Ok di solito mi rifugio nella scrittura quando ho bisogno di sfogarmi e un pò di tempo fa scrissi una sorta di lettera a mè stessa; è datata 28 maggio 2010, quindi quasi un mese fa. la pubblico solo per sapere se qualcuno si è mai trovato in una situazione del genere e come ne è "uscito"; il mio problema non è ancora risolto ma ci sto provando..
prima però dico solo una cosa: da amici/compagni o solo compagni mi veniva spesso ripetuto che ero sempre incazzata, complice anche il mio ruolo di rappresentante (in realtà non era esattamente così..)
Scrivo le pagine che forse daranno il vero via al mio cambiamento.
Sono stati due giorni complicati, pieni di lacrime, pensieri, ansie e speranze.
Ma partiamo dall’inizio.. mancano circa due settimane alla fine della scuola, esattamente della mia terza superiore; nasce da sé il pensiero che io stia leggermente sclerando a causa di compiti di recupero e interrogazioni. Beh, è proprio così, diciamo che ormai le nottate insonni passate a studiare sono di routine, ma che dovrei riuscire ad uscire indenne anche da quest’anno passato forse troppo velocemente e purtroppo, o per fortuna, senza grandi novità.
Inizio il mio racconto o come lo vogliamo chiamare parlando di questi ultimi due giorni, carichi di tante cose importanti.. ieri la sfuriata con Vittoria, oggi la discussione con *prof ; diciamo le cose per bene (so già che rileggendo tra qualche tempo questa pagina mi sarà dimenticata di quanto accaduto!): la discussione di ieri nasce da una cazzata, un film non portato da guardare durante l’ora di biologia, io che tento di calmare gli animi e Vittoria che asserisce che io mi metto sempre in mezzo à io sbotto, mandandola a cagare e dicendole che “forse” non sono sempre io quella dal carattere di merda.
La discussione finisce lì e per tutta la lezione non faccio altro che piangere, spiegando a Martina il perché della mia reazione. Eh già perché non sempre faccio la pazza furiosa per divertimento (anche se poi non lo faccio mai in realtà per divertimento!): spiego a Martina che sono stanca di sentirmi attribuito qualcosa di non mio, che magari fa parte del mio carattere ma che non è il mio dato caratteristico, che ci sono dentro di me tante cose che vorrei riuscire a dire e che invece rimangono chiuse tra i mille pensieri di una che se si deve sfogare prende a pugni un cuscino e piange tutta la notte piuttosto che chiamare un’amica e PARLARE.
Il dolore, mi dico, a volte si affronta meglio da soli; l’infelicità, quell’incertezza che la vita di tutti i giorni porta all’esasperazione, a volte è meglio tenersela dentro. Nessuno sa, nessuno fa domande e quindi nessuna risposta o spiegazione da dare; ed è tutto più semplice.. o meglio, lo sarebbe, se poi non andasse a finire con me che non mi ricordo neanche cosa mi ha risposto Vittoria, talmente ero “accecata” dalla rabbia.
Ma passiamo ad oggi: lezione di *prof, arte, all’interrogazione Magic, Andre e Vitto; quest’ultima dice subito al prof di non sapere nulla, ma dato che è “andata” all’interrogazione lui le fa qualche domanda à lei non sa nulla, torna al posto e si sfoga piangendo.
E qui ha inizio tutto: *prof, in breve, dice a Vittoria che piangere per delle stronzate è segno di immaturità, che non si deve piangere davanti agli altri ma che certe cose vanno tenute per sé stessi, come quando ci si morde la lingua per non dire una parolaccia ai prof e rischiare una sospensione; il prof chiede conferme a noi,e non ricevendone e vedendo la mia faccia contrariata mi chiede se non sono d’accordo; non mi faccio problemi, come al solito, ed espongo la mia opinione : “Piangere non è simbolo d’immaturità, è una reazione che se uno non riesce a controllare, non danneggia chissà chi e non è paragonabile ad una parolaccia o ad un gestaccio rivolto ad un professore”. In teoria la questione sarebbe chiusa, se *prof, rivolgendosi a me e alla classe non avesse detto:”Verdiana è proprio incavolata nera” -.-“
Rispondo che sono seria, non incavolata e, continuo, dicendo che se non sono d’accordo è proprio perché è la repressione di determinati sentimenti che spesso mi spinge a sbagliare.. continuo un po’ con queste argomentazioni e chiedo di andare in bagno. Piango. Lontana da tutti, proprio come dice lui; ripenso a tutto quello successo ieri e al fatto che io e Vittoria ancora non ci siamo chiarite. Continuo a piangere. Avrà ragione lui?
