Per il ministro Sandro Bondi è un “equo compenso”, per consumatori e produttori informatici è una tassa sull’innovazione. Con un
decreto, firmato dal ministro dei Beni culturali il 30 dicembre scorso è stato allargato il numero di dispositivi per cui è necessario pagare il compenso per la “copia privata”, finendo per includere ogni oggetto che possieda una memoria.
Senza perdere tempo i produttori, la Apple in testa, hanno ritoccato al rialzo i listini per coprire la sovrattassa. E a giudicare dai primi rincari, non sembra trattarsi di una tempesta in un bicchiere d'acqua.
L’equo compenso è un balzello che ricade su tutti i prodotti utilizzati per la registrazione di musica e video e sui loro supporti, introdotto come
risarcimento preventivo per le possibili violazioni del diritto d’autore che veicoleranno. In poche parole, chiunque possieda un lettore mp3 o un masterizzatore (ma anche pendrive, hardisk, computer e persino alcuni tipi di decoder che registrano i programmi tv) deve sobbarcarsi un costo per la possibilità che ascolti o copi qualcosa senza averla pagata. Una multa preventiva insomma. A beneficiare della “tassa” è la
Siae, la Società di autori ed editori, che secondo alcune stime potrebbe ricevere oltre 100 milioni di euro attraverso questo decreto. Dal canto suo la Società si difende sostenendo che si tratta "
di una tutela e non di una tassa e che gli introiti vanno agli artisti".
Prima del decreto Bondi le memorie digitali erano escluse dall’equo compenso (una decisione sancita dalla legge 43 del 2005): attraverso i decreti “mille proroghe” del 2008 e del 2009 è stato però stabilito che la normativa dovesse essere rivista entro il 31 dicembre 2009. Non è quindi un caso che il decreto sia stato firmato il 30 dicembre (anche se ne è stata data comunicazione solo il 14 gennaio).
Le proteste. Contro il provvedimento si sono subito sollevate le proteste delle associazioni dei consumatori, di quelle dei produttori informatici e non solo. Altroconsumo, Cittadinanzattiva, Adiconsum, Movimento Difesa del Cittadino e Assoutenti hanno presentato un ricorso al Tar del Lazio, sostenendo l’illegittimità della misura;
Altroconsumo ha anche avviato un ricorso all’Unione Europea contro quelli che giudica degli “aiuti di stato”;
l’Assinform, associazione dei produttori informatici, ha protestato ufficialmente per bocca del suo presidente ;
l’Istituto per le politiche dell’Innovazione ha promosso invece una
moratoria per chiedere al ministro Bondi di sospendere l’efficacia del provvedimento fino a che i giudici non si saranno pronunciati sulla sua legittimità (è possibile firmare la moratoria
a questo link e su
Facebook).
Chi paga. L’equo compenso deve essere corrisposto da chi fabbrica o importa in Italia la strumentazione per la registrazione i supporti (analogici e digitali) su cui questa viene salvata: i rincari previsti dalle tabelle ministeriali ricadono direttamente sui produttori e, attraverso l’aumento dei prezzi dei supporti e degli strumenti, sui consumatori.
Gli aumenti. La dettagliatissima lista dei rincari previsti dal ministero è consultabile qui (
GUARDA LA TABELLA). Tra gli aumenti più rilevanti ci sono i 2,4 euro per ogni computer con masterizzatore (1,9 se il computer non lo ha); i lettori mp3 crescono dagli 0,64 ai 9,66 euro in base alla memoria; fino a dieci centesimi a gb per le chiavette usb; ventinove euro per un hard disk integrato oltre i 250 gb; due centesimi a gb per un hard disk esterno (un trecento gb aumenta così di sei euro).
Il caso Apple. La prima azienda ad adeguarsi è stata
la Apple, i cui prodotti hanno subito un aumento tra i 3 e i 18 euro per compensare la sovrattassa dell'equo compenso. Particolarmente penalizzati sono stati i lettori mp3 della linea iPod: il
classic da 160 gb è balzato a 247 euro (dai 229 originari), ma anche i prodotti meno cari, come lo
shuffle da 2 gb, hanno subito aumenti di oltre il 10%, passando da 55 a 61 euro, ben 6 euro in più che diventano 10 per l'acquisto di un
iPod Touch da 64 Gb.
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