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Il mio nuovo avatar

  1. #61
    Sempre più FdT
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    Quote Originariamente inviata da JIMI :-)
    ma il vekkio era brutto!

  2. #62
    ti confondo e ti piace Ligaro
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    Sono andato alla ricerca di un buon riassunto su Epicuro ma ho trovato parecchie lacune un pò in tutti; allora ho cominciato a lavorare a una biografia dettagliata, mi ci vorrà qualche giorno, nel frattempo ho effettuato qualche commento su un pessimo riassunto di un certo Ernesto Riva , l'ultimo che mi è capitato tra le mani.
    Il migliore che ho tovato è quello di Diego Fusaro, ma ci sono alcune cose da rivedere a proposito della dottrina della conoscenza (detta anche canonica) epicurea.
    Ovviamente Riva ha omesso dati biografici, canonica e fisica per dedicarsi esclusivamente all'etica e alla teologia

    MARIUOLO!
    ----------------
    EPICURO
    (341 -270 a.C.)

    E' di Epicuro la celebre sentenza: "Vana è la parola del filosofo se non allevia qualche sofferenza umana". Se la filosofia ha diritto di cittadinanza nel mondo degli uomini, ciò è dovuto alla sua capacità di placare le sofferenze che la vita comporta. Il valore della filosofia è dunque strumentale: il suo fine principale è di raggiungere la felicità. Epicuro ritiene infatti che la verità possa facilmente essere scoperta e compresa dall'uomo e che quindi la filosofia, come attività che ci permette di conoscere razionalmente la verità, sia alla portata di tutti ed abbia un carattere liberatorio. E' naturale quindi, come corollario, che la filosofia sia per tutti - uomini e donne - e per tutte le età. Coerentemente con questa tesi, le comunità epicuree erano aperte a tutti, senza distinzione di sesso o di condizione sociale. "Se siamo felici abbiamo tutto ciò che ci occorre", e la felicità è ottenibile da parte di tutti ed è per tutti. Per possederla però il giovane deve liberarsi dalle paure "per affrontare con coraggio l'avvenire", mentre il vecchio deve saper conservare i bei ricordi per rimanere giovane nello spirito. La filosofia si presenta sotto una duplice veste: da una parte insegna, attraverso la conoscenza della natura delle cose, a liberare la mente dalle inquietudini; dall'altra insegna a godere dei piaceri della vita. E' quello che Epicuro esprime nella sua dottrina del quadrifarmaco: la filosofia 1) libera l'uomo dalla paura degli dèi; (dalla paura DELL'INTERVENTO divino, DELLA PROVVIDENZIALITA' divina , non degli dèi in sè ) 2) libera l'uomo dalla paura della morte; 3) dimostra la brevità e provvisorietà del dolore; 4) dimostra la facile raggiungibilità della felicità, che consiste nel piacere (piacere *catastematico*, ben diverso da quello cinetico, cioè quello in movimento, che accompagna un processo ed è sempre mescolato con turbamento e dolore... ) .

    Vediamo uno per uno i singoli punti.

    1) Per quanto riguarda il timore verso gli dèi, Epicuro sostiene che gli dèi di certo esistono (adduce anche delle motivazioni però! ) , hanno forma simile all'umana ma più perfetta (semmai è diversa la costituzione atomica ), ed abitano gli spazi vuoti tra i mondi (intermundia), che sono infiniti, ed in essi ogni cosa è composta di atomi e vuoto. L'uomo non deve avere paura degli dèi perché essi non si preoccupano né del mondo né tantomeno dell'uomo. Ogni preoccupazione sarebbe infatti contraria alla loro beatitudine giacché sarebbe una sorta di obbligo (meglio parlare di *autodiminuzione* ) nei nostri confronti, mentre invece essi sono senza obblighi e beati. D'altra parte, nel mondo vi è il male e ciò indica che gli dèi non intervengono. Infatti -dice Epicuro - "la divinità o vuol togliere i mali o non può, oppure può e non vuole o anche non vuole né può o infine vuole e può. se vuole e non può, è impotente; se può e non vuole, è invidiosa; se non vuole e non può, è invidiosa e impotente; se vuole e può, donde viene l'esistenza dei mali e perché non li toglie? " (impotenza e invidia sono caratteristiche incompatibili con la nozione di divinità ) (fram. 374 Usener). Perciò il saggio, liberato dalle superstizioni, può vivere con pienezza la sua vita terrena e attingere in questo modo la felicità.

    2) La morte non deve essere temuta perché... non è nulla. "Quando ci siamo noi, la morte non c'è, e quando c'è la morte, non ci siamo noi", dice Epicuro. Inoltre, visto che la morte consiste nella separazione dell'anima dal corpo (separazione dell'anima dal corpo? Ciccio, ti confondi con il Fedone di Platone; nelle dottrine epicuree anima e corpo muoiono insieme, non si parla apertamente di una separazione tra anima e corpo, avrebbe ben poco senso ) e visto che per Epicuro anche l'anima è materiale essendo composta da atomi (un tipo particolare di atomi di forma sferica ), nel momento della morte, quando gli atomi si separano, ogni sensazione cessa, e noi non 'sentiamo' più nulla, né dolore né piacere. La morte è quindi semplice assenza di sensazioni, ed è dunque sciocco averne paura (Potresti anche dire che al filosofo interessa la qualità, non la quantità della vita... O è chiedere troppo? ) ?

    3) Per dimostrare la brevità del dolore, Epicuro afferma quanto segue: se il male è lieve, il dolore fisico è sopportabile, e non è mai tale da offuscare la gioia dell'animo; se è acuto, passa presto; se è acutissimo, conduce presto alla morte, la quale non è che assoluta insensibilità. E i mali dell'anima? Essi sono prodotti dalle opinioni fallaci e dagli errori della mente (errori della mente...Semmai è più corretto dire che sovente si ingenerano in noi false credenze, che procurano ansie e timori. Una delle metafore preferite da Epicuro per indicare l'obiettivo della vita filosofica è quella del galenismòs, la quiete del mare dopo la tempesta; la filosofia deve liberare l'uomo da queste credenze e condurlo in un porto sicuro senza turbamenti ) , contro i quali c'è la filosofia e la saggezza.

