L'intervista/ Parla l'ex boss Maniero:
«Sono in pensione, lasciatemi in pace»
Ha scontato tutti i debiti con la giustizia e ora vuole dedicarsi
alla sua attività di imprenditore senza rivangare il passato
di Maurizio DianeseVENEZIA (24 agosto) - «Come va? Sono in pensione e vorrei anche essere lasciato in pace». Felice Maniero, 56 anni il prossimo 2 settembre, adesso può tirare un respiro di sollievo. Scontati tutti gli anni di galera - 17 per la precisione - gli restava la sorveglianza speciale. «Massì, questa sorveglianza speciale, che è una cosa vecchia di 15 anni, figuriamoci. Da oggi finalmente non c’è più e io posso fare la vita del pensionato. Casa e famiglia».
E che si fa senza sorveglianza speciale?
«Vado in giro, mi muovo. Finalmente non avrò problemi. Posso andare dove voglio».
Pensione vuol dire che Maniero non lavora più, non ne ha più bisogno. La sorveglianza speciale prevede tra gli obblighi quello di "evitare contatti con pregiudicati, evitare situazioni di sospetto, evitare la frequentazione di locali pubblici frequentati da pregiudicati, evitare di frequentare case in cui si eserciti la prostituzione, evitare di lasciare il territorio italiano, nonché nell'obbligo di cercarsi un lavoro e rimanere in casa nell'orario prescritto (di solito dalle 20 alle 7)".
Maniero ha sempre detto, anche quando era un bandito, che gli dava più fastidio la sorveglianza speciale della galera. I controlli sono continui e basta un niente per trovarsi nei guai. E poi l’obbligo del lavoro, che ha costretto Maniero ad improvvisarsi manager di una ditta che commercializzava prodotti per la casa con il sistema del porta a porta.
Trasferitosi in Abruzzo già alla fine degli anni ’90, quando la sua collaborazione con la Giustizia aveva portato allo smantellamento totale della sua banda, Felice Maniero aveva diviso la sua vita tra la famiglia, il lavoro e i tribunali. Soprattutto i tribunali. Era diventato un globe trotter della deposizione. Lo si vedeva dappertutto, ma solo in televisione perchè non si fidavano a portarlo in aula e dunque deponeva in teleconferenza. Sempre di spalle, ma con quella parlata inconfondibile da bravo ragazzo veneto. E l’inflessione, la cadenza, sono ancora oggi quelle di sempre. Difficile pensare che uno così possa essere stato a capo dell’unica banda del nord Italia che sia mai stata condannata per associazione a delinquere di stampo mafioso. L’unica.
Eppure la fama ha premiato più Vallanzasca o Francis Turatello, nonostante Maniero dal punto di vista della «capacità a delinquere non avesse pari nel nord Italia» - come ricorda sempre il primo pm anti-Maniero, quel Francesco Saverio Pavone che pure fu tacciato dai colleghi magistrati di "ricostruzione fantasiose e confusionarie" quando aveva descritto Maniero come il capo di una holding del crimine.
«Ma è tutta roba passata. Quando sarò lasciato in pace? Non è ora di lasciar perdere? Sono passati vent’anni. Vogliamo metterci una pietra sopra?», sbotta Felice Maniero.
Ma come si fa a dimenticare un mito, anche se negativo? Gli omicidi - 9 confessati - le centinaia e centinaia di rapine - anche 4 in una settimana - i "colpi" da film, come quello al Des Bains del Lido di Venezia, con Maniero che arriva in tight e suona alla porta dell’hotel, alle 3 di notte, fingendosi un cliente ubriaco. Felice Maniero in meno di 15 anni - dal 1980 al 1994 - aveva messo in piedi una Spa del crimine che contava 500 "soldati". La sua società per le male azioni spaziava dai sequestri di persona alle rapine, dal controllo del gioco d’azzardo, allo spaccio di droga. Ma Maniero è anche il genio dei furti pilotati. Il mento di Sant’Antonio, trafugato dalla basilica di Padova, è esattamente questo. Il mento serve come merce di scambio, per quanto blasfemo possa apparire l’accostamento. Maniero voleva che suo cugino, in galera lontano dal Veneto, fosse avvicinato a casa "perchè la zia era disperata". E lo Stato attraverso i carabinieri inizia la trattativa che porterà alla riconsegna della reliquia.
E questo episodio la racconta lunga anche sulla concezione della famiglia che ha Maniero. Non toccategli la mamma. O i figli - l’unico momento in cui Maniero ha vissuto la disperazione è stato per la figlia Elena, morta suicida. Ed è anche per questo che vuole essere libero di muoversi, perchè già adesso, con la sorveglianza, veniva spesso a Padova, sulla tomba della figlia, ma doveva avvertire i carabinieri dei suoi spostamenti.
Paura? Non ne vuol parlare. Del resto tutti quelli che lo potrebbero ammazzare per adesso sono ancora in galera. I "mestrini" come Gilberto Boatto, Marietto Pandolfo, Silvano Maritan, tutti coloro che hanno un conto aperto con lui sono dentro. Anche a qualcuno di loro però non manca tanto per uscire. Pandolfo è ormai in scadenza, Maritan no, gli manca ancora qualche processo e qualche sentenza di condanna. E poi la banda dei cosiddetti "mestrini", sul loro certificato c’è scritto "fine pena: mai", ma non significa più nulla. Al massimo si fanno trent’anni che, con sconti e condoni diventano tranquillamente 20. Ma è tutta gente che va per i 70 ormai. In confronto a loro Maniero è un giovanotto, a 55 anni. Un giovanotto già in pensione, libero di dedicarsi alle sue passioni, le mostre d’arte e i viaggi, gli spettacoli teatrali e il cinema. Il passato? «Quando potrò essere lasciato in pace?».