Ed eccoci giunti alle 20 di sera, ho detto a Vittoria di volerle parlare.. domani lo farò. Mi sono messa al pc pensando di poter rimpiazzare il “discorso” che intraprenderò domani con una delle mie lettere, con le belle parole che solitamente riesco a scrivere ma non a dire. E invece no. Stavolta non scappo. Ho perso tante occasioni di essere sincera. Ho perso tanti potenziali amici a causa della maschera che indosso. Stavolta no. Vivo il presente e quello che la vita mi concede, tentando di conquistarmi la fiducia, la stima e l’affetto di quelli che mi stanno accanto. E chi sono gli amici se non quelli con cui ci si può mettere a nudo? Quelli da cui non si ha paura di essere giudicati?
Ognuno di noi ha i propri segreti e magari tanti rimangono tali nel corso della nostra vita, ma “svelarsi” agli altri è una delle cose più belle e dolorose che all’essere umano vengono concesse. E se è vero, come dice Pico della Mirandola, che Dio non ci ha dato capacità precise perché siamo in grado di apprenderle tutte, così quando ci troviamo con qualcosa di importante davanti, quello che si definisce AMICO, sta solamente a noi cercare di tenercelo stretto anche a costo di rinunciare a qualcosa o meglio, di condividere qualcosa.
Ripenso a ciò che è successo stamattina, al fatto che forse certe volte difendo a spada tratta o attacco quasi incomprensibilmente *prof, proprio perché vedo in lui qualcosa che mi appartiene; sia chiaro che sto parlando di un dato caratteriale! E non so se questo sia un bene o un male; so che il fatto di avere certe cose in comune ha fatto sì che nel tempo io riuscissi a non avere con lui “peli sulla lingua” e a rispondere a tono a delle cose che non ritenevo corrette.
Eppure per certi versi ha ragione lui; durante i consigli di classe, con i genitori, con i genitori degli amici, con i professori nella maggior parte della nostra carriera scolastica o in tante altre situazioni ci ritroviamo a mettere una maschera. E non potremmo fare altrimenti, perché la vita ci chiede questo. Perché per il bene comune dobbiamo fare questo. E allora ha ragione lui.
Il contrasto nasce dal fatto che probabilmente si parlava di cose diverse, e la colpa mi sa proprio che è mia. Io parlavo di Vittoria, di Martina e di tanti altri; lui parlava di scuola, di lavoro, di situazioni in cui mettere una maschera è necessario.
Se poi si parlava d’altro, beh non si è capito. Così come lui non ha capito a cosa io mi stavo riferendo, io non ho capito quello che lui aveva in testa mentre diceva quelle parole a Vittoria.
Fatto sta che la vita, ci spinge ad essere come non vorremmo, o semplicemente come non avremmo mai immaginato. Ed ecco per esempio che mi pento di non aver studiato per bene dall’inizio dell’anno, perché la delusione stà prima di tutto sul mio volto e non su quello di genitori o professori che dicono “Potevi fare di più”.
No. Sono io il peggior critico di me stesso. Sono io quella che a volte vorrebbe essere immatura tanto da non essere così obiettiva da incolpare sé stessa per i scarsi risultati anziché un professore. E invece no. Mi ritrovo a fare bilanci di fine anno, in cui quella che ha perso sono soltanto io; eh già, perché se il mio obiettivo (ma non diciamolo a nessuno, mi raccomando) è diventare una prof, è stare dall’altra parte della barricata, beh non si è visto!
È da qui che inizia la mia “strada verso la felicità”?
Da una pagina di word che mi accompagna prima di riprendere lo studio e la vita frenetica di tutti i giorni?
Si spera. O meglio, ci si prova veramente. Stavolta sì. Stavolta mi sa che è quella giusta.