    4) La felicità è facilmente raggiungibile e consiste nel piacere. Ma che cosa intende Epicuro per piacere? Per rispondere dobbiamo anzitutto dire che si assiste qui ad un clamoroso rovesciamento di valori e di fini: a differenza di Platonismo, Aristotelismo e anche Stoicismo, il piacere viene considerato da Epicuro come il principio e il fine della vita felice. Direi di più: il piacere è il bene primo, connaturato con noi stessi. L'uomo quindi è felice secondo natura, a meno che non gli manchi qualcosa. Infatti il piacere è la felice sensazione di pienezza che l'uomo prova naturalmente se non lo limitano dei piaceri insoddisfatti. Tutto ciò che dobbiamo fare è mantenerci nel piacere, eliminando le cause che disperdono la pienezza del nostro essere. L'infelicità degli uomini deriva dal fatto che essi temono le cose che non devono essere temute e desiderano le cose che non è necessario desiderare e che sfuggono loro. Sono dunque privati dell'unico piacere autentico, che è il piacere di essere. Anziché rappresentarci i mali in anticipo per prepararci a subirli, dobbiamo, al contrario, staccare la nostra mente dalla visione delle cose dolorose e fissare lo sguardo sui piaceri. Occorre far rivivere il ricordo dei piaceri passati e godere dei piaceri del presente, riconoscendo quanto siano grandi e piacevoli tali piaceri del presente. Non tanto quindi vigilanza, quanto scelta deliberata, sempre rinnovata, della distensione e della serenità, ed una gratitudine profonda verso la natura e la vita che ci offrono incessantemente, se sappiamo trovarli, il piacere e la gioia ("Sia reso grazie alla beata natura che fece le cose necessarie facilmente procacciabili, quelle difficilmente procacciabili non necessarie"). Vivere nel momento presente è, ancora una volta, un invito alla distensione e alla serenità: la preoccupazione rivolta al futuro, che ci lacera, ci nasconde il valore incomparabile del semplice fatto di esistere. Inoltre, per gli Epicurei, proprio il piacere è una sorta di "esercizio spirituale": piacere intellettuale della contemplazione della natura, pensiero del piacere passato e presente, piacere infine dell'amicizia. Nell'esaltare l'amicizia, Epicuro assume a volte dei toni di pura poesia. Vi è per lui nella amicizia (philia) una serenità più profonda, superiore anche a quella dell'amore (eros), perché più facilmente si può conservare libera da sentimenti che procurano dolore come la gelosia o il dolore del distacco o la paura di non essere riamati. L'atteggiamento di Epicuro verso gli altri uomini è riassumibile nella sua massima: "E' non solo più bello ma anche più piacevole fare il bene anziché riceverlo". In questa massima, il piacere assurge a fondamento e a giustificazione della solidarietà fra tutti gli uomini. E infatti Diogene Laerzio ci testimonia l'affetto di Epicuro per i genitori, la sua fedeltà agli amici, il suo senso di solidarietà umana (cfr. Vite dei filosofi, X, 9).

    Noi compiamo tutte le nostre azioni - dice Epicuro - al fine di non soffrire e di non avere l'animo turbato. Se ci troviamo già in questa condizione, non desideriamo nulla, perché nulla ci manca. E' questo l'obiettivo da raggiungere, è in questo che consiste la felicità o il piacere, e cioè appunto nella aponia (assenza di dolore fisico) e nella atarassia (assenza di dolore spirituale) (l'*atarassia* va più correttamente intesa come *assenza di turbamento/i* ) . E' qui il "segreto" della felicità degli dèi ed è questo il motivo per cui noi dobbiamo imitarli, anche se essi non si curano di noi. (bravo, gli dei non sono totalmente ininfluenti: sono modelli che l'uomo deve imitare per condurre una vita serena e beata ) In altre parole, la felicità consiste nel piacere stabile (il cosidetto piacere *catastematico*, che corrisponde alla completa soddisfazione del desiderio ), che è assenza di dolore, e non nel piacere in movimento (quello che perseguivano i primi Cireaici ), che sono i momenti di gioia, di allegria, e simili. Se è così, la pienezza del piacere si attinge nella caduta del desiderio. Non per nulla, per Epicuro, solo i desideri naturali e necessari vanno appagabili (quelli legati alla salute, alla vita, al piacere), mentre gli altri (SPECIFICA!!! Epicuro distingue tra piaceri naturali e necessari - per esempio bere quando si ha sete, piaceri naturali e non necessari - come quello di soddisfare il bisogno della sete con bevande ricercate - e quelli non naturali e non necessari - per esempio il ricevere una lode - ) vanno limitati o abbandonati. Da questo punto di vista, è più felice un vecchio che un giovane. Dice infatti Epicuro: "Non il giovane è felice, ma il vecchio che ha vissuto una vita bella; poiché il giovane nel fiore dell'età è mutevole ludibrio della sorte; il vecchio invece giunse a vecchiezza come a tranquillo porto e di tutti i beni che prima aveva con dubbio sperato ora ha sicuro possesso nella tranquilla gioia del ricordo".

    Il piacere - in quanto sensazione interiore - deve essere posto come norma delle nostre affezioni. Il principio è il seguente: ogni piacere è di per sé un bene, ma non è detto che le sue conseguenze nel tempo siano vantaggiose per noi. Viceversa, ogni dolore è un male, ma non è detto che da un male non possa derivare un bene per noi. Quindi il piacere diventa la norma su cui giudicare le nostre azioni perché ci suggerisce cosa scegliere, spingendoci verso ciò che nel tempo ci è più favorevole. Solamente un accorto calcolo dei piaceri può far sì che l'uomo basti a se stesso e non diventi schiavo né dei desideri né delle preoccupazioni, rinunciando ai piaceri da cui deriva un dolore maggiore (per fare un esempio attuale si pensi alle droghe o al fumo o al bere) e sopportare i dolori da cui potrà derivare un piacere maggiore. Insomma, per Epicuro il piacere è il bene completo e perfetto quando sia inteso come non aver dolore nel corpo né turbamento nell'animo. Per questo egli fa un elogio della phronesis (=saggezza, prudenza), considerata il fondamento di tutte le virtù. Essa ci abitua a contenere i desideri, a valutare con cura le conseguenze delle nostre scelte, prevedendo un ampio margine di sicurezza, per evitare che da un bene abbia a derivarne un male. Dice infatti Epicuro: "Per ognuno dei desideri va posta questa domanda: che cosa mi accadrà se si realizza il mio desiderio, e che cosa, se non si realizza?". In conclusione, la vita sarà felice se saprà essere vissuta con saggezza, semplicità e giustizia. "Non ci può essere vita felice se non è anche saggia, bella e giusta; e non vi è vita saggia, bella e giusta che non sia anche felice. Le virtù sono infatti connaturate ad una vita felice, è questa è inseparabile dalle virtù".

    Agli uomini del suo tempo, Epicuro ricordava che il vero bene è sempre e soltanto in noi. Il vero bene è la vita, e a mantenere la vita basta pochissimo, e quel poco è a disposizione di tutti, di ogni singolo uomo.

