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"Non riesco a far smettere di piangere il mio cuore.
Fuori il mio viso di circostanza è sempre integro.
Adoro la pioggia.
Adoro il sapore della pioggia.
Un profumo madido e intenso, zuccheroso come le fiere dei Luna Park che vendono torroni, caramelle e zucchero filato..
E improvvisamente da dolciastro si fa amaro e selvatico come la baia di qualche oceano e puoi vedere le onde che si infrangono e sentire spruzzi vaporosi sfiorarti le caviglie.
Adoro il profumo della pioggia.
Adoro il suono della pioggia.
Un suono preciso, come un orologio che non è il mio.
Nenia incessante, come la ninnananna della buonanotte che si ripete ai bambini per farli addormentare.
Rassicurante pioggia, compagna di notti passate sveglia ad ascoltare il suo malinconico concerto di solitudine e nemmeno immaginare di essere stretta a qualcuno, perchè lei era troppo, per essere divisa con un altro paio di orecchie.
Non ho voglia di fare niente.
Vorrei stare tutta la vita ad aprire gli occhi la mattina e richiuderli la sera.
Nel mezzo, respirare.
Solo questo.
La depressione non è quella che si pensa di solito, è solo questo.
Non è uno stato preciso; un momento transitorio, forse, ma non ha delle caratteristiche ben definite, non come agognerebbero gli psicologi, almeno.
E' solo questo, una parola: depressione.
E' solo un insieme di mille domande, e mille non-risposte, un'assenza di voglia di andare avanti, e poi è tutto quello che hai intorno e ti dà la nausea e che non è più nel posto giusto sulla mensola, anche se quella sistemazione l'avevi data tu.
O forse è il buio,quello di cui gli uomini preistorici avevano così timore, prima di scoprire il fuoco.
O forse è quello che ci sta dentro, al buio.
E dentro al buio ci sei solo tu, ed è questo che spaventa davvero; la depressione è la consapevolezza di arrivare a quello che si è realmente, e l'inevitabile paura di trovarsi di fronte a qualcosa che non ci piace, la paura di non sapersi affrontare, e migliorare.
Così, semplicemente ti lasci andare nel tuo piccolo dolore personale, ti lasci cullare dalla svogliatezza di metterci rimedio.
Tutto qui.
Molto più facile di quello che si paga per cercare di guarire.
E' la tristezza più avvolgente.
Il dolore meno pungente, ma più costante.
E' una scatola nera senza uscite.
Un cubo di Rubick mancante della combinazione finale."
Da Io non chiedo permesso
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La sera Hervé Joncour preparò i bagagli.
Poi si lasciò portare nella grande stanza lastricata di pietra, per il rito del bagno.
Si sdraiò, chiuse gli occhi, e pensò alla grande voliera, folle pegno d’amore.
Gli posarono sugli occhi un panno bagnato.
Non lo avevano mai fatto prima.
Istintivamente fece per toglierselo ma una mano prese la sua e la fermò.
Non era la mano vecchia di una vecchia.
Hervé Joncour sentì l’aqua colare sul suo corpo, sulle gambe prima, e poi lungo le braccia, e sul petto. Acqua come olio. E un silenzio strano, intorno. Sentì la leggerezza di un velo di seta che scendeva su di lui. E le mani di una donna -di una donna- che lo asciugavano accarezzando la sua pelle, ovunque: quelle mani e quel tessuto filato di nulla.
Lui non si mosse mai, neppure quando sentì le mani salire dalle spalle al collo e le dita- la seta e le dita- salire fino alle sue labbra, e sfiorarle, una volta, lentamente, e sparire.
Hervé Joncour sentì ancora il velo di seta alzarsi e staccarsi da lui.
L’ultima cosa fu una mano che apriva la sua e nel suo palmo posava qualcosa.
Aspettò a lungo, nel silenzio, senza muoversi.
Poi lentamente si tolse il panno bagnato dagli occhi.
Non c’era quasi più luce, nella stanza.
Non c’era nessuno, intorno.
