che palle sto batman -.-
che palle sto batman -.-
The smallest feline is
a masterpiece.
Leonardo da Vinci
Da Burton a Nolan - le metamorfosi dell'uomo-pipistrello
Sotto molteplici punti di vista la prima trasposizione su grande schermo del Batman contemporaneo, quella cioè di Tim Burton datata 1989, ha segnato una svolta epocale nella storia del cinema americano, sia a livello produttivo che estetico. Nella seconda metà degli anni 80 la macchina hollywoodiana si trovava in un momento di stallo, o più probabilmente di riflusso, per quanto riguarda le mega-produzioni che la contraddistinguevano, i cosiddetti “blockbuster”: terminata la scia vincente della prima trilogia di Guerre stellari, messo in stand-by Indiana Jones dopo i tentennamenti del secondo episodio, l’industria cinematografica più potente del mondo si è trovata senza un prodotto capace di convogliare le esigenze mediatiche e spettacolari che ne rinverdissero i fasti passati.
Questo momento di empasse viene superato proprio con Batman, produzione dal budget stratosferico (58 milioni di dollari all’epoca) che allo stesso tempo da il via ad una logica di sfruttamento commerciale senza precedenti: soprattutto il battage del merchandising legato alla pellicola frutta introiti molto consistenti, aprendo in un certo senso la strada a questo tipo di logica commerciale. Sotto il profilo strettamente economico, il film di Burton è l’opera che rinnova la tradizione hollywoodiana del blockbuster, inteso come produzione faraonica in cui vengono concentrate molte delle possibilità finanziare di una major invece di distribuirle in produzioni diversificate. L’enorme successo ottenuto dentro i propri confini – più di 250 milioni di dollari incassati negli Usa – ha segnato (purtroppo?) definitivamente il successo di questa tipologia di grande, mastodontico progetto commerciale. Anche dal punto di vista propriamente artistico Batman è un’innovazione, perché per la prima volta un lungometraggio di una simile importanza viene affidato ad un regista pressoché sconosciuto, e soprattutto già in possesso di una propria specifica poetica visiva. Il grande pregio di questo film - ma anche a conti fatti il suo limite, se paragonato all’ultimo Batman Begins di Nolan – è di essere in pieno un’opera di Tim Burton, ammantata di una vena dark elegante e preziosa. Con in più, ovviamente, l’apporto clamoroso di un Joker/Jack Nicholson da antologia.
La seconda puntata, Batman –Il ritorno del 1992, si rivela invece un successo di pubblico inferiore alle aspettative, probabilmente perché Burton – che col successo del primo aveva acquisito una maggiore libertà artistica sulla sua opera – ha notevolmente accentuato le direttrici poetiche già messe in mostra con l’originale. Ancora più cupo e pessimistico, questo secondo episodio è sicuramente più coerente ed apprezzabile del primo, ma al botteghino conquista “solo” 162 milioni di dollari, cifra che scontenta i dirigenti della Warner – considerato che l’intera saga di Batman, a differenza di molte altre franchise di supereroi come ad esempio Spider-Man - trova la propria forza economica quasi interamente dentro i confini del mercato americano, un calo così repentino dei guadagni è ancora più significativo. E comunque, anche Batman Returns ci consegna due villain di squisita fattura drammatica, un tragico e rabbioso Pinguino/Danny DeVito e la sensuale Catwoman/Michelle Pfeiffer.
Accantonato l’esperimento prima di tutto estetico dei capitoli di Tim Burton, il timone passa a Joel Schumacher, che da cineasta scaltro quale si è più volte dimostrato cambia immediatamente le coordinate del progetto; avviene così che Batman Forever sia impostato secondo stilemi del tutto differenti dall’idea di cinema di Burton. Sfavillante a livello cromatico – merito del lavoro del fotografo Stephen Goldblatt -, il lungometraggio viene anche costruito sul ritmo vorticoso delle scene d’azione e sulla moltiplicazione dei personaggi. Anche in questo caso, rispetto alla figura dell’eroe tenebroso piuttosto stereotipata, a rimanere impressi sono il mefistofelico Due Facce di Tommy Lee Jones e soprattutto lo scatenato Enigmista di Jim Carrey, che in questo ruolo riesce ad esprimere al meglio tutto il suo istrionismo. In fin dei conti Batman Forever è un prodotto di tutto rispetto, che taglia con intelligenza i ponti rispetto il passato e proietta la figura di Batman verso un nuovo tipo di interpretazione cinematografica; non a caso il film incassa in America 184 milioni, secondo incasso dell’anno in patria, risultato che soddisfa maggiormente la casa di produzione.
Il vero “disastro” arriva col successivo Batman & Robin del 1997, in cui Schumacher cede alla tendenza virtuosistica già presente nel precedente episodio e realizza una pellicola che somiglia più ad un baraccone pieno di esagerazioni sonore e cromatiche. Ed una volta tanto, a non funzionare è soprattutto il cattivo di turno, un Mr. Freeze interpretato da un Arnold Schwarzenegger ingombrante e fuori parte. Non che molto meglio vada con la figura dell’Uomo Pipistrello, interpretato con sorprendente svogliatezza dall’allora emergente George Clooney. Insomma, Batman & Robin si rivela un’operazione completamente scentrata, che sotto le spoglie luccicanti della confezione denuncia un’evidente mancanza di idee ed una coerenza precisa nel portare avanti il progetto. Il fiasco economico – 107 milioni incassati a fronte di un budget di addirittura 125 – costringe la Warner a mettere in ghiaccio nuove produzioni su Batman, figura che resta in cantiere fino al 2005.
Ed arriviamo infine a Christopher Nolan, il geniale cineasta inglese che meglio di tutti ha saputo raccontare al cinema la figura complessa ed oscura del supereroe incappucciato: a differenza dei lungometraggi precedenti, Batman Begins infatti sintetizza con grande aderenza i tratti principali del fumetto, costruendo un personaggio psicologicamente molto più sfaccettato e contraddittorio di quanto non avessero osato fare Burton e Schumacher. Anche dal punto di vista estetico Nolan sceglie un approccio più “realistico” (passateci il termine) per la fattura del suo film, costruendo una visione in qualche modo più oggettiva ed umana dell’eroe, della sua psicologia e del mondo in cui si muove. Rispetto ai due film comunque straordinari di Tim Burton, Nolan appare molto più interessato a portare sul grande schermo le caratteristiche più pregnanti della figura che si sono pian piano sviluppate in tutte le loro contraddizioni (anche morali) sulla carta stampata.
Da questo nuovo Il Cavaliere Oscuro è quindi lecito attendersi un ulteriore passo in questa direzione: già la presenza di un Joker spaventoso e trasandato (del tutto diverso dall’istrione fumettistico di Nicholson, sembra sinceramente inopportuno alimentare similitudini) e la presenza di numerose scene girate di giorno sembrano spingere il discorso stilistico di Nolan verso un “realismo delirante” della messa in scena che non può non far scalpitare non solo gli affezionati del supereroe, ma tutti coloro che ammirano da molto tempo il lavoro di ridiscussione dell’immagine cinematografica che Nolan ha fino ad ora portato avanti in tutti i suoi lavori.
Bello questo articolo