntamento. Tremavo come una foglia all’idea di trovarmi davanti a te con una prospettiva diversa, con la paura anche che tu mi avessi idealizzata.Qualcosa di nuovo
Invece è stato così semplice, tutto così naturale, da rimanerne stupita. E in quel frangente capii che, uno come te, che aveva in poco tempo scavato dentro il mio animo a tal punto da vederne le varie sfaccettature ed accettarmi per come ero, non poteva che essere la persona che cercavo.
Il bonsai
Il silenzio. Un silenzio che comincia a stordirmi, un silenzio fin troppo rumoroso.
Mi volto, osservo. Sul davanzale c'è il bonsai. Quel che vedo è un'immagine triste, tronco e rami sono di un grigio cupo. Ma guardando meglio noto una foglia, verde, un bellissimo verde.
Per un'attimo rompo il silenzio. E' buio, con il dito spingo verso il basso la rondella, emette il solito suono, la stanza si illumina per qualche istante mentre la pietra focaia fa il suo dovere.
Sento un leggero calore sul pollice, è la fiamma. Il filo di tabacco che usciva dalla cartina prende subito fuoco.
Aspiro. Il fumo è caldo, mando su nicotina mentre spero che quel povero bonsai riprenda a vivere.
Sono felice, quella foglia è bellissima.
Inalo l'ultima quantità di nicotina, ma in un'attimo sento sfuggire la sigaretta dalle mie mani, per qualche secondo non ho capito cosa stava succedendo...
Il vento soffia forte, la finestra sbatte colpendo il bonsai, causando la sua caduta.
Mi avvicino per raccoglierlo. Lo prendo con entrambe le mani, lo sollevo, e lo ripongo sul davanzale. Controllo che sia tutto apposto, ma manca qualcosa...
Sento l'ansia mangiarmi dentro, non ho il controllo. Mi illudo che un'altra dose di nicotina mi possa essere d'aiuto. Ecco, tutto si ripete: il dito, la rondella, la scintilla, il calore. La nicotina sale.
In un attimo la mia felicità svanisce, mi ero illuso di poter far vivere quel povero, piccolo bonsai.
Adoravo quella foglia...
Povero il mio bonsai, non batte più come prima.
Hope.
Ora, su quella lastra liscia una lucertola giaceva addormentata, forse per sempre, vicino ad una foglia verde smeraldo certo trasportata dal tiepido vento. Le aiuole erano ridotte ad un cumulo di erbacce ma un roseto rampicante era riuscito ancora a fiorire accanto al muro di cinta: chissà quante volte la nonna si sarà alzata sulla punta dei piedi per raccogliere tutte quelle foglie; nel centro una vaschetta di pietra, che un tempo aveva certo contenuto l’acqua fresca, era muta, vuota, mentre un’edera rampicante tracciava magiche volute attorno al suo basamento. Il sole stava calando e centinaia d’ombre si allungavano nel giardino come se tutte le cose abbandonate cercassero d’un tratto di animarsi. Erano ormai un paio d’anni che non ci tornavamo, forse per la troppa distanza o forse per il dispiacere che tutto quel complesso ci portava, dopo la morte improvvisa della nonna. Ebbi per un istante l’impressione che la casa si riempisse di gente, che le luci s’accendessero, i fiori sbocciassero emanando profumi delicati, la fontanella gettasse la sua acqua per riempire la vaschetta, come una volta. Tornai indietro un po’ malinconico e, appena giunto a casa, chiesi alla mamma notizie sul giardino disabitato. <<E’ una storia triste- mi disse- la villa era stata costruita per il figlio di un ricco signore che doveva venire ad abitarvi con la sua sposa ma che invece morì in guerra. I genitori non vollero vendere la casa ma l’abbandonarono e non vi tornarono più>>. Rimasi scosso dalla verità che era stata quasi intuita dalla mia fantasia e pensai al dolore di quei genitori, i miei nonni, che con tanto amore avevano costruito il nido per la felicità del loro figlio ed avevano poi lasciato morire ogni fiore, ogni pianta, perché lui non vi sarebbe mai entrato. Solo una foglia era sopravvissuta dopo quel gelido inverno, era lì, immobile, a diffondere un briciolo di speranza. E nonostante ciò tutto era bellissimo, come immortalato in un’immensa fotografia, la vita.