  3. #63
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    SOCRATE
    Tratto dal testo Storia e Antologia della filosofia vol.1, a cura di Maurizio Mori e Giuseppe Cambiano, Laterza


    Socrate nacque nel 470 / 469 a.c. da Sofronisco , scultore , e Fenarete , levatrice . Dapprima esercitò forse il mestiere del padre , ma successivamente l'abbandonò per dedicarsi esclusivamente all'indagine filosofica . Non di rado dovette quindi ricorrere all'aiuto economico di amici . Sposò Santippe , che una certa tradizione tende a presentare come donna bisbetica e insopportabile : si è arrivati a pensare che Socrate stesse sempre in piazza non tanto per filosofare quanto piuttosto per stare lontano da Santippe e dalle sue ramanzine continue : pare che Socrate sia riuscito a far ragionare tutti tranne Santippe . Da lei ebbe tre figli . Socrate non lasciò mai Atene se non per brevi spedizioni militari : partecipò infatti nel 432 alla spedizione contro Potidea , traendo in salvo Alcibiade ferito , e nel 424 combattè a Delio a fianco di Lachete durante la ritirata degli Ateniesi di fronte ai Beoti . Successivamente nel 421 combattè ad Anfipoli . Nel 406 in conformità al principio della rotazione delle cariche , fece parte dei pritani , ossia del gruppo del Consiglio al quale spettava decidere quali problemi sottoporre all'Assemblea e si oppose alla proposta illegale di processare tutti insieme i generali vincitori nello scontro navale avvenuto al largo Arginuse , perchè non avevano raccolto i naufraghi . Con questa presa di posizione egli si poneva in contrasto con i democratici , ma nel 404 , passato il potere in mano all'oligarchia capeggiata dai Trenta , rifiutò di obbedire all'ordine di arrestare un loro avversario , Leone di Salamina . Nel 403 la democrazia restaurata , pur concedendo un'amnistia , continuò a ravvisare in Socrate una figura ostile al nuovo ordine , anche per i rapporti da lui intrattenuti in passato con figure come Alcibiade e Crizia . Nel 399 fu presentato da Meleto un atto di accusa contro Socrate , ma tra i suoi accusatori erano anche Licone e soprattutto Anito , uno dei personaggi più influenti della democrazia restaurata . L'atto di accusa è il seguente : " Socrate è colpevole di essersi rifiutato di riconoscere gli dei riconosciuti dalla città e di avere introdotto altre nuove divinità . Inoltre è colpevole di avere corrotto i giovani . Si richiede la pena di morte " . Gli accusatori contavano probabilmente in un esilio volontario da parte di Socrate , com'era avvenuto in passato per Protagora o Anassagora , ma egli non abbandonò la città e si sottopose al processo . A maggioranza i giudici votarono per la condanna a morte la quale fu eseguita in carcere mediante la somministrazione di cicuta . Possiamo inserire Socrate nell'era sofistica (sebbene lui si schierò contro i sofisti) perchè come i sofisti si interessò di problemi etici ed antropologici , mettendo da parte la ricerca del principio e della cosmogonia . Socrate non scrisse mai nulla e così per ricostruire il suo pensiero dobbiamo ricorrere ad altri autori . Le fonti principali sulla vita di Socrate sono quattro 1) Platone 2)Senofonte 3)Aristotele 4)Aristofane . 1) Platone è senz'altro la fonte più attendibile : egli fu discepolo diretto di Socrate e con lui condivise sempre l'idea della filosofia come ricerca continua . Senofonte è la fonte più banale e meno interessante : il Socrate degli scritti di Senofonte è un cittadino ligio alla tradizione , il vero interprete dei valori correnti , il saggio che mira al bene dei suoi concittadini ed è ossequioso verso la città e le sue divinità . Va subito precisato che Senofonte era un grande generale , coraggioso e valoroso , ma non era certo un'aquila : i suoi scritti stessi non sono certo esempi eclatanti della letteratura greca : sono ridondanti e ripetitivi . Senofonte fece anche campagne militari con Socrate e nei suoi scritti ne esalta il valore dicendo che non stava mai fermo , era sempre in azione , non soffriva niente (camminava addirittura a piedi nud sul ghiaccio) . A Senofonte della filosofia non gliene importava nulla e con Socrate , di cui era grande amico , non trattava mai argomenti filosofici , ma solo militari : questo ci consente di capire che Socrate modulava il discorso a seconda del personaggio che aveva di fronte : con un filosofo parlava di filosofia , con un generale di guerra . 3) La testimonianza di Aristotele è stata a lungo ritenuta la più attendibile perchè Socrate non viene caricato di significati simbolici : Aristotele ce ne parla in modo oggettivo . Tuttavia la testimonianza aristotelica ha dei limiti : in primis , è la meno " artistica " delle 4 ed è l'unica di un non-contemporaneo . Va poi detto che in Aristotele Socrate ci viene presentato quasi come un " robot " : la filosofia socratica viene presentata come un susseguirsi di ragionamenti e non viene dato spazio al filosofare in pubblico , al dialogo aperto . 4) Aristofane è il personaggio più vicino a Socrate come età : ci presenta un Socrate relativamente giovane (circa 40 anni) . Va ricordato che Aristofane era un commediografo e ne risulta che l'immagine che lui ci dà di Socrate è fortemente impregnata di tratti sarcastici . Ne " Le nuvole " ce lo presenta come un sofista studioso della natura (il contrario di ciò che era in realtà) , con la testa fra le nuvole . Insomma Aristofane è l'unico a darci di Socrate un'immagine fortemente negativa (non a caso Aristofane era stato uno dei primi accusatori di Socrate) . In realtà non dobbiamo pensare che Aristofane volesse gettar discredito su Socrate o lo prendesse in giro per cattiveria : in fondo lui faceva solo il suo lavoro di commediografo , che consisteva nel far ridere . In realtà con la figura di Socrate vuole prendere in giro non Socrate , ma l'intera categoria dei filosofi . La testimonianza di Platone resta la migliore e le altre tre vanno sfruttate come appoggio . Platone lo conosceva davvero bene ed era lui stesso un gran filosofo : il grosso limite è che trattandosi di un filosofo , Platone avrebbe potuto rimaneggiare i discorsi di Socrate , ed è proprio quel che fa man mano che invecchia . " L'apologia " , per fortuna , resta un dialogo giovanile nel quale Platone descrive il processo che decretò la condanna a morte di Socrate . E' proprio in questo dialogo che emerge fortemente la differenza tra Socrate ed i sofisti : i sofisti pronunciavano discorsi raffinati ed eleganti , ma totalmente privi di verità : per loro l'importante era parlar bene , avere un buon effetto sulle orecchie degli ascoltatori . Per Socrate invece quel che più conta è la verità : lui si proclama incapace di controbattere a discorsi così eleganti e ben formulati (ma falsi) . Socrate , pur non tenendo un'orazione raffinata , dice il vero : la critica ai sofisti verrà poi ripresa da Platone stesso . I sofisti puntavano a stupire l'ascoltatore , dal momento che erano convinti che la verità non esistesse (soprattutto Gorgia . Socrate per difendersi in tribunale non pronuncia un discorso (come i sofisti) , ma imposta un dialogo botta e risposta : è proprio dal discorso che viene a galla la verità (Platone dirà che il discorso tra due o più individui è come lo scontro tra due pietre dal quale nasce la fiamma della conoscenza) . Lo stile oratorio di Socrate è scarno , secco e quasi familiare , modulato a seconda dell'interlocutore . Il punto di partenza del discorso socratico è la cosiddetta " ironia socratica " , ossia la totale autodiminuzione , " io non so , tu sai " . Così inizia anche " L'apologia" : si pone la domanda "che cosa è x ?" e l'interlocutore cade nel tranello e risponde , sentendosi superiore