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Caso Orlandi

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    Predefinito Caso Orlandi

    ROMA - Emanuela Orlandi sarebbe stata prelevata da Renatino De Pedis su ordine di monsignor Marcinkus, all'epoca presidente dello Ior. Lo rivela Sabrina Minardi, la supertestimone che per anni fu l'amante del boss della banda della Magliana Enrico De Pedis, detto Renatino. La ragazza, dice Minardi, sarebbe poi stata uccisa e gettata in una betoniera a Torvaianica. E le sue dichiarazioni portano a nuove indagini.

    Negli anni '80, la Minardi, dopo la separazione con il "bomber" della Lazio Bruno Giordano, ebbe una storia con De Pedis, che nel dicembre 1984 fu catturato proprio grazie al pedinamento della donna. Gli misero le manette nell'appartamento di Via Vittorini 63 dove lei viveva. Negli anni successivi, Minardi attraversò periodi segnati dalla cocaina. Oggi si trova in una comunità terapeutica in Trentino. Poche settimane fa, la sua famiglia è tornata all'attenzione della cronaca perché la figlia, Valentina Giordano, fu protagonista, insieme al fidanzato Stefano Lucidi, del tragico incidente sulla Nomentana in cui morirono Alessio Giuliani e la sua ragazza Flaminia Giordani.

    "Nel sacco anche un bambino". "Successe tutto a Torvaianica", ha ricordato Sabrina Minardi durante un colloquio con i dirigenti della squadra mobile, avvenuto il 14 marzo scorso. "Con Renatino, a pranzo da Pippo l'Abruzzese, arrivò Sergio, l'autista, con due sacchi. Andammo in un cantiere, io restai in auto: buttarono tutto dentro una betoniera. Così facciamo scomparire tutte le prove, dissero". In uno di quei sacchi c'era il corpo di Emanuela Orlandi e nell'altro, sostiene la donna, un bambino di 11 anni ucciso per vendetta, Domenico Nicitra, figlio di uno storico esponente della banda.

    Date contrastanti. La testimone sostiene di essere stata la compagna del boss della Magliana tra la primavera dell'82 e il novembre dell'84. Emanuela Orlandi scomparve il 22 giugno dell'83, ma Domenico Nicitra, il bambino "Sul caso di Emanuela Orlandi la responsabilità della Banda della Magliana appare chiara e si può dire che la pista dei Lupi grigi stia venendo meno. I nazionalisti turchi sono stati usati dalla Stasi in diversi comunicati con un intento di depistaggio. Ma il loro coinvolgimento nell'attentato a Wojtyla resta, e bisogna ancora indagare, e forse a lungo, per arrivare finalmente a scoprire i mandanti".
    Per molti anni il giudice Rosario Priore si è occupato dell'attentato a Giovanni Paolo II, così come ha sempre seguito da vicino il caso di Emanuela Orlandi. Dopo le recenti novità emerse nell'inchiesta sulla ragazzina scomparsa a Roma 26 anni fa, il magistrato di tante indagini scottanti sembra essersi fatto un'idea precisa dei contorni della vicenda. Ne ha parlato con Repubblica.it.

    Giudice Priore, lei pensa che le recenti rivelazioni fatte da Sabrina Minardi, la donna del boss della Magliana, Renato De Pedis, possano avvicinarci a una soluzione del caso?
    "Non so quanto stia accadendo all'interno dell'inchiesta in corso. So solo che gli inquirenti attuali sono serissimi e usi alla massima riservatezza. Lasciamoli lavorare, senza arrovellarci sui passi dell'indagine e fare nuovamente supposizioni devianti. I risultati non mancheranno".

    Ma con l'individuazione del telefonista Mario la pista della Banda della Magliana è ormai certa?
    "Una cosa soltanto c'è da dire: che nel fatto ci fosse lo zampino ( e oggi si rileva che si tratta di una zampa assassina ) della Banda della Magliana, questo risultava da un pezzo. Così come si sapeva delle telefonate, dalle prime, quelle di Mario appunto, a quelle dell'apparente monsignore americano. Telefonate che avevano già a prima vista finalità di mediazione e d'inquinamento. Possibile mai che ai tanti istruttori e non, profondi conoscitori della Magliana, non emergesse alcun personaggio che poteva nascondere il sedicente Mario - anche lavorando sulla sua voce e le sue inflessioni dialettali - e solo oggi dall'83 si stanno forse facendo dei passi risolutivi sulla sua identificazione?".


