Partecipanti:
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Tema:
Grieve and Nothing
Sono stanco. Sento gli occhi chiudersi, il corpo abbandonarmi. Ho bisogno di dormire. Sono sfinito. È il momento di difendersi, di scegliere la vita. E io non posso passare il resto della mia a stringere la corda da equilibrista della mia quasi-donna fra le mani, se, su quella sua corda, intrecciata di fili d’oro, lei si regge a stento. Dice di essere una sognatrice, di saper vivere solo di sogni. Stasera mi ha detto, piangendo, che io per lei sono troppo reale, che posso solo ferirla e che non saprò mai prendermi cura di lei.
Sono anni che la guardo scattare delle fotografie al tempo e distruggerle. Vorrei sapere dove nasconde il filo con cui le rammenda nella sua testa e nei suoi sogni.
Ora è in balcone, con una sigaretta fra le labbra. Perché mai io dovrei essere solo un’immagine? Non voglio vivere e morire nella testa degli altri. Non voglio essere un frammento instabile nella sua testa. Io ho sangue e carne. Proprio come lei.
Vivo anch’io su una corda? Sono un equilibrista, cammino sui suoi sogni e voglio solo scendere. Voglio addormentarmi. Sono stanco. Siamo scappati dalla nostra città, da soli, perché voleva mostrarmi come, in una terra straniera, dove nessuno parla la nostra lingua, saremmo riusciti a essere felici. “è una fuga nel mondo dei sogni, lontano dalla realtà”, mi ha detto. Ma non c’è riuscita, ha detto che sono un incostante infedele, che ogni gesto che ho fatto e che farò la farà solo soffrire, ed è scoppiata in lacrime.
Ecco perché fuggo. Che cada pure, la piccola equilibrista. Lascio la sua corda, scendo dalla mia. Che rimanga da sola. Perché dovrei vivere di sogni come lei? Perché dovrei svegliarmi ogni mattina solo per elemosinare il suo affetto? I sogni non sono un’anestesia. Io non ho paura della vita. Se esserne fuori, se mettermi in un angolo, è il nulla, che muoia da sola. Ho sangue caldo nelle vene. Lo so, che non esisterà mai il bene assoluto. Dovrei rassicurarla? Mentirle? Dirle che sarò il suo Paradiso in terra? Posso provare a esserlo, ma come negarle il dolore? Esiste una realtà senza dolore?
La fuga è veramente una soluzione? È appena rientrata nella nostra stanza d’albergo, con gli occhi rossi e i capelli disfatti. Si stende accanto a me, posa la chioma tiziana sul mio petto, mi bacia sul collo, e si addormenta. Che soluzione sarebbe mai lasciarla sola? Che senso avrebbe? Se solo... se solo la lasciassi cadere e la prendessi fra le braccia... la salverei dal nulla...
....
La scelta
Il fuoco arde forte di fronte a me, i fumi densi entrano decisi nelle mie narici e sconvolgono il mio pensiero. Il Rito è iniziato da poco, i danzatori muovono l’aria intorno a me, i tamburi soffici ne scandiscono i movimenti. Come me altri ragazzi attendono ad occhi chiusi davanti al fuoco. Quando la musica finirà, il primo che terrà in mano il tronco incandescente davanti a sé, sarà il nuovo Candidato ad essere capo. La sua mano brucerà, arsa dal calore del legno, una ferita prima ed una cicatrice poi gli ricorderanno la sofferenza che nasce dalla vita, il dolore che un capo deve sopportare per proteggere tutti. Gli altri, umiliati, verranno allontanati dalla comunità, dagli amici e dall’amore.
Sono il figlio del capo, è mio dovere, è questione di orgoglio, di aspettative. Il Rito. In pochi abbiamo avuto questa possibilità. Nella foresta ho ucciso per dimostrare di essere il più forte, proprio come mi era stato chiesto di fare. Ho reso mio padre fiero di me. Ora devo dimostrare di essere pronto. Fa male essere pronti.
Il delirio è nel fumo che aspiriamo. Come uno stormo che si libra in volo dentro la mia testa, i dubbi nascono e crescono. Paura, torbida pece che densa affolla i miei incubi. Una lama affonda nella roccia, sangue ne fuoriesce fino a formarne un lago, che riflette la mia immagine mostruosa. Appoggio l’orecchio contro la superficie del lago di sangue, urla di dolore ne provengono. E’ sofferenza e delirio. I tempi scanditi dalla musica che ormai sta finendo. Improvvisa una mano spunta dal lago e mi afferra per il collo, mi tira giù, mi annega. Lotto per liberarmi con tutte le forze ma vado sempre più giù, tirato come da un fardello. La mano che mi tira, che mi annega è la mia. Sono io che urlo, sono io che mi annego, onirica follia. Questo mondo, questi ritmi, non fanno per me.
E la musica improvvisa finisce. Spalanco gli occhi, nel fumo e dentro di me è ancora impresso l’incubo appena vissuto. Non c’è tempo però, il legno deve essere mio. Spalanco la mano e la avvicino di poco, già si sente il calore che trasmette. Farà male. Ho paura. Io non lo voglio tutto questo, questa vita, questa lotta per vivere e uccidere. Sarebbe bello un mondo senza finte scelte. Ancora migliore un futuro in cui possa scegliere senza essere giudicati. Ho deciso, lo prendo. Improvviso urlo della folla.
Troppo lento. Un mio compagno è già in piedi, piange dal dolore ma è orgoglioso di sé. Ho esitato troppo.
Non ce l’ho fatta.
Ho perso.
E’ finita.
Questo mondo non fa per me.