a Socrate . Socrate , come abbiamo detto parlando di Senofonte , parla di argomenti noti all'interlocutore : se ad esempio parla con un generale gli chiederà " che cosa è il coraggio ? " . Quello risponderà , per esempio , dicendo che il coraggio è il non indietreggiare mai . Allora Socrate interverrà dicendo che quello non è coraggio , bensì pazzia . La critica diventa stimolo per l'interlocutore a fornire una seconda risposta meglio articolata : il gioco può andare avanti a lungo e spesso rimane aperto . Questo metodo viene detto " maieutico " : Socrate diceva di fare lo stesso lavoro della madre , la quale era ostetrica : lei faceva partorire le donne , lui le anime . Come le ostetriche valutano se il neonato è " buono " , così Socrate valuta se le idee , le definizioni sono buone . Non tutti gli interlocutori erano intelligenti e riconoscevano i propri errori : spesso preferivano evitare Socrate . Da un interlocutore Socrate fu anche denominato " torpedine " in quanto l'incontro con Socrate risulta scioccante perchè ribalta le concezioni di chi era convinto di sapere e dimostrava che in realtà non sapeva . Socrate stesso si paragonava ad un moscone che stimola il cavallo : lui stimolava gli uomini a ragionare . Socrate con il processo dell'autodiminuzione afferma di non sapere nulla , mentre sostiene che i sofisti sappiano tutto : dice che forse l'educazione che impartisce lui è inutile rispetto a quella sofistica , ma senz'altro è più importante . Le calunnie nei confronti di Socrate hanno avuto inizio quando lui si definiva sapiente in quanto l'oracolo di Delfi gli aveva detto che era il più sapiente tra gli uomini . Lui era rimasto sconvolto da tale affermazione e non riusciva a crederci : allora cominciò a girare per Atene per vedere se trovava persone effettivamente più sapienti di lui . Dunque si recò da coloro che si ritenevano sapienti : politici , poeti , artigiani . Socrate si accorse che tutte e tre le categorie erano convinte di sapere , ma in realtà non sapevano niente : i politici erano i peggiori di tutti non in quanto politici (Socrate stesso , se vogliamo , era un politico perchè svolgeva la sua attività in pubblico) ma in quanto non capaci di insegnare il loro sapere : un vero sapiente deve spiegare ciò che sa : anche i politici migliori (Pericle) non sanno trasmettere il loro sapere . Lo stesso era per i poeti , che a partire da Omero erano considerati sapienti ed educatori : Socrate li biasima sia perchè dicono assurdità , sia perchè il loro non è un sapere , ma una forma di " follia ispirata " : era la divinità che parlava per bocca loro . I meno peggio risultarono essere gli artigiani , che almeno sapevano fare diverse cose di utilità pubblica : la loro è una " tecnè " , ossia una sapienza pratica . Però anche gli artigiani avevano i loro difetti : erano sì competenti nel loro settore , ma peccavano di presunzione perchè erano convinti che la loro conoscenza fosse universale ed illimitata , anzichè limitata . Inoltre essi agivano senza pensare e ponderare . Socrate arrivò alla conclusione che l'oracolo di Delfi aveva ragione : lui stesso è il più sapiente , pur sapendo di non sapere . Il suo non va interpretato come atteggiamento di rinuncia alla ricerca della verità , ma come segno di modestia intellettuale : è proprio il fatto di essere consapevoli della propria conoscenza che spinge l'uomo a sforzarsi di raggiungere la conoscenza ; se si è convinti di sapere già tutto non ci si sforzerà di migliorare . Tra le varie accuse che vengono mosse a Socrate c'è anche quella di corrompere i giovani nella piazza rendendoli peggiori : lui ribatte a questa accusa dicendo che non avrebbe motivo di fare ciò . Infatti se corrompesse i giovani finirebbe per vivere in una città di giovani corrotti , il che si ritorcerebbe contro lui stesso . Va senz'altro ricordato il cosiddetto " intellettualismo etico " di Socrate : secondo lui nessuno può compiere il male sapendo effettivamente di compierlo : nessuno potrebbe mai fare del male volontariamente . Un rapinatore rapina non pensando di fare del male , ma di fare del bene : è un errore intellettuale ritenere bene ciò che è male . E' un atteggiamento tipicamente cristiano-cattolico che si possa scegliere tra bene e male indistintamente . Dunque Socrate introducendo l'intellettualismo etico dimostra di aver agito per il bene della sua città . E' Socrate che ha scoperto il concetto moderno di anima ( yuch ) : in precedenza significava " soffio vitale " , ciò che fa vivere le cose ; il termine yuch assunse poi il significato di " immagine nell'Ade " , un'esistenza depotenziata . Per gli Orfici significava " demone " . A partire da Socrate fino al giorno d'oggi l'anima è diventata il nostro io : ci identifichiamo con l'anima . Secondo Socrate possiamo dividere i beni ed i mali in tre categorie a) dell'anima b) del corpo c) dell'esterno . Il corpo è lo strumento nonchè la prigione dell'anima . Il denaro , per esempio , è un bene esterno . In alcuni frangenti sembra che Socrate (e anche Platone ) rifiuti i beni materiali e del corpo , scegliendo quelli dell'anima ; in altre occasioni pare che possano essere accettati entrambe . Socrate , per esempio , pare che non disprezzasse il vino . Quest'ambiguità tra beni del corpo e beni dell'anima può essere spiegata affermando che i beni son tutti beni finchè non entrano in conflitto con altri : la ricerca del piacere fisico diventa un male quando la si antepone alla ricerca di quello intellettuale . Questo non vale solo per i beni , ma anche per il rapporto tra anima e corpo : il corpo per Socrate e Platone non va disprezzato , anzi va apprezzato perchè serve all'anima . Per il Cristianesimo la ricchezza è un male , per Socrate e Platone è un bene finchè non entra in conflitto con gli altri beni . Interessante è il concetto socratico di ingiustizia : essa non danneggia chi la subisce , ma chi la commette . La giustizia infatti dà un senso di piacere interiore e chi è ingiusto perde questo piacere , mentre chi subisce l'ingiustizia continua a provarlo . Questo vale anche per Platone . Tra le cose che Socrate dice di non sapere vi è la conoscenza dell'aldilà , di cosa c'è dopo la morte ( Platone dirà di essere in grado di dimostrare l'esistenza di un aldilà) . Per lui non è che se si vive una vita giusta si sarà premiati : si è già appagati dal vivere giustamente , la felicità che si prova perchè si è giusti è già una sorta di premio : Socrate dice che magari potrebbe esserci una vita ultraterrena , ma lui non lo sa . Tra le varie accuse rivolte c'era anche quella di ateismo e di empietà : Socrate infatti credeva nei demoni , che lui proclamava " figli delle divinità " . Lui dimostra che è un'accusa sbagliata dicendo che se crede nei demoni che sono figli delle divinità , è ovvio che creda anche nelle divinità : perchè ci sia il figlio (demone) , ci devono anche essere il padre e la madre (le altre divinità) . Ma che cosa era questo demone ? Abbiamo due testimonianze divergenti : per Platone era una sorta di angelo custode - coscienza personale che interveniva ogni qual volta Socrate stesse per sbagliare : si tratterebbe di una sorta di " aiuto privilegiato " che non tutti hanno : solo le persone per bene . E' un dono divino per i buoni . E' come se la divinità partecipasse alla vita umana . Per Senofonte invece il demone è un'entità che lo spinge ad agire in determinati modi : Senofonte intende ancorare fortemente Socrate alla credenza in un ordine divino e in un intervento divino nella vita umana . Per Socrate l'importante non è vivere , ma vivere bene : quando la nostra anima è sana , giusta , allora anche noi stiamo bene . Sempre Senofonte nei " Detti