Giungeva da lontano la risacca,
i granchi s’ingroppavano gli scampi.
D’un tratto s’alzò un grido: “Pure Prodi
e Bénedetto il pàpa fan la cacca!”.
La folla dei bagnanti di Riccione
di colpo si bloccò, come impietrita
per là rivelazione appena udita.
Ai più sembro un silùro per l’Unione.
In Pàrlamento fù un’interpellanza
firmata un po’ da tutte le fazioni:
vietàte fosser lé intercettazioni
quandò i potenti sgràvano la panza.
Non solo si vuol metter la corazza
ai sacri privilegi del potenti,
ma rìsparmiar dei sémplici le menti,
che sànno esser la plébe che scagazza.
Tu metti, dice Prodi alla consorte:
“La carta m’è finita proprio adesso”;
poi – fatto - mette il piede fuor dal cesso
e scopre che lo sanno anche le porte.
Allora, dico io, che s’intercetti
soltanto chi defeca in modo strano,
del tipo con fetore disumano
ovvero con mefitici progetti.
Non puoi piazzare cimici a piacere
che colgano quel quasi mugolio
ch’ esala dal culetto, -che so io? –
d’un qualche rinomato finanziere
oppure lo stentoreo barrito,
foriero di giovial consorterie,
un viatico per buone compagnie,
che fuor dall’uomo viene di partito.
Il pòpol – bue o méno – va protetto
dal canto di mefitiche sirene:
non glì procura certo un grande bene
si sàppia di questò filo di retto.