Si alzò, prese la tunica che giaceva piegata per terra, se la appoggiò sulle spalle, uscì dalla stanza, attraversò la casa, arrivò davanti alla sua stuoia, e si sdraiò.
Si mise a osservare la fiamma che tremava, minuta, nella lanterna.
E, con cura, fermò il Tempo, per tutto il tempo che desiderò.
Fu un nulla, poi, aprire la mano, e vedere quel foglio. Piccolo. Pochi ideogrammi disegnati uno sotto l’altro. Inchiostro nero.
A Lavilledieu la vita scorreva semplice, ordinata da una metodica normalità.
Hervé Joncour se la lasciò scivolare addosso per quarantun giorni. Il quarantaduesimo si arrese, aprì un cassetto del suo baule da viaggio, tirò fuori una mappa del Giappone, la aprì e prese il foglietto che vi aveva nascosto dentro, mesi prima. Pochi ideogrammi disegnati uno sotto l'altro. Inchiostro nero. Si sedette alla scrivania, e a lungo rimase a osservarlo.
Trovò Baldabiou da Verdun, al biliardo. Giocava sempre da solo, contro se stesso. Partite strane. Il sano contro il monco, le chiamava. Faceva un colpo normalmente, e quello dopo con una mano sola. Il giorno che vincerà il monco -diceva- me ne andrò da qesta città.
Da anni, il monco perdeva.
-Baldabiou, devo trovare qualcuno, qui, che sappia leggere il giapponese.
Il monco staccò un due sponde con effetto a rientrare.
-Chiedi a Hervé Joncour, lui sa tutto.
-Io non ne capisco niente.
-Sei tu il giapponese, qui.
-Ma non ci capisco niente lo stesso.
Il sano si chinò sulla stecca e fece partire una dandella da sei punti.
-Allora non resta che Madame Blanche. Ha un negozio di tessuti, a Nîmes. Sopra il negozio c'è un bordello. Roba sua anche quella. È ricca. Ed è giapponese.
-Giapponese? E come ci è arrivata qui?
-Non chiederglielo, se vuoi avere qualcosa da lei.
Merda.
Il monco aveva appena sbagliato un tre sponde da quattordici punti.
A sua moglie Hélène, Hervé Joncour disse che doveva andare a Nîmes, per affari. E che sarebbe tornato il giorno stesso.
Salì al primo piano, sopra il negozio di tessuti, al 12 di rue Moscat, e chiese di Madame Blanche. Lo fecero aspettare a lungo. Il salone era arredato come per una festa iniziata da anni e finita mai più. Le ragazze erano tutte giovani e francesi. C'era un pianista che suonava, con la sordina, motivi che sapevano di Russia. Alla fine di ogni pezzo si passava la mano destra tra i capelli e mormorava piano.
-Voilà.
Hervé Joncour attese per un paio d'ore. Poi lo accompagnarono lungo il corridoio, fino all'ultima porta. Lui l'aprì, ed entrò.
Madame Blanche era seduta su una grande poltrona, accanto alla finestra. Indossava un kimono di stoffa leggera: completamente bianco. Alle dita, come fossero anelli, portava dei piccoli fiori di color blu intenso. I capelli neri, lucidi, il volto orientale, perfetto.
-Cosa vi fa pensare di essere così ricco da poter venire a letto con me?
Hervé Joncour rimase in piedi, davanti a lei, con il cappello in mano.
-Ho bisogno di un favore da voi. Non importa a che prezzo.
Poi prese nella tasca interna della giacca un piccolo foglio, piegato in quattro, e glielo porse.
-Devo sapere cosa c'è scritto.
Madame Blanche non si mosse di un millimetro. Teneva le labbra socchiuse, sembravano la preistoria di un sorriso.
-Vi prego, madame.
Non aveva nessuna ragione al mondo per farlo. Eppure prese il foglio, lo aprì, lo guardò. Alzò gli occhi su Hervé Joncour, li rabbassò. Richiuse il foglio, lentamente. Quando si sporse in avanti, per restituirlo, il kimono le si aprì di un nulla, sul petto. Hervé Joncour vide che non aveva niente, sotto, e che la sua pelle era giovane e candida.
-Tornate, o morirò.
