La supermacchina di Ginevra ripartirà a novembre. E forse sarà troppo tardi


Chicago contro Ginevra. Tevatron cerca di battere LHC. I bollettini e le notizie in uscita dal Fermilab, il più grande centro di ricerca americano sulla fisica nucleare, si moltiplicano e si fanno sempre aggressivi (scientificamente). Qui, nel cuore dell’Illinois, l’acceleratore di particelle Tevatron vuole strappare la conquista di una scoperta inseguita da anni senza successo: la prova dell’esistenza della «particella di Dio» che gli scienziati chiamano più seriosamente bosone di Higgs. In Svizzera scuotono la testa. Anche qui per arrivare allo stesso obiettivo (ma anche ad altri di simile se non addirittura maggiore importanza), l’Europa ha costruito l’acceleratore più potente mai inventato, il Large Hadron Collider (LHC) da sei miliardi di euro facendo scontrare come al Fermilab protoni e antiprotoni. Ben seicento fisici dell’Istituto nazionale di fisica nucleare italiano collaborano all’impresa. Purtroppo la supermacchina quando veniva accesa il 19 settembre 2008 era vittima di un serio guaio cha la paralizzava. Ora i lavori di riparazione stanno per concludersi e i controlli confer*mano che LHC sarà riacceso il prossimo novembre. Però ripartirà a potenza ridotta (solo 3,5 Tev), praticamente alla metà delle sue possibilità che invece raggiungerà pienamente verso la fine dell’anno prossimo. Di conseguenza si è maturato un ritardo che gli americani intendono sfruttare per riagguantare un sogno che ormai sembrava svanito con l’avvio di LHC.

Protagonista è il vecchio accele*ratore Tevatron nato quasi trent’anni fa e attore di grandi vittorie tra cui la scoperta di un Quark. Ammodernato e potenziato, soprattutto in epoche recenti, adesso è lanciato verso la fantomatica «particella di Dio», essenziale perché spiega come mai la materia ha un peso. Questo almeno, secondo la teoria nota come «Modello Standard» finora alla base della nostra conoscenza fisica. E chi riuscirà a vederne traccia volerà a Stoccolma per ritirare il meritato Nobel. Se invece il fatidico bosone non si mostrerà negli schizzi di nuove particelle, tante idee crolleranno e la teoria dovrà essere rettificata se non cambiata. La posta in gioco, dunque, è alta. La febbre è cominciata a salire già nel marzo scorso quando un comunicato del Fermilab annunciava di aver raccolto indizi che indirettamente confermavano la presenza della desideratissima particella. Altri annunci pieni speranza l’avevano preceduto, invano. «Con i ritardi accumulati a Ginevra il Tevatron ha conquistato una seria chance di arrivare per primo», ha dichiarato alla rivista scientifica britannica New Scientist Greg Landsberg della Brown University di Providence, ma anche uno dei tanti americani arrivati al Cern per collaborare alla ricerche con il nuovo acceleratore. «Per il 2011 — hanno sostenuto alla fine d’agosto molti ricercatori statunitensi riuniti in una conferenza ad Amburgo — avremo registrato abbastanza dati per permetterci di capire il ruolo del bosone di Higgs nella teoria del modello standard». Una dichiarazione diplomatica per non infastidire troppo i colleghi europei, dopo che negli ultimi mesi le parole erano andate giù più pesanti.

A Chicago avevano persino detto che LHC era «troppo potente» per riuscire a individuare il bosone perché l’energia alla quale si esprime sarebbe più bassa di quella eccezionale a cui si arriva a Ginevra. «Questa mi sembra proprio una stupidaggine con la S grande», risponde sorridendo Sergio Bertolucci, direttore scientifico del Cern. «A tutti piace arrivare primi — aggiunge diplomaticamente — però la gara deve essere vinta con la fisica non fra di noi. Anche perché l’avvistamento del bosone è solo l’inizio di una nuova storia che riserverà sorprese ancora più eclatanti». «Capisco i miei colleghi americani e li apprezzo — continua — perché stanno inventando addirittura nuovi metodi di analisi per estrarre dalla loro macchina inferiore alla nostra il fatidico segno. Se così non fosse perché sono arrivati a Ginevra ben 1700 scienziati americani per lavorare con noi?». La sfida è tremendamente complicata perché teoricamente sono previsti cinque tipi diversi di «particella di Dio» e poi è determinante, per decifrare il tutto, capire come si accoppia. «Insomma — conclude ecumenicamente Bertolucci — scoprire è bello ma capire è più importante». Quanto la sfida Chicago-Ginevra si stia arroventando lo dimostra l’iniziativa del celebre astrofisico britannico Stephen Hawking il quale ha scommesso che la «particella di Higgs » non esiste. E il fisico di Edimburgo Peter Higgs che l’ha ideata e battezzata risponde polemico: «Hawking non ci crede perché lui, per arrivare al Nobel, propone un’altra spiegazione». Vedremo presto chi ha ragione.