E’ morto nella sua Africa. Lui, toscanaccio di ferro detto il “Cinghiale di Toscana”, nato a Castiglion Fiorentino 47 anni fa, considerava questo continente e le due ruote “la sua vita”. E’ così è stato: il suo cuore s’è spento sulle dune della Mauritania facendo ciò che aveva sempre amato: correre sulla sua moto tra le polverose e traditrici dune del deserto.
Per Fabrizio Meoni, orgoglio dello sport italiano, la Dakar era la sua missione di vita: l’aveva vinta già due volte nel 2001 e nel 2002 dimostrando grande coraggio e capacità agonistica fuori dalla norma. Quella che gli è stata fatale era l’ultima edizione della sua carriera ed era pronto per vincerla ancora dato che occupava il secondo posto in classifica generale.
L’ultima tappa della sua vita l’aveva vinta sabato scorso, successo che era stato contestato dalla giuria, ma che gli era stato restituito dopo una penalizzazione. Tutto questo, ora, non conta nulla perché Meoni non c’è più: non taglierà mai più il traguardo di Dakar, non tornerà mai più nella amatissima Castiglion Fiorentino.
In quell’incantato lembo di Toscana, i castiglionesi avevano iniziato – dal 2002 - a festeggiare il “Meoni Day” in onore del centauro che, assieme al fedelissimo meccanico Romeo Feliciani, anch’egli castiglionese, aveva fatto conoscere in tutto il mondo, insieme al loro nome, anche quello di questo splendido paese aretino.
Riservato, sempre abbronzato e caratterizzato dal solito aspetto da duro tradito da uno spiazzante e sereno sorriso, Fabrizio Meoni era un uomo di cuore: “...L’Africa mi ha dato tanto, è giusto che io restituisca qualcosa all’Africa...” diceva sempre. Ed è per questo che aveva deciso di mettere a disposizione i proventi delle sue vittorie per la costruzione di una scuola a Dakar.
Fabrizio Meoni, infatti, aveva una persona importante nella sua vita: Padre Arturo Buresti amico e confidente sin da quando era bambino. Quando è giunta la notorietà , l’aretino ha voluto fare qualcosa per quei paesi poveri dove aveva conquistato i suoi massimi successi. Per realizzare questo proposito si era affiancato proprio a Padre Buresti, creando l’associazione “Solidarietà in buone mani Onlus”.
Per cui il “Meoni Day” era diventata una festa destinata esclusivamente alla raccolta di fondi per la costruzione della scuola con una sottoscrizione interna di premi, con in palio capi di abbigliamento sportivo indossati dal centauro alla Dakar e un prezioso orologio vinto da egli stesso al Rally d’Egitto.
Che l’Africa fosse il suo destino lo si capisce dal suo palmares: oltre alle due Dakar, il toscanaccio del deserto aveva vinto diversi Rally d’Egitto, Rally di Tunisia nonché parecchi podi sempre nella gloriosa e maledetta Dakar. Un orgoglio dello sport italiano, un Valentino Rossi del deserto sempre primo a scapito dei pericoli, dei rivali, dei problemi meccanici.
Il suo amore per le corse nacque nel 1972 quando si iscrisse al Motoclub di Castiglion Fiorentino per il quale mosse i primi passi con una mitica Ancillotti 50cc. Nel 1982 il salto di qualità a scapito della vita privata. "... Elena, la mia ragazza, non era d'accordo e si oppose alla mia scelta – raccontava - conoscendomi capì quanto fosse importante per me l'attività motociclistica.”. Naturalmente Fabrizio sposa Elena coronando il primo sogno della sua vita assieme alla nascita del figlio Gioele.
Nel 2001, Meoni realizza il secondo sogno di una vita: quello di vincere la Dakar. "Consigliato anche da mia moglie Elena – era solito dire - decisi di lasciare il lavoro e diventare professionista della moto al 100%. Magari la mia è stata una carriera al contrario: forse avrei dovuto correre a vent'anni e attaccare il casco al chiodo a quaranta.
Ma ormai non sarei più tornato indietro. I fatti mi danno ragione sono primo assoluto alla Dakar...".
tratto da: Virgilio.it
[img][images/thumbs/CrAzY BoY_meoni3.jpg]http://sport.virgilio.it/it/slideshow/images/20050111/meoni3.jpg[/img]