Lo disse con voce fredda, guardando Hervé Joncour negli occhi, e senza farse sfuggire la minima espressione.
Tornate, o morirò.
Hervé Joncour rimise il foglietto nella tasca interna della giacca.
-Grazie.
Accennò un inchino, poi si voltò, andò verso la porta e fece per posare alcune banconote sul tavolo.
-Lasciate perdere.-
Hervé Joncour esitò un attimo.
-Non parlo dei soldi.
Parlo di quella donna.
Lasciate perdere.
Non morirà e voi lo sapete.-
Senza voltarsi, Hervé Joncour appoggiò le banconote sul tavolo, aprì la porta e se ne andò.
Da Seta
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Il legno sembra fermo, ma è sottoposto a pressioni interne che lentamente lo spaccano.
La ceramica si rompe, fa subito mostra dei suoi cocci rotti.
Il legno no, finché può nasconde, si lascia torturare ma non confessa.
Io sono di legno.
Giulia Carcasi, Io sono di legno.
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"La fedeltà è per la vita emotiva ciò che la coerenza è per la vita intellettuale: una semplice confessione di fallimento."
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray.
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A proposito, ti ho mai detto che cosa mi aveva attratto verso Pitagora? Il fatto che è stato lui ad inventare la parola amicizia, lo sapevi? Quando gli chiesero che cos'era un amico, lui rispose: "Colui che è l'altro me stesso, come accade ai numeri 220 e 284". Due numeri sono amici o amicabili se ognuno di essi è la somma di tutti i divisori dell'altro (esclusi i numeri stessi). I due numeri amicabili più celebri del Pantheon Pitagorico sono appunto 220 e 284, che formano una bella coppia. Puoi fare la prova, se hai tempo. E noi due siamo amici? Quali sono i tuoi divisori? E i miei? Forse è arrivato il momento di fare la somma dei nostri divisori.
Il Teorema Del Pappagallo, Denis Guedj
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"But I... want to thank you, Dylan."
"For what?"
Alek raised his empty hands, and for a moment Deryn thought he would cry again. But he only said, "For knowing who I am."
He put his arms around her then, a rough embrace that lasted only a moment. Then he turned and hurried from the machine room, headed for the fallen Stormwalker.
As the door swung shut, Deryn shivered, the strangest feeling creeping through her. Where Alek's arms had wrapped around her shoulders and odd kind of tingling was left behinf - like the crackle along the airship's skin when distant lightning kindled the sky.
Deryn put her own arms around herself, but it didn't feel the same.
"Barking spiders," she muttered softly, and turned to check the eggs again.
Leviathan - Scott Westerfeld
Cioè, non sono particolarmente romantica, ma questa parte mi ha quasi fatto piangere. E devo, devo sapere cosa succederà ora tra di loro!
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[...] <<ma quando il dolore è superato, il ricordo diventa spesso un piacere. [...]>>
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[...] Emmi, mi scriva. Scrivere è come baciare, solo senza labbra. Scrivere è baciare con la mente.
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(...) non ho quasi mai avuto tempo da dedicare alla morte; avevo ben altro a cui pensare, a trovare un po' di pane, a scansare il lavoro massacrante, a rappezzarmi le scarpe, a rubare una scopa, a interpretare i segni e i visi intorno a me. Gli scopi della vita sono la difesa ottima contro la morte: non solo in Lager.
Primo Levi, I sommersi e i salvati
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– Non è questo il punto, – dissi. – Non è una questione di «a cosa porterebbe». Nel mondo ci sono persone che amano sapere tutto sulle tabelle orarie, e passano intere giornate a confrontarle. O gente a cui piace fare costruzioni coi fiammiferi, capace di costruire navi di un metro fatte tutte di fiammiferi. Allora che c'è di strano se nel mondo c'è uno che è interessato a capire te?
– Come una specie di hobby? – disse Naoko perplessa.
– Se vuoi puoi chiamarlo così. Persone meno fantasiose lo chiamerebbero affetto, amicizia. Però se tu vuoi chiamarlo hobby, non c'è niente di male.
Haruki Murakami, Norwegian wood