memorabili " riassume la prova dell'esistenza di Dio formulata da Socrate in questi termini : ciò che non è opera del caso postula una causa intelligente , con particolare riguardo al corpo umano che ha una struttura organizzata non casuale . Per questa sua origine l'uomo è ritenuto superiore a tutti gli altri animali ed è oggetto dell'interesse di Dio , come si deduce anche dalla possibilità di conoscere i suoi progetti sull'uomo ricorrendo all'arte della divinazione . Va notato che il Dio socratico ( inteso come intelligenza finalizzatrice ) è una sorta di elevazione a entità assoluta della psychè umana . Molti hanno notato che gli accusatori non volevano in realtà condannarlo a morte , ma semplicemente zittirlo . Ma Socrate non può accettare di essere zittito : il suo destino è andare in giro a colloquiare con la gente . Vivere bene per Socrate significa svolgere quest'attività e non rifiutare di essere colpevole significava non far perdere significato alla sua vita . Dal momento che era già vecchio e gli restavano pochi anni di vita , tanto valeva farla finita lì , ma non rinunciare ai suoi ideali . Mentre la ricerca di Platone si spingerà in un'altra dimensione , quella di Socrate rimane saldamente ancorata al mondo terreno : la sua mIssione è far capire ai cittadini ciò che fanno . In Socrate vi è poi un rifiuto della politica (che peraltro troveremo anche in Platone ) : fa infatti notare che lui stesso aveva avuto parecchi problemi con la politica : prima contro di lui si erano scagliati gli oligarchici , ed ora i democratici (nell'accusa ai danni di Socrate si possono scorgere istanze politiche : lui era un aristocratico e i democratici volevano punirlo ) . Pur avendo problemi con la politica , Socrate non dice che vada abolita . Prima dell'esecuzione della pena capitale , a Socrate era stata presentata la possibilità di evadere dal carcere , ma lui si era rifiutato : in lui infatti vi era il massimo rispetto per la legge , che non si deve infrangere in nessun caso . La legge può essee criticata , ma non infranta : di fronte ad una legge ingiusta non bisogna infrangerla , ma bisogna battersi per farla cambiare . Socrate afferma che sarebbe stato suo dovere far cambiare la legge e che non essendoci riuscito è giusto che lui muoia . Gli Ateniesi son convinti di essersi liberati di Socrate avendolo eliminato fisicamente , ma in realtà per liberarsene completamente avrebbero dovuto " ucciderlo filosoficamente " , batterlo a parole . In realtà volevano farlo tacere , ma han sortito l'effetto opposto : Platone infatti , che era intenzionato a dedicarsi alla vita politica , resterà sconvolto per condanna del maestro e si dedicherà alla filosofia . In Socrate vi è una vaga idea di provvidenza divina , ma non collettiva , bensì individuale : la divinità aiuta solo i migliori . Celeberrima è la conclusione dell' Apologia , in cui Socrate si rivolge ai suoi discepoli prima di essere giustiziato : " Ma ormai è ora di partire : io verso la morte , voi verso la vita . Chi di noi cammini a una meta superiore è oscuro a chiunque : non al mio dio ." Nel " Simposio " di PlatonePlatone Alcibiade afferma che Socrate non assomiglia a nessuno degli uomini del passato e del presente : è una figura nuova . Non si interessa di politica , ma non la disprezza , non rifiuta i festini , ma non vi si identifica ( nel " Simposio " tutti i convitati si addormentano , Socrate no ) . Soffermiamoci ora maggiormente sulla tecnica discorsiva di Socrate : la confutazione è la tecnica che dimostra l'inconsistenza del sapere dei propri interlocutori . Ma per arrivare a questo risultato bisogna partire dal metodo delle domande e delle risposte . " Che cosa è la giustizia ? " può essere il punto di partenza per il dibattito : porre questa o qualsiasi altra domanda del genere significa richiedere la definizione delle cose in questione , che però deve essere valida per tutti i casi particolari . In questo senso la ricerca di Socrate è stata interpretata da Aristotele come ricerca dell'universale , nell'ambito dei concetti e dei problemi morali . Gli interlocutori di Socrate si dimostrano incapaci di rispondere correttamente alla domanda sia perchè sottovalutano Socrate (che dice di essere inferiore) sia perchè rispondono citando casi particolari , anzichè la definizione universale . Abbiamo già citato il caso della domanda " Che cosa è il coraggio ? " : rispondere " non inditreggiare mai " è sbagliato , così come dire " assalire il nemico " : si può essere coraggiosi anche nell'affrontare una malattia o un'interrogazione : una definizione corretta deve coprire tutti i casi possibili . Nella sua funzione negativa il metodo delle domande e risposte si caratterizza come confutazione , ossia dimostrazione della falsità o contradditorietà delle risposte date dall'interlocutore . Gli effetti prodotti dall'esercizio di questo metodo sono paragonati a quelli della torpedine marina , che intorpidisce coloro che tocca . Di fronte alla confutazione si può reagire rifiutandola , come fanno vari interlocutori di Socrate . Ma , se la si accetta , essa può liberare dalle false opinioni che si hanno sui vari argomenti e agire dunque come una forma di purificazione . La situazione , che risulta dalla confutazione , è detta aporia , ossia letteralmente situazione senza vie di uscita . Essa consiste nel rendersi conto che i tentativi sin qui percorsi di rispondere a un determinato problema , hanno condotto a un vicolo cieco . Ma in questa nuova situazione , liberi dal falso sapere e soprattutto dalla presunzione di sapere , ci si può accingere alla ricerca del vero sapere , tentando nuove stade che possano condurre ad esso . In questo nuovo orientamento il metodo delle domande e risposte può assolvere una funzione positiva . Essa è paragonata alla funzione svolta dalla maieutica , capace di far partorire ad ognuno , mediante domande opportunamente indirizzate , la verità , di cui ciascuno è gravido . Socrate si ostina incessantemente a far convergere i propri interlocutori nell'ammissione di un punto fondamentale : per saper agire bene , cioè virtuosamente , in un determinato ambito , occorre possedere il sapere che renda capaci di ciò . A questo risultato egli perviene mediante l'analogia con le tecniche : il buon artigiano che sa svolgere bene la propria attività possiede un sapere capace di guidarlo a questo risultato . La stessa cosa deve valere in ambito etico-politico : questo è il nocciolo della famosa tesi secondo cui la virtù è scienza . Questa tesi conduce ad alcune conseguenze . In primo luogo , chi conosce che cosa è bene e quindi anche che cosa è buono per lui non può non farlo . Il bene è dotato di un potere incontrastabile di attrazione . Ciò non significa che Socrate disconosca l'importanza delle passioni e delle emozioni nella vita umana , ma soltanto che in ogni ambito della vita umana l'unico strumento capace di orientare verso il comportamento corretto è ravvisato nel sapere . La posizione etica di Socrate non va confusa con forme di rigorismo ascetico . Essa è invece definibile come una forma di eudemonismo , perchè pone come obiettivo fondamentale il perseguimento della felicità (in Greco eudaimonia ) . E' il sapere che è in grado di effettuare un corretto calcolo degli stessi piaceri , misurando le conseguenze piacevoli o dolorose che essi possono arrecare . Questo è il sapere , di cui Socrate dichiara di non essere in possesso , ma proprio per questo è il sapere che egli persegue . Non ha senso allora distinguere le varie virtù nettamente le une dalle altre : la virtù è una , come uno solo è il sapere in cui esse si compendiano : sapere che cosa è bene e che cosa è male .

