Più sicurezza per tutti? O impunità più sicura per il premier e i suoi amici inseguiti dalla giustizia? Dopo due anni di continui interventi su codici, lodi e processi, il governo sbandiera risultati "storici" nella lotta alla mafia, alla criminalità in generale e all'immigrazione senza permesso. I poliziotti però si sentono presi in giro: "I risultati eccezionali li stanno ottenendo le forze di polizia e la magistratura nonostante troppe scelte irresponsabili di questo governo", dicono i rappresentanti degli agenti. E i magistrati vedono nero. "Viviamo in una stagione segnata da uno scarto sempre più profondo tra la verità e le parole di una certa politica", riassume amaramente il procuratore di Torino, Giancarlo Caselli: "La sicurezza dei cittadini è un valore primario che andrebbe difeso con le migliori risorse e intelligenze, invece ora è una paura da sfruttare: si semina insicurezza, si offrono rimedi solo di facciata, della categoria delle grida manzoniane, e intanto si continua a picconare le intercettazioni, veri argini della legalità".
Ecco un viaggio nella realtà del pianeta sicurezza: i fatti che il governo non racconta agli italiani.
IMMIGRAZIONE
Per fermare gli stranieri, la maggioranza ha varato un diluvio di leggine culminate nel pacchetto sicurezza del luglio 2009. Tre caotici maxi-articoli di 128 commi che consacrano alla storia due certezze: via libera ai respingimenti collettivi dei barconi di extracomunitari, garantiti da un accordo dorato (5 miliardi in 20 anni) con il dittatore libico Gheddafi; e un nuovo reato di immigrazione clandestina.
A Ferragosto il ministro Roberto Maroni esibisce i risultati: dall'agosto 2009 al luglio 2010 sono sbarcati in Italia solo 3.499 extracomunitari, contro i 29.076 dell'anno precedente. La Caritas e l'agenzia europea Frontex però dubitano dei dati: gli stranieri continuano ad arrivare via terra. E la polizia conferma che "circa l'80 per cento" degli immigrati passano la frontiera regolarmente e diventano irregolari in seguito, quando perdono il permesso, magari perché licenziati o schiavizzati.
E il nuovo reato di clandestinità? Il muro è di cartapesta: tre gradi di giudizio per infliggere un'ammenda da 5 a 10 mila euro. Ma lo strappo ai valori è forte: per gli extracomunitari diventa illecito l'esistere senza permesso. "Famiglia Cristiana" parla di "leggi razziali", giuristi e gruppi umanitari ricordano che furono i nazisti a incriminare le categorie di persone (anziché le sole azioni fuorilegge). Ma serve almeno a qualcosa? Il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, scuote la testa: "È una barbarie giuridica inutile e dannosa. Non basta minacciare un processo per dissuadere chi fugge dalla fame o dalla guerra. E le espulsioni continuano a farle le autorità di polizia, come succedeva con la legge Turco-Napolitano. Il nuovo reato è servito solo a ingolfare la giustizia con migliaia di processi inutili".
A Milano la Procura ha dovuto aprire 3 mila procedimenti che hanno prodotto solo 63 mini-condanne (dati del "Sole24Ore"), ma hanno tolto tempo, risorse e personale ai crimini veri. E le famose espulsioni-lampo dei clandestini imputati? Il presidente dei giudici di pace, Vito Dattolico, allarga le braccia: "In un anno abbiamo potuto ordinarne due, nessuna delle quali eseguita. I processi noi li facciamo, ma restano i problemi di sempre: l'identificazione dello straniero, i costi e i mezzi per il rimpatrio".
L'AMICO GHEDDAFI
Visto che il nuovo reato non ha prodotto neanche un'espulsione in più neppure a Milano, la politica del governo resta appesa al "Trattato di amicizia" che nel 2008 ha sdoganato Gheddafi: lo stop agli sbarchi, insomma, funziona solo se il regime libico collabora, cioè se continua a imprigionare migranti in carceri-lager vietati ai controlli dell'Onu. Con tutte le manovre e i ricatti del caso. Per i poliziotti non è una coincidenza se gli arrivi dal mare sono ripresi in massa proprio mentre il colonnello di Tripoli preparava la nuova visita-show a Roma: in agosto sono stati fermati 148 stranieri solo ad Agrigento, ben 400 nel Salento, almeno altri 500 tra Sardegna, Calabria e Sicilia.
