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Il primo amore

  1. #1
    KiNdEr_SoRpReSa
    Ospite

    Predefinito Il primo amore

    Tornami a mente il dì che la battaglia
    D'amor sentii la prima volta, e dissi:
    Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia!
    Che gli occhi al suol tuttora intenti e fissi
    Io mirava colei ch'a questo core
    Primiera il varco ed innocente aprissi.
    Ahi come mal mi governasti, amore!
    Perchè seco dovea sì dolce affetto
    Recar tanto desio, tanto dolore?
    E non sereno, e non intero e schietto,
    Anzi pien di travaglio e di lamento
    Al cor mi discendea tanto diletto?
    Dimmi, tenero core, or che spavento,
    Che angoscia era la tua fra quel pensiero
    Presso al qual t'era noia ogni contento?
    Quel pensier che nel dì, che lusinghiero
    Ti si offeriva nella notte, quando
    Tutto queto parea nell'emisfero:
    Tu inquieto, e felice e miserando,
    M'affaticavi in su le piume il fianco
    Ad ogni or fortemente palpitando.
    E dove io tristo ed affannato e stanco
    Gli occhi al sonno chiudea, come per febre
    Rotto e deliro il sonno venia manco.
    Oh come viva in mezzo alle tenebre
    Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi
    La contemplavan sotto alle palpebre!
    Oh come soavissimi diffusi
    Moti per l'ossa mi serpeano, oh come
    Mille nell'alma instabili, confusi
    Pensieri si volgean! qual tra le chiome
    D'antica selva zefiro scorrendo,
    Un lungo, incerto mormorar ne prome.
    E mentre io taccio, e mentre io non contendo,
    Che dicevi, o mio cor, che si partia
    Quella per che penando ivi e battendo?
    Il cuocer non più tosto io mi sentia
    Della vampa d'amor, che il venticello
    Che l'aleggiava, volossene via.
    Senza sonno io giacea sul dì novello,
    E i destrier che dovean farmi deserto,
    Battean la zampa sotto al patrio ostello.
    Ed io timido e cheto ed inesperto,
    Ver lo balcone al buio protendea
    L'orecchio avido e l'occhio indarno aperto,
    La voce ad ascoltar, se ne dovea
    Di quelle labbra uscir, ch'ultima fosse;
    La voce, ch'altro il cielo, ahi, mi togliea.
    Quante volte plebea voce percosse
    Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese,
    il core in forse a palpitar si mosse'
    E poi che finalmente mi discese
    a cara voce al core, e de' cavai
    delle rote il romorio s'intese;
    Orbo rimaso allor, mi rannicchiai
    Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi,
    Strinsi il cor con la mano, e sospirai.
    Poscia traendo i tremuli ginocchi
    Stupidamente per la muta stanza,
    Ch'altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi?
    Amarissima allor la ricordanza
    Locommisi nel petto, e mi serrava
    Ad ogni voce il core, a ogni sembianza.
    E lunga doglia il sen mi ricercava,
    Com'è quando a distesa Olimpo piove
    Malinconicamente e i campi lava.
    Ned io ti conoscea, garzon di nove
    E nove Soli, in questo a pianger nato
    Quando facevi, amor, le prime prove.
    Quando in ispregio ogni piacer, nè grato
    M'era degli astri il riso, o dell'aurora
    Queta il silenzio, o il verdeggiar del prato.
    Anche di gloria amor taceami allora
    Nel petto, cui scaldar tanto solea,
    Che di beltade amor vi fea dimora.
    Nè gli occhi ai noti studi io rivolgea,
    E quelli m'apparian vani per cui
    Vano ogni altro desir creduto avea.
    Deh come mai da me sì vario fui,
    E tanto amor mi tolse un altro amore?
    Deh quanto, in verità, vani siam nui!
    Solo il mio cor piaceami, e col mio core
    In un perenne ragionar sepolto,
    Alla guardia seder del mio dolore.
    E l'occhio a terra chino o in se raccolto,
    Di riscontrarsi fuggitivo e vago
    Nè in leggiadro soffria nè in turpe volto:
    Che la illibata, la candida imago
    Turbare egli temea pinta nel seno,
    Come all'aure si turba onda di lago.
    E quel di non aver goduto appieno
    Pentimento, che l'anima ci grava,
    E il piacer che passò cangia in veleno,
    Per li fuggiti dì mi stimolava
    Tuttora il sen: che la vergogna il duro
    Suo morso in questo cor già non oprava.
    Al cielo, a voi, gentili anime, io giuro
    Che voglia non m'entrò bassa nel petto,
    Ch'arsi di foco intaminato e puro.
    Vive quel foco ancor, vive l'affetto,
    Spira nel pensier mio la bella imago,
    Da cui, se non celeste, altro diletto
    Giammai non ebbi, e sol di lei m'appago.

    Giacomo Leopardi

    E pensare che l'ha scritta quando aveva 17 anni per una donna di 23 (o 26 non ricordo bene..).
    E' proprio bella!


  2. #2
    Assuefatto da FdT
    Donna 31 anni da La Spezia
    Iscrizione: 21/3/2006
    Messaggi: 679
    Piaciuto: 0 volte

    Predefinito

    vero è proprio bella concordo

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