Bella faccia tosta ho, a percorrere uno spazio così grande conciata così. Tutta vestita di nero, col naso incipriato e il rossetto forte… e questi tacchi, la scollatura, i seni che minacciano di venir fuori ad ogni avanzamento. Non mi sono nemmeno chiesta che effetto faccio alla vista degli altri, mi sono tirata dietro il portoncino di casa e ho frugato nella borsa in cerca del pacchetto di Benson & Hedges che sto minuziosamente centellinando da tre giorni.
Il problema è che tu non sai dove stai andando, in un pomeriggio assolato e denso di smog, correndo tutta truccata per via Depretis. La tua corsa pare aver preso la direzione ovvia di piazza del Plebiscito. Ti è balenata in testa almeno l’idea di una certezza vacua, nel mare sconfinato delle tue palpitazioni arse dal sole. Così hai attraversato l’enorme spazio recintato dalle mura metalliche dei lavori in corso, e poi hai affondato gli spilli dei lunghi tacchi di vernice nel prato davanti al Maschio Angioino, bene attenta ad sempre più forte, quasi perdendo il fiato, hai fatto tentennare i tuoi anelli con le cape di morto sulla ringhiera imbroccata del Palazzo Reale, compiacendoti della miriade di piccoli accessori che sei riuscita a conquistarti nei tuoi anni da studentessa a Napoli. È così che finisce il sogno di un cambiamento, quello che facevi da ragazzina e che vedeva Partenope come un Eden di magia e profumi, in cui conquistare la pace della sicurezza. Finisce nel rumore sfumato di un orrendo anello da metallara, fasullo e di cattivo gusto, o nei pizzi di un’ampia gonna nera che attira il sole in modo impietoso.
Ecco aprirsi di fronte a me la piazza, meravigliosamente vuota. Solo la sua colonia di cani e gli uccelli cittadini a metter merda su merda, ma in fondo non importa. Anche l’odore intenso del rifiuto di un corpo umano prende vita in questa città, talmente stretta che ho bisogno di uno spazio più ampio da cui poterle dire addio.
È questo l’unico posto speciale in cui portare le persone che venivano a trovarmi da città più grandi e più pulite, con l’esigenza in corpo di difendere per amore un luogo che si comprende solo ed esclusivamente abbandonandosi ad esso. Per me è facile, a Napoli sono le mie radici. Napoli è mia madre, morbida di sapori e scivolante di parole, una culla sgangherata su cui dormo senza memoria, perché la città mi regala la sua. E m’ha regalato fantasmi, cortili ariosi di statue antiche e grigie… chiese ad ogni angolo, come mosche nell’enorme ragnatela del monastero di Santa Chiara, attorno a cui la mia vita è ruotata inspiegabilmente