    Perché dunque la Banda della Magliana si occupò di Emanuela?

    "L'entità della Banda era piuttosto complessa, ben diversa da come appare nell'immaginario collettivo. Non una semplice banda di quartiere, con personaggi di basso rilievo, quasi rozzi, violentissimi, che spesso si massacravano per spirito di guasconeria. Sicuramente è stato anche così, ma vi erano tra di loro anche cervelli con fini precisi, che perseguivano fermamente e con durezza. Tra gli altri scopi, c'era principalmente quello di accumulare ricchezza, che a sua volta con pratiche usurarie produceva ulteriore ricchezza. E quindi un misto tra vecchia Roma del dopoguerra e generone dei tempi in cui cominciavano a circolare danaro, belle donne e frequentazioni bene".

    Ma Emanuela era solo una ragazzina...

    "Sto arrivando al punto. E' sempre esistita presso la Banda l'esigenza di "lavare" quel danaro accumulato, di provenienza delittuosa. Esigenza che si era rafforzata al tempo dei contatti con le organizzazioni meridionali, che avevano nelle proprie casse danaro proveniente dalle fonti più disparate, ma tutte di natura criminosa. A Roma, più che nelle zone di origine, si diceva che si trovassero, al di qua e al di là del Tevere, degli sportelli benevoli. Era quella centralità dei romani, già emersa in altre indagini. Romani che perciò svolgevano vere e proprie funzioni di banca: accumulo di contante, lavaggio, reimpiego con tassi, considerati i rischi delle operazioni, usurari".

    Da qui l'ipotesi di un ricatto della Banda al Vaticano per soldi prestati: soldi utili - probabilmente fra i 15 e i 20 miliardi di lire - alla causa di Solidarnosc, lei sostiene?
    "Qui a Roma alla fine degli Anni '70 c'era quel forte bisogno di capitali da usare, come più volte s'è detto, senza mai alcuna smentita, alla causa " polacca" , alimentata persino con fondi dei sindacati americani. La Banda della Magliana, che non ha mai perso le sue origini di associazione di usurai, non donava ma dava in prestito. E quindi voleva rientrare nei suoi crediti. Non poteva agire dinanzi a tribunali; doveva impiegare altri mezzi, altri mezzi di pressione. E quale altro mezzo di sicura efficacia che quello - operazione che non poneva alcun problema a quella organizzazione efferata - che quello del sequestro di una fanciulla giovanissima - appena quindicenne - legata a colui che appariva il destinatario ultimo del danaro prestato, per via della cittadinanza".

    Cioè il Papa?
    "Certo. Una cittadinanza acquisita peraltro da brevissimo tempo, come erano venuti a conoscenza per strade imperscrutabili i sequestratori, che così mostravano di non essere isolati e rozzi, come erano stati disegnati da alcuni media".

    Un ricatto dunque esercitato in maniera potente?
    "Sicuro. A tal punto forte ed efficace era la pressione che presso la Segreteria di Stato era stata installata una linea telefonica deputata ai contatti con i sequestratori. Linea telefonica che però avrebbe funzionato solo quando il Pubblico Ministero dell'inchiesta italiana lasciava la postazione, dimostrando così che le mosse del magistrato erano ben seguite e da vicino. Pressione a tal punto forte ed efficace che determinò in breve tempo non poche prese di posizione e appelli dello stesso Pontefice".

