Pastori condannati per abbandono di ovini, avvocati che fanno causa perchè stressati dalle troppe denunce. Persino "sradicatori" di rose e di viti. Sono sempre di più gli italiani che si rivolgono ai tribunali per i motivi più strani. Come dimostrano le tante sentenze assai singolari su cui si è dovuta pronunciare la corte di Cassazione.
Ecco qualche esempio. Le sezioni unite di piazza Cavour sono state chiamate in causa per pronunciarsi su un regolamento di competenza sollevato da danni causati da "cinghiali selvatici". Poi c'è quel marito marchigiano, L.S., che nella causa di separazione dalla moglie M. C. rivendicava indietro l'anello di fidanzamento. Diceva di volerlo "donare alla figlia". Ma i giudici hanno deciso che il gioiello doveva rimanere alla ex consorte.
E non c'è zona d'Italia che si salvi da questo genere di ricorsi. A Mestre, per fare un esempio, c'è un avvocato di nome Luciano che, dovendo rispondere ad un'accusa di diffamazione, ha sostenuto che era "stressato dalle eccessive denunce" piovutegli addosso. Ovviamente gli ermellini della Quinta sezione penale hanno dichiarato inammissibile il suo ricorso, con tanto di condanna alle spese processuali per avere fatto perdere tempo alla giustizia con il suo presunto stress.
Andando nel Sud d'Italia, si trova il caso curioso del signor L. F. G., di origini reggine che, credendo di esercitare un diritto di proprietà per usucapione, ha pensato di "farsi ragione da sè medesimo - hanno dovuto spiegare i giudici della Sesta sezione penale - sradicando cinque piante di vite, due di rose" e sfrondando qua e là i rami di un limone. Dopo cinque anni dallo sradicamento Luciano, che aveva rivendicato l'esercizio di un diritto, è stato condannato a 400 euro di multa per esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Nella serie "ricorsi strani" si deve collocare anche il caso di due giovani di Spoleto, Mauro F. e Pierpaolo F., ladri di "coppi", tegole asportate nottetempo da una casa colonica del perugino. Nonostante siano stati colti con le mani nel sacco, i due hanno tentato di difendersi sostenendo che si trattava di un rudere che cadeva a pezzi. E che, dunque, non potevano essere accusati di furto. La Quarta sezione penale, ovviamente, li ha condannati "per il metodo di demolizione e appropriazione, nonchè per la sinergia tra i due".
E ancora. Sorpreso da una "abbondante nevicata", Guido F., pastore settantenne siciliano, aveva lasciato i suoi 40 ovini liberi di pascolare nel fondo del collega Augusto C.. Ne è scaturita una denuncia ai carabinieri che per giorni e giorni, ricostruisce la sentenza della Seconda sezione penale della Cassazione, hanno cercato il pastore Guido affinchè portasse vie le 40 pecore che pascolavano da abusive nel fondo di Augusto.
Alla fine, Guido è stato condannato a 1500 euro di multa per abbandono di ovini nel fondo altrui. Nella motivazione, i giudici di Cassazione hanno scritto che il delitto punito dall'articolo 636 del codice penale "può essere consumato non solo con l'introduzione diretta degli animali nei fondi vicini ma anche con il loro abbandono in libertà, nella consapevolezza che essi", cioè gli ovini, "vi si introdurranno guidati dall'istinto".
Pecore abbandonate, ladri di tegole in Cassazione i casi "strano ma vero" - cronaca - Repubblica.it