CHI LOTTA CONTRO LA MAFIA?
Il 15 agosto i ministri Maroni e Alfano hanno attribuito al governo il merito di tutte le operazioni antimafia tra maggio 2008 e luglio scorso: 6.483 arresti (più 53 per cento), confiscati beni per 2.100 milioni, sotto sequestro (non definitivo) altri 12,8 miliardi. Ma a spiegare questi record sono le scelte dei politici o le inchieste dei magistrati? Per il procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, la risposta è un'ovvietà: "Arresti, condanne e misure patrimoniali sono l'effetto delle indagini della polizia giudiziaria coordinate dalla magistratura, che in Italia non prende ordini dai governi, almeno finché resterà in vigore questa Costituzione. Dalle scelte dei governi dipendono invece le risorse assegnate alla giustizia. C'è una contraddizione profonda tra la propaganda politica e la realtà dei tagli che stanno mettendo in ginocchio le forze di polizia, i tribunali e le procure del Sud".
L'azione del governo, per Scarpinato, ricorda "la tela di Penelope": "Da una parte si permette ai giudici di aggredire i patrimoni anche dei mafiosi morti, dall'altra si consente ai vivi di ripulire capitali enormi con uno scudo fiscale anonimo. O si preparano leggi che disarmano i magistrati dei principali strumenti per arrestare i latitanti e scoprire le ricchezze dei mafiosi: intercettazioni e dichiarazioni dei collaboratori di giustizia".
Ma in questa schizofrenia forse c'è una logica. "La risposta politica alla mafia sembra concentrarsi sul livello militare, ma non basta arrestare solo i bravi, fino a quando ci saranno i Don Rodrigo", spiega il procuratore. "L'anomalia dei corleonesi appartiene al passato. Oggi ai vertici di Cosa Nostra ritroviamo medici, architetti, imprenditori, colletti bianchi. A Palermo abbiamo arrestato dai 150 ai 200 estorsori all'anno, ma chi va in carcere viene sostituito, mentre resta potente una borghesia mafiosa che si arricchisce con le corruzioni, le speculazioni edilizie, il saccheggio di denaro pubblico: esattamente quei reati che diventerebbero impunibili con la legge-bavaglio o il cosiddetto processo breve".
POLIZIA DISARMATA
Nelle capitali della mafia la realtà è lontana dalla propaganda. A Reggio Calabria il pg Salvatore Di Landro, dopo l'ennesima bomba (sotto casa), ha denunciato che "per combattere la 'ndrangheta servono risorse: qui non abbiamo neanche la benzina per le macchine".
A Palermo la sezione criminalità organizzata della squadra mobile è senza revolver e con i giubbotti antiproiettile inservibili. Il perché lo spiega Felice Romano, segretario nazionale del Siulp: "I nostri colleghi hanno solo la Beretta d'ordinanza, che è vistosa e ingombrante. Per questo nella dotazione del reparto c'erano 80 piccoli revolver, da nascondere addosso in azione. Però sono stati ritirati tutti, giustamente, e la questura non ha soldi per sostituirli". Ritirati? E perché? "Erano difettosi: esplodevano". E come mai Maroni non rimedia? "Il governo ha tagliato dell'80 per cento le spese di armamento: se compriamo pistole, restiamo senza munizioni". E i giubbotti? "Andrebbero revisionati ogni due anni, altrimenti perdono effetto. Ma i soldi non ci sono, per cui si può solo sperare che funzionino. E comunque pesano 18 chili. Chiediamo da anni giubbotti più leggeri e moderni. Tutto inutile: il governo promette sicurezza, ma poi taglia e basta".