    Viene dunque meno l'ipotesi di un coinvolgimento dei Lupi grigi turchi, ipotesi costruita a tavolino dalla Stasi, i servizi segreti tedesco orientali?
    "Su quella pista si sono intromessi in molti, senza avere alcuna parte in causa. Pista che fu aperta - devo affermarlo, rischio di apparire immodesto - da me, che per primo mi recai a bussare alla porta della Gauck Organisation, e ad avere l'accesso a quello che per anni era stato il prestigioso servizio della DDR, e ai suoi archivi. E lì si rinvennero quelle carte che furono a tal punto ritenute preziose, da essere state richieste e inviate dalla commissione Mitrokhin. Nell'ambito di quell'inchiesta fu interrogato, dal Procuratore Capo di Berlino, Guenter Bohnsack, il colonello addetto al Dipartimento della disinformazione. Non si riesce a capire, certo, che cosa possa aver detto o possano avere inteso altri interlocutori in colloqui privati, non verbalizzati ( come è ovvio ) tenutisi in pubblici locali".

    Lei incontrò anche Markus Wolf, il mitico "uomo senza volto" della Stasi, maestro di spionaggio: le disse qualcosa sul caso di Emanuela?
    "Wolf non rispose a Berlino, perché imputato in processi della Germania federale che riguardavano le sue attività nella Germania democratica. Ma accertò di rispondere a mie domande a Roma, al di fuori della giurisdizione tedesca, alla presenza dell'ammiraglio Fulvio Martini, capo dei servizi italiani, e di alcuni giornalisti".

    E che cosa venne fuori?
    "Questi due personaggi, Bohnsack e Wolf, non fecero alcun cenno a quello che invece risulta in alcuni libri, che potrebbero apparire di fantasia, sempre che non si voglia metterne in luce altra natura, quella di essere inquinanti su queste vicende di sommo peso per la ricostruzione di eventi sicuramente di rilevante rilievo storico".

    Sfuma dunque l'ipotesi che i Lupi grigi abbiano qualcosa a che fare con il caso Orlandi, nonostante Ali Agca, l'attentatore del Papa, avesse più volte sostenuto che la ragazza fosse viva. Ma le innegabili responsabilità dei nazionalisti turchi nell'attentato a piazza San Pietro possono portare finalmente a scoprire i mandanti di quest'altra vicenda?
    "Dall'inchiesta relativa all'attentato risultava chiaro che gli esecutori materiali dell'azione e quelli che stavano alle loro spalle, in Austria, fossero i Lupi grigi. Le prove per affermarlo erano sufficienti. Ma da chi ricevettero il mandato, su questo non ci sono prove, e occorre ancora indagare e forse a lungo".




    "Emanuela, fu un ricatto al Vaticano" Priore accusa la Banda della Magliana - cronaca - Repubblica.it
    Ultima modifica di dada; 26/11/2009 alle 18:43 Motivo: rimossa pubblicità :D

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    ROMA - E' quella del boss della banda della Magliana, Renato De Pedis, la salma tumulata nella tomba della basilica di Sant'Apollinare. All'interno non sono stati trovati altri oggetti. La salma, probabilmente, non verrà traslata oggi. Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, ha fatto sapere che verrà ispezionato anche l'ossario presente all'interno della basilica. «Non ho mai davvero creduto che dentro la bara ci fosse il corpo di mia sorella - ha detto - in realtà io spero che sia ancora viva».

    L'apertura della tomba.
    I legali dei familiari di Enrico De Pedis, Lorenzo Radogna e Maurilio Prioreschi, hanno assistito stamani nella basilica romana all'apertura della tomba del boss, il cui nome è stato accostato alla scomparsa della figlia del messo vaticano, Emanuela Orlandi, di cui non si hanno notizie dal 1983. Alla basilica c'erano poi gli agenti della scientifica, il capo della squadra mobile di Roma Vittorio Rizzi e il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo.

    Il corpo.
    La bara è stata portata dalla cripta al cortile dell'Università Pontificia, dove è stata allestita una tenda bianca. Sotto, nella cripta, ha riferito un testimone, c'era un odore troppo forte. «Dentro la bara - ha riferito il testimone - il corpo di un uomo in buono stato, vestito con un completo blu scuro e cravatta nera. Gli specialisti hanno alzato un braccio del corpo nella bara per prendere le impronte digitali».

