Si arriverà forse al faccia a faccia fra il medico che alla Ginecologia del Cannizzaro di Catania non avrebbe fatto abortire in tempo la donna di 32 anni dichiarandosi “obiettore di coscienza” e il marito di questa giovane morta con i suoi due gemellini di appena cinque mesi. Una pagina dolorosa già consegnata alla cronaca col sospetto di un caso di malasanità.
Anche se a confermarlo o a escluderlo saranno sia i magistrati che ieri, come atto dovuto, hanno indagato i 12 medici del reparto, sia gli ispettori del ministero della Salute e della Regione siciliana, al lavoro su cartelle cliniche e testimonianze. Gli occhi rossi, la commozione che soffoca le parole, Francesco Castro, 30 anni, la faccia segnata dalla pena di avere perduto in un colpo la giovane moglie, Valentina Milluzzo, e i due piccoli volati via, è certo dell’accusa che muove contro l’unico dottore presente quel giorno: «Lo ha detto a me: “Io finché c’è battito non posso intervenire perché sono obiettore di coscienza. Siamo nelle mani del Signore”».
Lei sa che il medico, difeso dai colleghi e dal primario Paolo Scollo, nega tutto questo?«Sono pronto a confrontarmi, anche perché quella frase l’hanno sentita i miei suoceri e i parenti di una signora ricoverata nella stessa stanza. Il mio avvocato, Salvatore Catania Milluzzo, li sta cercando. Come spero faccia chi indaga».
Quando ha cominciato a dare segni di sofferenza?«Dopo cinque mesi dalla gravidanza assistita è stato necessario il ricovero avvenuto il 29 settembre. Ma nessuno fino al 15 ottobre dice che c’è un problema. Quella mattina alle 9.30 dal suo letto mi telefona: “Ho la febbre alta, spero scenda...”. E corriamo da Palagonia dove viviamo tutti. Cinquanta chilometri di corsa”.
E come la trova?«La trovo che vomita, con dolori fortissimi. Ma senza un medico presente. Solo l’infermiera, affannata: “Il dottore è in sala parto”. E c’è un solo medico qui? Vedo che dalla segreteria chiamano, ma non arriva nessuno. Alle 3 del pomeriggio è l’infermiera a trascinare il letto di Valentina verso l’ascensore e scendere giù, al piano terra, in una sala vicina al pronto soccorso: “Qui dovranno visitarla”...».
E la visitano subito?«Sono alle 18. Mia moglie abbandonata in un angolo, collassata, gelata, temperatura 34 gradi, con 50 di pressione minima. Finalmente spunta un dottore che somministra ossigeno e si accorge della sofferenza dei feti. “Ma batte il cuore”, dice. “Sono obiettore”»
E si ferma tutto. Ma fanno degli esami a sua moglie. «Una ecografia. E pensano a una colica: renella nei reni. Si aggrava tutto. Finché non si arriva al primo aborto... Mi fanno vedere mio figlio, senza vita. Poi il secondo. Infine, alle tre del mattino, si procede alla pulizia e il medico esce dalla sala: “C’è una infezione, è grave...”. Corrono in rianimazione, noi preghiamo ma alle due del pomeriggio di una domenica terribile Valentina non c’è più».
Fonte:
Catania, donna morta dopo aborto Il marito: «Il dottore mi disse: non intervengo, sono obiettore» - Corriere.it