CONTROLLO DEL TERRITORIO
Per fermare i reati di strada, i ministri hanno promesso di tutto: esercito nelle città, ronde private nelle periferie. "Ma il sistema sicurezza è al collasso", avverte Enzo Letizia, segretario dell'Associazione funzionari di polizia: "Dal 2008 al 2010 il governo ha tagliato i fondi di oltre un miliardo e nel 2011 ci toglierà altri 673 milioni. L'effetto è una crescente carenza di uomini e mezzi, con ricadute gravissime. In dieci anni l'Italia ha già perso 14 mila poliziotti".
Claudio Giardullo, segretario del Silp, è tranciante: "È irresponsabile raccontare agli italiani che si possa avere più sicurezza con meno risorse, mezzi e personale. Oggi i migliori ispettori devono usare computer e auto personali, perché le questure non hanno soldi per acquisti e riparazioni. I commissariati ormai chiudono alle 20 o vengono aboliti: a Roma ne sono spariti altri tre. Gli ultimi elicotteri sono stati comprati più di dieci anni fa e si stanno fermando uno dopo l'altro. Intanto il governo spreca 64 milioni all'anno per mandare nelle strade i soldati, che fanno scena in tv, ma non indagano sui reati, perché non è il loro mestiere".
Romano cita situazioni inquietanti: "In dieci anni Roma ha perso due terzi delle volanti. A Milano l'antiterrorismo non ha soldi per comprare microspie e pagare traduttori. A Trapani gli investigatori che danno la caccia al boss Messina Denaro devono pagarsi le trasferte, perché i rimborsi sono finiti in marzo...". E l'operazione-ronde? Fallita: pochissime domande (solo sei a fine 2009). La ragione del flop è istruttiva: dopo l'altolà del Quirinale, il ministero ha dovuto vietare insegne politiche e sovvenzioni pubbliche.
INTERCETTAZIONI A RISCHIO
Mentre la mafia assalta anche il Nord, il governo considera prioritarie solo due riforme: meno intercettazioni e più prescrizioni. Per la prima è sceso in campo Berlusconi, invocando il bavaglio contro i pm che, a suo dire, spierebbero le telefonate di "sette milioni di italiani". A smentirlo è il suo stesso ministero della Giustizia: nel 2009 tutte le procure d'Italia hanno intercettato solo 132 mila utenze (5 mila in meno del 2008). E utenza non significa indagato: se un trafficante di droga usa tre apparecchi alternando quattro numeri, le intercettazioni sono 12, ma l'indagato è uno. E comunque tutte le registrazioni che non provano reati vanno già ora distrutte. Quanto alle spese, le intercettazioni del 2009 sono costate 270 milioni. Con la sola inchiesta sulle cliniche mafiose protette da Totò Cuffaro, i pm di Palermo hanno sequestrato 800 milioni. E con le intercettazioni sulle scalate bancarie, Milano ne ha confiscati 360. Documenta il procuratore Caselli: "Nel 2009 a Torino, su un totale di 152.317 procedimenti, sono state eseguite intercettazioni solo nello 0,181 per cento dei casi. La spesa è di 10 euro per utenza, con una durata media di 63 giorni per l'antimafia e solo 36 per gli altri reati. I limiti sono già ora rigorosi e se vengono superati, è solo per assoluta necessità: stiamo parlando di intercettazioni indispensabili per scoprire i colpevoli di omicidi, rapine, estorsioni, stupri e altri delitti gravissimi".
PROCESSO BREVE
Ogni 24 ore, in Italia, 425 processi restano senza colpevoli perché i reati cadono in prescrizione: significa che il giudizio è durato più del tempo-limite che una legge berlusconiana (caso unico in Europa) ha già dimezzato. Ora, invece di ridurre cavilli e formalismi, il governo progetta la prescrizione-bis: per avere l'impunità, basterà ritardare anche un solo grado di giudizio. Il pm Spataro osserva che "il processo breve lascerebbe impuniti proprio tutti quei reati che più spaventano i cittadini". In compenso salterebbero, tra i tanti, i due processi a Silvio Berlusconi (fondi neri Mediaset, corruzione del teste Mills): per ora sono sospesi dal "legittimo impedimento", ma in dicembre la Corte Costituzionale potrebbe riaprirli. Di qui la vera emergenza: una nuova legge salva-premier.
Sicurezza: la grande bugia di B. - L'espresso
che farsa vergognosa, su tutti i fronti...