    La salma è quella di De Pedis.
    Gli esami dattiloscopici hanno confermato che il cadavere nella tomba tumulata nella basilica di Sant'Apollinare è di De Pedis. Le impronte infatti hanno permesso l'identificazione del cadavere, consentita anche grazie al buono stato di conservazione del corpo.

    Pietro Orlandi: non ho potuto assistere alla riesumazione.
    Poco dopo le 13.30 Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, è uscito dalla Basilica: «Non mi hanno fatto assistere alla riesumazione, so che hanno trovato il corpo in buone condizioni, che sono state fatte delle foto e dei prelievi. Non credo che entro oggi venga traslata la salma di De Pedis. Ripeto: è un primo passo verso la verità, un atto dovuto, era un dubbio che dovevamo toglierci. Mia sorella è stata rapita non perché era Emanuela Orlandi, ma perché era una cittadina vaticana».

    Il cugino di Emanuela Orlandi.
    Davanti alla basilica di Sant'Apollinare c'era anche Pasquale Lo Russo, il cugino di Emanuela Orlandi, che mostrava una foto della cugina e la mail per aderire alla petizione promossa da Pietro Orlandi. «Sono qui per conoscere la verità su mia cugina - ha detto - l'apertura della tomba di De Pedis penso che porterà novità importanti. Era un atto che aspettavamo da anni». Maria, la madre di Emanuela, è rimasta a casa, «non se la sentiva proprio di venire qui questa mattima - aggiunge Lo Russo -. L'ho sentita poco fa, era molto emozionata, voleva sapere se il figlio Pietro era ancora all'interno della Basilica o era uscito». Ma lei crede alla pista della banda della Magliana? «Non lo so, non so nulla, so solo che oggi potrebbero emergere delle novità importanti sulla scomparsa di mia cugina, in realtà io spero che sia ancora viva».

    L'apertura della tomba
    . Successivamente, dopo gli accertamenti disposti dalla Procura, la salma del boss dovrebbe essere traslata in un cimitero romano, probabilmente a Prima Porta o al Verano, da dove De Pedis venne trasferito a Sant'Apollinare. L'ispezione sulla salma e sulla tomba di De Pedis è stata fatta alla presenza di un medico legale, un biologo e un antropologo forense. L'apertura della tomba ha comportato non poche difficoltà per i marmisti ed è stata usata anche una piccola gru. L'esame dovrà servire anche a verificare se la tomba in questi anni è stata già riaperta.

    La Basilica nel cuore della capitale è off limits,
    protetta da un cordone di agenti di polizia. Poco prima dell'apertura della bara, Pietro Orlandi aveva detto: «E' un passo avanti verso la verità un segno positivo del Vaticano, speriamo si faccia chiarezza», ha detto arrivando a Sant'apollinare. Poi ha aggiunto riferendosi all'apertura della tomba e alla scomparsa della sorella: «E' un atto dovuto - ha proseguto - aspettavamo da due anni l'apertura della tomba. Poi finalmente è intervenuto il procuratore di Roma Francesco Pignatone. Ci hanno preso il dna due anni fa quindi c'era un motivo valido». Orlandi non è stato convocato ufficialmente e nonostante lo abbia chiesto, non gli è stato concesso di assistere alla riesumazione della bara: «Mi hanno detto che ci sono delle indagini in corso, quindi non potuto assistere. Mi auguro che questo di oggi sia un passo importante verso la collaborazione tra Stato e Vaticano».

    Folla di cronisti e turisti.
    Nella zona intorno alla basilica presenti agenti della polizia e carabinieri. Numerosi i cronisti con telecamere e macchine fotografiche in tutta l'area circostante l'edificio sacro. Diversi anche i turisti che si sono fermati sul sagrato della chiesa incuriositi.

    La perizia sui resti di De Pedis è stata disposta dalla Procura di Roma
    che indaga sulla scomparsa della Orlandi. L'avvocato Radogna assiste la vedova De Pedis mentre Prioreschi i due fratelli del boss della Magliana.

    L'hard disk degli avvocati.
    Uno degli avvocati di De Pedis è arrivato a Sant'Apollinare con un vecchio hard disk.


    Caso Orlandi, aperta tomba di De Pedis La salma

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