Il signor Fiat chiude Termini Imerese ed apre in Serbia, nuova Eldorado del made in Italy
Lo stabilimento di Kragujevac della Zastava, ora di proprietà Fiat godrà degli aiuti dello stato serbo ancora per molto anni e la circostanza ha attirato l’amministratore delegato della casa torinese Marchionne.
di
Sergio Bagnoli
Erano rassegnati i quasi millecinquecento operai di Termini Imerese che ieri mattina hanno sfilato per le vie di Roma sino a giungere sulla soglia dei Palazzi del Potere urlando la propria disperazione.
L’Amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, infatti, aveva appena annunciato la certa chiusura dello stabilimento di questa nostra città del sud che si trova in Sicilia, ad un tiro di schioppo da Palermo, terra in cui il controllo del territorio è troppe volte esclusiva delle locali cosche mafiose.
E’ molto probabile che le produzioni di Termini Imerese ora vengano trasferite nei Balcani occidentali, in Serbia per la precisione, nazione che proprio oggi con la presentazione della domanda di adesione ha iniziato il proprio percorso verso l’integrazione nell’Unione europea.
La Fiat, come ben si ricorderà, ha appena rilevato la società automobilistica serba Zastava, una volta proprietà dello stato jugoslavo. Già da oggi la Zastava produce Fiat Punto ed un domani inizierà pure la produzione delle Lancia Y10, con il chiaro intento di penetrare nel mercato automobilistico dell’Europa centro- orientale per ora predominio, per ciò che concerne le utilitarie, di Volkswagen, che in Repubblica ceca fabbrica le Skoda, e Renault, proprietaria della romena Dacia.
La casa automobilistica torinese però ben si guarderà dal conferire alla casa serba il proprio marchio, preferendo mantenerne l’autonomia al fine di continuare a riscuotere le sovvenzioni da parte dello stato balcanico. La Zastava, dunque, godrà dei vantaggi derivanti dalla chiusura dello stabilimento siciliano insieme all’importante città industriale di Kragujevac pesantemente bombardata ai tempi dell’intervento Nato contro Belgrado proprio a causa della presenza di quegli impianti industriali.
Che cosa dunque ha spinto la Fiat, e nella fattispecie il suo Amministratore delegato Sergio Marchionne, a preferire Belgrado all’Italia insulare, e nella fattispecie alla Sicilia?
Certamente tra i tanti fattori che hanno consigliato la maggiore società industriale privata italiana a disimpegnarsi da Termini Imerese, nonostante le ammonizioni in senso contrario del Ministro alle Attività produttive Claudio Scajola, uno dei più importanti è quello di poter godere in Serbia, nazione che ancora per un certo numero di anni continuerà a rimanere extra- comunitaria, di quegli aiuti di Stato ormai da tempo vietati nei ventisette paesi dell’Unione europea.
Basso costo del lavoro, possibilità di continuare ad operare lo sfruttamento massiccio della forza- lavoro, facile accesso ai doviziosi aiuti economici che Bruxelles accorda a quelle nazioni che hanno stretto con l’Unione europea accordi di stabilizzazione finalizzati ad una futura integrazione in essa, e ieri la Serbia ha presentato domanda di adesione all’Unione, stanno inducendo molti imprenditori italiani ad abbandonare persino la sicura Timisoara, e la regione circostante del Banato, in favore della serba Vojvodina dal momento che, con l’ingresso della Romania nell’Europa a ventisette, ormai investire dalle parti di Bucarest non conviene più come una volta.
Intanto in terra di Sicilia da ieri quasi millecinquecento famiglie, sono duemila con l’indotto, non hanno più certezze circa il loro futuro: il pericolo che in parte possano cadere in mano alle sirene della criminalità organizzata in una terra dove quasi un giovane su due è disoccupato sono, purtroppo, altissime e nulla sinora è riuscito a far recedere il Signor Fiat dal proprio intento.
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