E’ Telese un’amena cittadella
che sorge nella terra dei campani;
vi regnava, titano fra i titani,
l’indomito Clemente dei Mastella.
La bufala campana era il suo stemma
però sorretta da un Giano bifronte;
ne aveva due valigie sempre pronte
- l’una campana, l’altra di Maremma.
La sorte fu con lui benigna assai
perché dotato fù d’ubiquità:
era in grado di star sia qui che là
- dov’era eppur non lo si seppe mai.
Era cristiano fin laggiù ai calcagni,
“La udeur Jesus Christus” * il suo motto;
eppure all’occorrenza lui di botto
sapeva pas(**)teggiare coi ‘compagni’.
Era un tipo di grande compagnia,
con tutti lui mangiava e pur beveva,
a nessuno la porta mai sbatteva:
vero campione di democrazia.
Cristiana la sua gente lo era stata
- non è che non lo fosse pure adesso;
però, siccome a lui piaceva il sesso,
la gnocca Afef, che islamica era nata,
fu accolta a braccia aperte nel castello
- diciamolo per dire, ma perfino
con quasi più calor che Pomicino.
Provera, alla fin fin, questo ha di bello.
Surfista navigato, il buon Clemente,
sapeva star sull’onda come un papa;
eppure aveva un chiodo d’int ‘a capa:
“Di gràvita vo’ un céntro permanente”.
‘Sto jingle gli rombava nei neuroni
e lo teneva sveglio anche la notte;
aveva voglia a dir “Chi se ne fotte”:
e a mettersi i ghiaccioli sui maroni.
“Il centro io l’avrei anche trovato”
e tutti a malignare: “Eccolo lì,
si appresta a rilanciare la Diccì
con gli altri rimasugli del passato”.
E invece solo Afef aveva in testa;
pensava: “Se anche io non sarò eletto,
con lei vicina sempre sarò eretto”.
Per questo che a Telese si fa festa.
* Gioco di parole con “Laudetur Jesus Christus”
** presso gli antichi greci sigma e tau (S e T) erano intercambiabili – tanto che ‘mare’ si scriveva ‘talatta’ o ‘talassa’. Questo infinito si presta ad un triplo significato – con grande scuorno del Clemente