  4. #64
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    Quote Originariamente inviata da Tomino
    La natura, voi dite, è del tutto inesplicabile senza un Dio. In altri termini, per spiegare ciò che capite ben poco, avete bisogno di una causa che non capite affatto.
    nn ci capisco molto di filosofia.......
    ho frequentato l'ipsia e molto cose nn vengono nemmeno sfiorate........
    cmq leggendo il tutto questo d'Holbach mi attira........
    filosofo nn hai qlc titolo x illuminarmi???grazie......




    ah.... come avantar è appropiato x il capo banda delle linguacce.......... :smt016 :smt019
    Se vai sul sito che ho citato, nella home page, verso sinistra, c'è la voce "Illuminismo", se clicchi su quella voce ti appare un elenco di nomi di filosofi, vai sul primo alla tua destra HOLBACH, cliccaci sopra; una volta aperta la pagina con il pensiero troverai anche la seguente voce: Leggi il testo integrale de Il buon senso. Lo puoi salvare su computer gratuitamente. "Il buon senso" è stato pubblicato anche dalla casa editrice Garzanti, però se si può leggere gratis... :smt112

    Il "Sistema della Natura" credo sia da ristampare

    C'è anche un altro testo che promette bene, "Saggio sui pregiudizi", casa editrice Guerini e Associati.

    I testi "rari" conviene acquistarli su internet, si accorciano un pò i tempi

  5. #65
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    Quote Originariamente inviata da MEGA
    filosofo... gli illuministi mi piaciono ma nn troppo: sono troppo freddi... sicuri di sè... un po' altezzosi... il culto della dea raione, poi, esagerato... erano convinto di trovare tutte le risposte con l'inttelletto e io nn sono d'accordo... mi sento, in questo, più romantico anke se rinnego l'idea di dio ed il valore della storia, su ciò sono più illuminista... per il momento (ho fatto la 4 scientifico) simpatizzo per kant: un punto di incontro fra illuministi e romantici... esempio di conciliazione fra razionalismo ed empirismo (cartesio e hobbes)... mi piace poi il fatto ke affermi ke l'uomo, per quanto sia naturalmente portato a farsi domande metafisike nn può dare risposte... moilto belle le similitudini della colomba ke vorrebbe volare senza l'attrito dell'aria ma senza la quale, nel vuoto, nn potrebbe volare... e poi quella della nave ke naviga nell'oceano tempestoso della conoscenza...

    peccato ke con la vekkiaia si sia rincoglionaito... una delle sue ultime frase mi fa arrabbiare parekkio: ho dovuto accantonare la ricerca per far posto alla fede...
    La Critica della Ragion Pura è un'opera lodevole, anche la Critica del Giudizio è interessante in alcuni punti, quella della Ragion Pratica, invece... almeno per me... No
    Comunque ha scritto un sacco di opere, ed è molto interessante la sua posizione sull'Illuminismo.

    A me la freddezza e il forte razionalismo di alcuni illuministi (gli autentici materialisti, Holbach, La Mettrie, Helvetius, Meslier) affascina parecchio... Certo, l'uomo non è solo ragione, però tutto sta nelle priorità che abbiamo.. La mia è quella di conoscere e comprendere, e il sentimento ostacola.. Per esempio l'amore è considerato un tema tabù... Non lo è per niente, uno sguardo critico smonterebbe pezzo per pezzo tutti i corollari con cui lo si avvolge e lo ricondurrebbe alla sua mera natura biologica.
    Certo, la "meraviglia" dell'amore in un certo senso verrebbe meno, e nella più ottimistica delle conclusioni si riconvertirebbe in stupore di fronte al complesso meccanismo che ne regola le dinamiche.
    Un altro tema su cui si preferisce tenersi sulla difensiva è quello della religione, ma se invece di constatare l'esistenza del bisogno di credere se ne ricercassero le cause sono sicuro che succedebbe un finimondo.

    Immagino che sia chiaro il perché della marginalizzazione di questi pensatori

    A mio avviso vanno riscoperti, ed è quello che mi propongo di fare

  6. #66
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    Quote Originariamente inviata da SILVIA92
    ehm filosofo vuoi ancora chiedere il my aiuto???

    Yes, my dear Silvia!!! :smt045

    I need your help!!!

    Traduzione: Siggnurì, e facite sta traduzione, ià... :smt016



    Non ti faccio un pò di tenerezza a dover tradurre 4 libri in inglese?

  7. #67
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    Quote Originariamente inviata da Robbiee
    sono affascinato dal materialismo..

    mi potresti dire dei siti al riguardo?
    è nà parola....

    Se si digita Materialismo su Google qualcosa di interessante dovrebbe saltar fuori.. proverò...

