Chi è gelido non si stupisca se ha sempre freddo. L'isolamento sociale, l'emarginazione, l'esclusione dalla vita altrui, infatti, fa scendere la colonnina di mercurio. O meglio, ifluisce negativamente sulla nostra percezione della temperatura, portando il freddo anche dentro noi. Al contrario, chi ama la compagnia e ha sempre inviti, come i cosiddetti viveur, è portato ad avere più caldo. Calore nella vita e non solo, dunque, stando a uno studio dell'università di Toronto che ha guadagnato le pagine di Psychological Science. Nella ricerca, guidata da Chen-Bo Zhong, un gruppo di 65 studenti è stato suddiviso in due gruppi: a uno è stato chiesto di ricordare un episodio in cui ciascun partecipante si era sentito socialmente escluso; all'altro, viceversa, è stato chiesto di raccontare un'esperienza di inclusione sociale, ovvero situazioni in cui ci si era sentiti accettati dal gruppo. Con una scusa, a ognuno è stato chiesto di valutare la temperatura nella stanza. Ebbene, le stime variavano da 12 a 40 gradi centigradi, ed erano di gran lunga più basse nel gruppo che aveva ricordato episodi di emarginazione sociale. Ma non è tutto. In un secondo esperimento, condotto stavolta su 52 studenti, il campione era alle prese con un gioco al pc in cui veniva simulato un gioco con la palla. Alcuni venivano sistematicamente esclusi, non ricevendo mai il pallone dai compagni. Successivamente ai volontari è stato chiesto di mangiare o bere qualcosa, e di scegliere tra bevande e alimenti caldi e freddi, ad esempio cracker, caffè, frutta, zuppa calda. Ebbene, quelli che si erano sentiti esclusi nella simulazione al pc tendevano a scegliere vivande e bibite calde, quasi a voler compensare la sensazione di freddo percepita a causa dell'esclusione subita. Mentre gli altri optavano prevalentemente per alimenti e bevande freddi o a temperatura ambiente. "Potrebbe essere per questo motivo - spiega Zhong - che da sempre utilizziamo la metafora del freddo e del gelido quando parliamo di emarginazione ed esclusione sociale". Questi risultati, secondo gli autori, potrebbero aprire nuove strade nello studio e nella cura della depressione.