Sedicenne si getta dal quarto piano. La madre: deriso perchè era il più bravo
GRAZIA LONGO
TORINO
«Perdonatemi, ma non ce la faccio più. A scuola non ci voglio più andare. Sono a disagio perché mi fanno sentire diverso». Una lettera per chiedere scusa ai genitori e ai due fratelli, per quel volo di quattro piani con cui ha deciso di chiudere la sua giovanissima vita. E in quel sentirsi «diverso», la mamma di Matteo - 16 anni, seconda ragioneria al prestigioso Istituto Sommeiller - legge tutta la sua disperazione per l’essere stato bollato dai compagni di scuola come gay. «Era avvilito per quelle false accuse - racconta Priscilla Moreno, 50 anni, filippina che si guadagna da vivere come colf -. “Mamma, mi dicono che sono un frocio, ma non è vero”, mi diceva e io ho provato a consolarlo, ma non è servito a nulla».
Ogni suicidio, oltre che un profondo disagio, nasconde un mistero. Ma la madre di Matteo non ha dubbi sul motivo che martedì mattina ha spinto il suo secondo figlio a compiere quel gesto disperato. Un ragazzino mite, studioso, tanto brillante negli studi («era il primo della classe, tutti 8 e 9» commentano i suoi insegnanti), quanto timido e impacciato con i compagni. Tanto da preferire spesso l’amicizia delle ragazze, con una sensibilità più vicina alla sua. «I maschi a volte lo deridevano perché era bravo a scuola, perché era un secchione - ricorda G. - ma lui non mi ha mai confidato di essere stato preso in giro perché sospettato di essere omosessuale».
Tutta la fragilità dell’adolescente esplode martedì mattina. Sono quasi le 9. In casa, oltre a lui, c’è il fratello maggiore, Marco, 17 anni che sta ancora dormendo. La mamma e il fratellino di 11 anni sono già fuori. Matteo entra nella camera da letto che condivide con i fratelli, e sulla scrivania - accanto a una parete completamente tappezzata dagli eroi della sua squadra del cuore, la Juve - lascia la lettera. Due foglietti scritti con una grafia ordinata e precisa. Poi, sempre in silenzio, va in cucina, apre la porta del balcone, avvicina una sedia alla ringhiera e si butta giù. Mentre cade urta lo stendino del piano di sotto e si ferisce al petto. Ma il colpo fatale è la caduta da un’altezza di circa 15 metri. Alcuni vicini sentono il tonfo, si affacciano e scoprono il corpo del ragazzino nel cortile. Qualcuno chiama i carabinieri, qualcun altro il 118, un altro ancora suona al campanello di Matteo. «All’inizio non capivo cosa stessero dicendo - racconta il fratello maggiore -, ero ancora mezzo addormentato, perché dovevo entrare a scuola alle 10, e poi non mi sembrava vero che Matteo si fosse buttato giù. E invece era andata proprio così: l’ho visto dal balcone e ho telefonato subito alla mamma».
La corsa all’ospedale Cto si rivela inutile. Matteo non sopravvive, la madre ha un malore. Accanto c’è il figlio maggiore. Dal marito, un agricoltore italiano di Buttigliera d’Asti sposato nell’89, si è separata nel ‘99. Ferruccio Maritano ieri è andato a trovare l’ex moglie e i due figli. «Non riesco a capire perché Matteo si è buttato. A me non aveva mai raccontato di essere stato deriso come gay, ma con me non si apriva tanto. Con la mamma invece sì».
Eppure all’Istituto Sommeiller nessuno ha mai sospettato nulla. Né la preside né la psicologa né i docenti. La tutor, la professoressa Donatella Magliano, ribadisce che «era uno studente modello, non ci risulta che mai nessuno lo abbia chiamato gay». Il pm Paolo Borgna, dopo avere analizzato le lettere che gli sono state consegnate dai carabinieri, ha deciso di non procedere. Visto il clamore della vicenda, solo come «atto dovuto» sentirà alcuni professori e i famigliari. Domani, a Buttigliera d’Asti, i funerali.
I fatti si commentano da soli. Il bullismo porta anche a disgrazie come questa.