Il Nord Italia nel mirino del satellite
"Ma non ci saranno evacuazioni"
Tra venerdì notte e sabato arriva UARS: ha 0,9 probabilità su 100 di sfracellarsi nel Nord del Paese
Alcuni frammenti di un satellite potrebbero finire per la prima volta su un'area densamente popolata anzichè in fondo all'oceano o nel bel mezzo del deserto: e quell'area potrebbe essere nel nord Italia. La fine di Uars (Upper atmosphere reserach satellite), il vecchio satellite della Nasa in orbita da vent'anni e grande quanto un autobus, che domani esploderà a contatto con l'atmosfera, rischia di coinvolgere direttamente il nostro paese.
L'allarme è stato lanciato ieri sera dall'Agenzia spaziale italiana (Asi) quando dalle simulazioni effettuate dalla Nasa è apparso chiaro che tra i possibili punti di impatto dei resti del satellite - almeno 26 frammenti che vanno dai 6 etti ai molto più preoccupanti 158 chili - c'è anche l'Italia. E nonostante le probabilità che un simile scenario si verifichi siano soltanto dello 0,6 per cento secondo gli ultimi dati disponibili, il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli ha convocato il comitato operativo per seguire costantemente l'evoluzione della situazione e predisporre tutti gli interventi necessari nel caso le simulazioni dovessero diventare realtà. Allo stato, gli scienziati hanno individuato una sola traiettoria di caduta e una finestra oraria possibili.
Per quanto riguarda il primo punto, ad essere interessato è buona parte del nord Italia: Piemonte, Valle D'Aosta, Liguria, Lombardia e Province Autonome di Trento e Bolzano, e parzialmente l'Emilia Romagna (Piacenza e Parma), il Veneto (Verona, Vicenza, Belluno, Treviso) e il Friuli Venezia Giulia (Pordenone e Udine). L'area interessata al momento è di circa 200 km ma, con l'avvicinarsi del satellite all'atmosfera, si restringerà ad una decina di chilometri. Quanto all'arco temporale, la previsione di rientro è centrata intorno alle 19:20 (ora italiana) di venerdì 23 settembre, con una finestra di incertezza che si apre alle 14 del 23 settembre e si chiude alle 03 del 24 settembre. In questo periodo l'orario a rischio è quello tra 21.25 e le 22.03 del 23 settembre.
Fin qui le simulazioni. Ma resta un problema fondamentale: la certezza su dove cadranno i frammenti si avrà soltanto 40-60 minuti prima dell'impatto al suolo. In sostanza, se i pezzi cadranno su una zona abitata o, come è più probabile, nell'oceano, si saprà un'ora prima che questo avvenga: ciò significa che non è possibile predisporre un'evacuazione della popolazione. Lo conferma lo stesso Gabrielli: «Non ci sarà nessuna evacuazione, anche perchè dovremmo evacuare 20 milioni di persone. Ci troviamo di fronte a un evento di cui non c'è letteratura perchè la stragrande maggioranza di questi frammenti cade in mare o in zone deserte. Dunque stiamo cercando di mettere in piedi per la prima volta un sistema di misure di autoprotezione che passa innanzitutto per una informazione trasparente, chiara e tempestiva». Misure che vanno dall'evitare i luoghi aperti e i piani alti, al posizionarsi sotto i vani delle porte nei muri portanti.
Non si tratta di «fare allarmismo - ha precisato il capo della Protezione Civile - ma di consentire alla gente di essere adeguatamente e correttamente informata». Per questo Gabrielli ha deciso di costituire un comitato tecnico-scientifico all'interno dell'unità di crisi della Protezione Civile con il compito di monitorare costantemente la situazione man mano che i dati e le traiettorie vengono aggiornati dagli scienziati. Informazioni che finiranno in un bollettino che sarà diffuso dal sito del Dipartimento e attraverso i media affinchè i cittadini siano messi al corrente di quanto sta accadendo. Resta il fatto che, se la traiettoria di impatto non subirà variazioni e, dunque, i frammenti finiranno sul nord Italia, le conseguenze sono chiare già da ora: «le simulazioni relative all'impatto sull'edilizia tipica degli anni 50 - afferma la Protezione Civile - confermano lo scenario di danno atteso, ossia la possibilità che i frammenti di maggiori dimensioni danneggino tetti e solai sottostanti, senza provocare il crollo degli edifici».
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