  8. #68
    twix ™
    Ospite

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    Quote Originariamente inviata da =DaDa=
    sinceramente...l'avatar era più bello prima

  9. #69
    FdT svezzato
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    Quote Originariamente inviata da filosofo

    Yes, my dear Silvia!!! :smt045

    I need your help!!!

    Traduzione: Siggnurì, e facite sta traduzione, ià... :smt016



    Non ti faccio un pò di tenerezza a dover tradurre 4 libri in inglese?
    si ammetto che mi dispiace un pò x te!! :smt101

  10. #70
    KristaL*
    Ospite

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    Quote Originariamente inviata da filosofo
    Sono andato alla ricerca di un buon riassunto su Epicuro ma ho trovato parecchie lacune un pò in tutti; allora ho cominciato a lavorare a una biografia dettagliata, mi ci vorrà qualche giorno, nel frattempo ho effettuato qualche commento su un pessimo riassunto di un certo Ernesto Riva , l'ultimo che mi è capitato tra le mani.
    Il migliore che ho tovato è quello di Diego Fusaro, ma ci sono alcune cose da rivedere a proposito della dottrina della conoscenza (detta anche canonica) epicurea.
    Ovviamente Riva ha omesso dati biografici, canonica e fisica per dedicarsi esclusivamente all'etica e alla teologia

    MARIUOLO!
    ----------------
    EPICURO
    (341 -270 a.C.)

    E' di Epicuro la celebre sentenza: "Vana è la parola del filosofo se non allevia qualche sofferenza umana". Se la filosofia ha diritto di cittadinanza nel mondo degli uomini, ciò è dovuto alla sua capacità di placare le sofferenze che la vita comporta. Il valore della filosofia è dunque strumentale: il suo fine principale è di raggiungere la felicità. Epicuro ritiene infatti che la verità possa facilmente essere scoperta e compresa dall'uomo e che quindi la filosofia, come attività che ci permette di conoscere razionalmente la verità, sia alla portata di tutti ed abbia un carattere liberatorio. E' naturale quindi, come corollario, che la filosofia sia per tutti - uomini e donne - e per tutte le età. Coerentemente con questa tesi, le comunità epicuree erano aperte a tutti, senza distinzione di sesso o di condizione sociale. "Se siamo felici abbiamo tutto ciò che ci occorre", e la felicità è ottenibile da parte di tutti ed è per tutti. Per possederla però il giovane deve liberarsi dalle paure "per affrontare con coraggio l'avvenire", mentre il vecchio deve saper conservare i bei ricordi per rimanere giovane nello spirito. La filosofia si presenta sotto una duplice veste: da una parte insegna, attraverso la conoscenza della natura delle cose, a liberare la mente dalle inquietudini; dall'altra insegna a godere dei piaceri della vita. E' quello che Epicuro esprime nella sua dottrina del quadrifarmaco: la filosofia 1) libera l'uomo dalla paura degli dèi; (dalla paura DELL'INTERVENTO divino, DELLA PROVVIDENZIALITA' divina , non degli dèi in sè ) 2) libera l'uomo dalla paura della morte; 3) dimostra la brevità e provvisorietà del dolore; 4) dimostra la facile raggiungibilità della felicità, che consiste nel piacere (piacere *catastematico*, ben diverso da quello cinetico, cioè quello in movimento, che accompagna un processo ed è sempre mescolato con turbamento e dolore... ) .

    Vediamo uno per uno i singoli punti.

    1) Per quanto riguarda il timore verso gli dèi, Epicuro sostiene che gli dèi di certo esistono (adduce anche delle motivazioni però! ) , hanno forma simile all'umana ma più perfetta (semmai è diversa la costituzione atomica ), ed abitano gli spazi vuoti tra i mondi (intermundia), che sono infiniti, ed in essi ogni cosa è composta di atomi e vuoto. L'uomo non deve avere paura degli dèi perché essi non si preoccupano né del mondo né tantomeno dell'uomo. Ogni preoccupazione sarebbe infatti contraria alla loro beatitudine giacché sarebbe una sorta di obbligo (meglio parlare di *autodiminuzione* ) nei nostri confronti, mentre invece essi sono senza obblighi e beati. D'altra parte, nel mondo vi è il male e ciò indica che gli dèi non intervengono. Infatti -dice Epicuro - "la divinità o vuol togliere i mali o non può, oppure può e non vuole o anche non vuole né può o infine vuole e può. se vuole e non può, è impotente; se può e non vuole, è invidiosa; se non vuole e non può, è invidiosa e impotente; se vuole e può, donde viene l'esistenza dei mali e perché non li toglie? " (impotenza e invidia sono caratteristiche incompatibili con la nozione di divinità ) (fram. 374 Usener). Perciò il saggio, liberato dalle superstizioni, può vivere con pienezza la sua vita terrena e attingere in questo modo la felicità.

    2) La morte non deve essere temuta perché... non è nulla. "Quando ci siamo noi, la morte non c'è, e quando c'è la morte, non ci siamo noi", dice Epicuro. Inoltre, visto che la morte consiste nella separazione dell'anima dal corpo (separazione dell'anima dal corpo? Ciccio, ti confondi con il Fedone di Platone; nelle dottrine epicuree anima e corpo muoiono insieme, non si parla apertamente di una separazione tra anima e corpo, avrebbe ben poco senso ) e visto che per Epicuro anche l'anima è materiale essendo composta da atomi (un tipo particolare di atomi di forma sferica ), nel momento della morte, quando gli atomi si separano, ogni sensazione cessa, e noi non 'sentiamo' più nulla, né dolore né piacere. La morte è quindi semplice assenza di sensazioni, ed è dunque sciocco averne paura (Potresti anche dire che al filosofo interessa la qualità, non la quantità della vita... O è chiedere troppo? ) ?

    3) Per dimostrare la brevità del dolore, Epicuro afferma quanto segue: se il male è lieve, il dolore fisico è sopportabile, e non è mai tale da offuscare la gioia dell'animo; se è acuto, passa presto; se è acutissimo, conduce presto alla morte, la quale non è che assoluta insensibilità. E i mali dell'anima? Essi sono prodotti dalle opinioni fallaci e dagli errori della mente (errori della mente...Semmai è più corretto dire che sovente si ingenerano in noi false credenze, che procurano ansie e timori. Una delle metafore preferite da Epicuro per indicare l'obiettivo della vita filosofica è quella del galenismòs, la quiete del mare dopo la tempesta; la filosofia deve liberare l'uomo da queste credenze e condurlo in un porto sicuro senza turbamenti ) , contro i quali c'è la filosofia e la saggezza.

