Infarto, la statistica dice cosa fare
Chiamare un'ambulanza ai primi sintomi è l’azione maggiormente correlata con la sopravvivenza. Lo dimostra un modello matematico
Sopravvivere o meno a un attacco cardiaco è una funzione della prontezza dell’intervento che, a sua volta, è una funzione del mezzo che si sceglie per arrivare al pronto soccorso. E contrariamente a quanto spesso si crede, chiamare il 118 ai primi sintomi - piuttosto che raggiungere un ospedale con qualsiasi altro mezzo - è la soluzione maggiormente correlata con la sopravvivenza. Al laboratorio Mox del Politecnico di Milano hanno provato matematicamente, per la prima volta, il buon senso di queste affermazioni, servendosi di modelli sviluppati ad hoc per l’analisi statistica di dati di tipo sia clinico sia organizzativo.
Lo scopo del progetto, denominato Momi (one Month monitoring Myocardial Infarction in Milan, condotto in collaborazione con l’Area di Coordinamento Emergenza Urgenza di Regione Lombardia), è quello di razionalizzare gli interventi di soccorso sugli infartuati a Milano e provincia. Per prima cosa i ricercatori hanno raccolto le informazioni su circa 800 pazienti tenendo conto delle caratteristiche demografiche (sesso ed età), del quadro clinico, della modalità di accesso in ospedale (spontaneo, mezzo di soccorso di base, mezzo di soccorso avanzato con o senza trasmissione dell’elettrocardiogramma all’unità coronaria ospedaliera), dei tempi pre e intra ospedalieri (tempo di chiamata, tempo di arrivo in pronto soccorso, tempo door to ballon), della terapia somministrata e dei tempi di dimissione. I dati sono stati registrati durante periodi di trenta o sessanta giorni consecutivi ogni sei mesi, per un arco di tempo complessivo di due anni, tra il 2006 e il 2008 (le informazioni sono state fornite dal Gruppo di lavoro per l’emergenza cardiologica preospedaliera - Rete di Milano, che raggruppa tutte le 24 unità operative del territorio considerato).
“Abbiamo utilizzato tecniche di analisi descrittiva e di regressione logistica per capire se vi erano correlazioni tra le varabili, e cosa influenzi maggiormente la sopravvivenza del paziente”, spiega a Galileo Anna Paganoni, responsabile dell'analisi statistica del progetto Momi. “Dall’inizio dello studio ad oggi, il servizio della Rete è migliorato notevolmente e vediamo che questo dipende molto dalla scelta dei pazienti di chiamare tempestivamente il 118”, continua la ricercatrice. In effetti il 64 per cento dei pazienti - riporta il Politecnico - ha ricevuto una terapia adeguata entro 90 minuti dall’inizio dell’infarto (limite per il tempo di azione fissato dall’American Heart Association). E, dato emblematico, il tasso di mortalità è sceso dall’8,9 per cento del 2006 al 3,8 per cento del 2008.
Tutti i dati raccolti nello studio Momi saranno ora riutilizzati per un altro progetto, chiamato Imaste (Infarto Miocardico Acuto con Sopra - slivellamento del tratto St), che partirà a maggio: “Durerà altri due anni e coinvolgerà tutta la Regione Lombardia”, spiega ancora Paganoni: “L’idea è di integrare più database per ricostruire la storia clinica del paziente. I dati anagrafici saranno accoppiati a quelli relativi all’infarto e a quelli custoditi dalla Banca Dati Assistito (con ricoveri, trattamenti somministrati, farmaci assunti, diagnosi e interventi chirurgici, Ndr.) per essere analizzati con tecniche statistiche”. (t.m.)
Galileo :: Giornale di scienza e problemi globali Infarto, la statistica dice cosa fare