    4) La felicità è facilmente raggiungibile e consiste nel piacere. Ma che cosa intende Epicuro per piacere? Per rispondere dobbiamo anzitutto dire che si assiste qui ad un clamoroso rovesciamento di valori e di fini: a differenza di Platonismo, Aristotelismo e anche Stoicismo, il piacere viene considerato da Epicuro come il principio e il fine della vita felice. Direi di più: il piacere è il bene primo, connaturato con noi stessi. L'uomo quindi è felice secondo natura, a meno che non gli manchi qualcosa. Infatti il piacere è la felice sensazione di pienezza che l'uomo prova naturalmente se non lo limitano dei piaceri insoddisfatti. Tutto ciò che dobbiamo fare è mantenerci nel piacere, eliminando le cause che disperdono la pienezza del nostro essere. L'infelicità degli uomini deriva dal fatto che essi temono le cose che non devono essere temute e desiderano le cose che non è necessario desiderare e che sfuggono loro. Sono dunque privati dell'unico piacere autentico, che è il piacere di essere. Anziché rappresentarci i mali in anticipo per prepararci a subirli, dobbiamo, al contrario, staccare la nostra mente dalla visione delle cose dolorose e fissare lo sguardo sui piaceri. Occorre far rivivere il ricordo dei piaceri passati e godere dei piaceri del presente, riconoscendo quanto siano grandi e piacevoli tali piaceri del presente. Non tanto quindi vigilanza, quanto scelta deliberata, sempre rinnovata, della distensione e della serenità, ed una gratitudine profonda verso la natura e la vita che ci offrono incessantemente, se sappiamo trovarli, il piacere e la gioia ("Sia reso grazie alla beata natura che fece le cose necessarie facilmente procacciabili, quelle difficilmente procacciabili non necessarie"). Vivere nel momento presente è, ancora una volta, un invito alla distensione e alla serenità: la preoccupazione rivolta al futuro, che ci lacera, ci nasconde il valore incomparabile del semplice fatto di esistere. Inoltre, per gli Epicurei, proprio il piacere è una sorta di "esercizio spirituale": piacere intellettuale della contemplazione della natura, pensiero del piacere passato e presente, piacere infine dell'amicizia. Nell'esaltare l'amicizia, Epicuro assume a volte dei toni di pura poesia. Vi è per lui nella amicizia (philia) una serenità più profonda, superiore anche a quella dell'amore (eros), perché più facilmente si può conservare libera da sentimenti che procurano dolore come la gelosia o il dolore del distacco o la paura di non essere riamati. L'atteggiamento di Epicuro verso gli altri uomini è riassumibile nella sua massima: "E' non solo più bello ma anche più piacevole fare il bene anziché riceverlo". In questa massima, il piacere assurge a fondamento e a giustificazione della solidarietà fra tutti gli uomini. E infatti Diogene Laerzio ci testimonia l'affetto di Epicuro per i genitori, la sua fedeltà agli amici, il suo senso di solidarietà umana (cfr. Vite dei filosofi, X, 9).

    Noi compiamo tutte le nostre azioni - dice Epicuro - al fine di non soffrire e di non avere l'animo turbato. Se ci troviamo già in questa condizione, non desideriamo nulla, perché nulla ci manca. E' questo l'obiettivo da raggiungere, è in questo che consiste la felicità o il piacere, e cioè appunto nella aponia (assenza di dolore fisico) e nella atarassia (assenza di dolore spirituale) (l'*atarassia* va più correttamente intesa come *assenza di turbamento/i* ) . E' qui il "segreto" della felicità degli dèi ed è questo il motivo per cui noi dobbiamo imitarli, anche se essi non si curano di noi. (bravo, gli dei non sono totalmente ininfluenti: sono modelli che l'uomo deve imitare per condurre una vita serena e beata ) In altre parole, la felicità consiste nel piacere stabile (il cosidetto piacere *catastematico*, che corrisponde alla completa soddisfazione del desiderio ), che è assenza di dolore, e non nel piacere in movimento (quello che perseguivano i primi Cireaici ), che sono i momenti di gioia, di allegria, e simili. Se è così, la pienezza del piacere si attinge nella caduta del desiderio. Non per nulla, per Epicuro, solo i desideri naturali e necessari vanno appagabili (quelli legati alla salute, alla vita, al piacere), mentre gli altri (SPECIFICA!!! Epicuro distingue tra piaceri naturali e necessari - per esempio bere quando si ha sete, piaceri naturali e non necessari - come quello di soddisfare il bisogno della sete con bevande ricercate - e quelli non naturali e non necessari - per esempio il ricevere una lode - ) vanno limitati o abbandonati. Da questo punto di vista, è più felice un vecchio che un giovane. Dice infatti Epicuro: "Non il giovane è felice, ma il vecchio che ha vissuto una vita bella; poiché il giovane nel fiore dell'età è mutevole ludibrio della sorte; il vecchio invece giunse a vecchiezza come a tranquillo porto e di tutti i beni che prima aveva con dubbio sperato ora ha sicuro possesso nella tranquilla gioia del ricordo".

    Il piacere - in quanto sensazione interiore - deve essere posto come norma delle nostre affezioni. Il principio è il seguente: ogni piacere è di per sé un bene, ma non è detto che le sue conseguenze nel tempo siano vantaggiose per noi. Viceversa, ogni dolore è un male, ma non è detto che da un male non possa derivare un bene per noi. Quindi il piacere diventa la norma su cui giudicare le nostre azioni perché ci suggerisce cosa scegliere, spingendoci verso ciò che nel tempo ci è più favorevole. Solamente un accorto calcolo dei piaceri può far sì che l'uomo basti a se stesso e non diventi schiavo né dei desideri né delle preoccupazioni, rinunciando ai piaceri da cui deriva un dolore maggiore (per fare un esempio attuale si pensi alle droghe o al fumo o al bere) e sopportare i dolori da cui potrà derivare un piacere maggiore. Insomma, per Epicuro il piacere è il bene completo e perfetto quando sia inteso come non aver dolore nel corpo né turbamento nell'animo. Per questo egli fa un elogio della phronesis (=saggezza, prudenza), considerata il fondamento di tutte le virtù. Essa ci abitua a contenere i desideri, a valutare con cura le conseguenze delle nostre scelte, prevedendo un ampio margine di sicurezza, per evitare che da un bene abbia a derivarne un male. Dice infatti Epicuro: "Per ognuno dei desideri va posta questa domanda: che cosa mi accadrà se si realizza il mio desiderio, e che cosa, se non si realizza?". In conclusione, la vita sarà felice se saprà essere vissuta con saggezza, semplicità e giustizia. "Non ci può essere vita felice se non è anche saggia, bella e giusta; e non vi è vita saggia, bella e giusta che non sia anche felice. Le virtù sono infatti connaturate ad una vita felice, è questa è inseparabile dalle virtù".

    Agli uomini del suo tempo, Epicuro ricordava che il vero bene è sempre e soltanto in noi. Il vero bene è la vita, e a mantenere la vita basta pochissimo, e quel poco è a disposizione di tutti, di ogni singolo uomo.
    grassie, ora mi metto a leggerlo e non mi stacco più

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